Nel Park Avenue Armory di New York c’è la fiera “The Art Show”

Nata dall’impegno della charity Henry Street Settlement e dell’associazione di Art Dealers americani, la fiera ospita anche due artisti italiani tra gli stand: Alighiero Boetti e Luca Pancrazzi

Prosegue fino al 6 novembre 2022 The Art Show, nota fiera di mercanti d’arte che si svolge al Park Avenue Armory, configurandosi come uno degli appuntamenti più attesi dai galleristi di New York. Giunta alla sessantesima edizione con 78 espositori, è stata inaugurata dall’Art Dealers Association of America con un gala di beneficenza in favore dell’Henry Street Settlement. La fiera è nata nel 1989 grazie all’impegno dell’ADAA (Art Dealers Association of America) e dell’Henry Street Settlement, una delle organizzazioni senza scopo di lucro più longeve del paese, fondata nel 1893 con il nome di Nurses’ Settlement. Ogni anno, Henry Street sostiene direttamente 50.000 newyorkesi bisognosi attraverso programmi di istruzione, lavoro, alloggio, salute e benessere e arte. L’Art Show ha raccolto oltre 35 milioni di dollari nel corso degli ultimi tre decenni, e continua a essere la più grande fonte di finanziamento di Henry Street. Tutte le quote di ammissione del run-of-show vanno all’Henry Street Settlement, insieme ai proventi della serata di gala Benefit Preview, uno degli eventi annuali più amati dai newyorkesi.

L’ADAA ART SHOW: COME FUNZIONA

L’organizzazione comprende quasi 200 membri diversi provenienti da più di 30 città degli Stati Uniti, con gallerie che rappresentano centinaia di artisti affermati ed emergenti a livello internazionale e uno standard altissimo. Il 2022 ha visto inoltre l’ingresso di nuovi membri, tra cui Derek Eller Gallery (New York), GAVLAK (Los Angeles e Palm Beach), Nathalie Karg Gallery (New York), parrasch heijnen (Los Angeles), Almine Rech (New York), e Galleria Von Lintel (Santa Monica, oltre al ritorno di espositori che non hanno partecipato negli ultimi anni, tra cui Paula Cooper Gallery (New York), Mitchell Innes & Nash (New York), Rhona Hoffman Gallery (Chicago), Lehmann Maupin (New York), Anton Kern Gallery (New York) e Meredith Ward Fine Art (New York). Tutto questo oltre a sostenitori dell’ADAA come David Zwirner (New York), Marian Goodman Gallery (New York), Castelli Gallery (New York), Kasmin (New York), Matthew Marks Gallery (New York e Los Angeles), Sperone Westwater (New York) e Sean Kelly (New York e Los Angeles).

Luca Pancrazzi, ph. Francesca Magnani

Luca Pancrazzi, ph. Francesca Magnani

LUCA PANCRAZZI AL THE ART SHOW DI NEW YORK

Al The Art Show c’è un artista italiano che espone alcune opere, in dialogo con quelle del suo maestro Alighiero Boetti e con il gallerista (David Totah) che al contempo presenta una sua ulteriore mostra nella Lower East Side: Luca Pancrazzi. Lo abbiamo intervistato.

Qual è il filo comune delle opere esposte da TOTAH?
Come potrebbe essere in parte intuibile dal titolo della mostra in corso nella galleria di David Totah a New York, il filo conduttore di questo ciclo di opere è lo spazio di disorientamento di chi riceve un abbaglio da una forte fonte luminosa che confonde i sensi, proiettando il presente in uno stadio metafisico, almeno per una frazione di secondo. Un abbacinamento, un bagliore, il flash, oppure il baluginìo di una luce lontana nella notte. Le immagini di questi quadri sono filtrate attraverso e non solo dalla pittura, ma anche dalla luce, che si fa soggetto oltre che materia pittorica.

Qual è la relazione del tuo lavoro con quello di Alighiero Boetti?
Ho lavorato per lui poco dopo aver interrotto l’Accademia di Belle Arti, verso il 1986, sino alla Biennale di Venezia del 1990. Inizialmente ho realizzato delle opere insieme ad Andrea Marescalchi che lavorava già per Boetti, praticamente sono stato per un periodo l’assistente dell’assistente. Questa è la cronaca, ma nel lavoro di Boetti ho compreso che questa catena generava la qualità e le variazioni necessarie alla bellezza dell’opera finale. In quel periodo post accademico, il lavoro di Boetti non era così diffuso e conosciuto tra noi studenti, non veniva insegnato, e ho scoperto quindi dopo averlo frequentato molte affinità operative con le quali ho dovuto e voluto fare i conti. Credo sia stato il caso e la fortuna che mi hanno fatto conoscere Boetti, oltre a essere stato parte della materia creativa delle sue opere. Questo mi ha sicuramente permesso di evolvere come artista dalla sua personalità.

Che cosa significa per te esporre alla fiera ADAA nella vecchia sede dell’Armory?
Ovviamente questo rappresenta una opportunità doppia. Partecipare a una fiera, nella stessa città in cui hai inaugurato una mostra pochi giorni prima, è un modo per rilanciare la mostra stessa a un pubblico diverso e più ampio.

In cosa è diverso come location e concetto rispetto alla galleria?
L’ambito espositivo della galleria è uno spazio creativo, prolungamento dell’opera e talvolta spazio vitale per l’opera rappresentata e messa in scena, mentre la fiera è un fatto che riguarda la divulgazione e la commercializzazione delle opere che vanno esposte come potrebbero essere impaginate in un catalogo di un’asta. Per quel che mi riguarda, le fiere potrebbero essere off-limits per gli artisti, qui non valgono più le regole espositive e le necessità primarie dell’artista, vige la legge del mercato e della contrattazione.

La città riveste un ruolo fondamentale nelle tue immagini. Qual è il tuo rapporto con New York?
Questa è una città funzionale, dove chiunque proietta se stesso e vi appartiene un po’ per volta, giorno dopo giorno. Ho vissuto in questa città quando ero giovane e pensavo che avrei potuto vivere ed avrei vissuto ovunque avessi potuto fare quello che più amavo, ma qui lo amavo fare particolarmente. New York era una città dura ma generosa, e ha un forte legame con l’arte, è stata per noi occidentali non americani e postmoderni un punto di riferimento fondante. La città pullulava di energia dal basso e dall’alto, e nel mezzo i corpi vibravano. Oggi non sento più quella vibrazione, ma può dipendere da molti fattori, anche dall’accordatura dello strumento che è cambiata. Ma poi si torna sempre sulla scena del delitto.

Quali zone della città ti stai godendo in questo soggiorno nella mela post-pandemic?
La città che preferisco è quella downtown, quella di Soho, del Village ad est, di Lower East, di China Town e Tribeca. Questa è la parte di città che conosco meglio e che ho visto cambiare dagli anni Ottanta. Bowery, Alphabet City, Canal street erano pezzi di città come non avevo mai visto, o meglio, come forse li avevo visti e immaginati attraverso i film.

Francesca Magnani

Fino al 6 novembre 2022
The Art Show
Park Avenue at 67th Street
https://theartshow.org/                                                                                                                     

Fino al 21 dicembre 2022                    
Luca Pancrazzi – Flash Light
TOTAH Gallery
Tuesday – Saturday | 11:00AM – 6:00PM

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Francesca Magnani

Francesca Magnani

Francesca Magnani scrive e fotografa a New York dal 1997. Ha una formazione accademica in Classics e Antropologia alle università di Bologna, Padova, NYU; racconta con immagini e parole gli aspetti della vita delle persone che la toccano e raggiungono,…

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