Essere una fondazione è cosa ben diversa dall’associazione o dal comitato, passando dalle diverse casistiche intermedie come le fondazioni di partecipazione, o da fattispecie giuridiche ancora sperimentali quali le fondazioni di comunità. Eppure l’esperienza ci racconta di imprese culturali il cui habitus giuridico non sempre è stato oggetto di una scelta meditata. Scelta che andava e va fatta facendosi le semplici domande: perché, cosa, chi, e che non è mai saggio sia fatta seguendo le tendenze del momento. Se infatti l’interpretazione della giurisprudenza e lo studio di casi stranieri conducono a interessanti evoluzioni (si pensi ai trust), è anche vero che il nostro codice civile è estremamente parco nell’elencare nel titolo I le forme per realizzare una precisa finalità senza che lo scopo sia il lucro, distinte appunto dalle società del titolo V, per cui vi è alla base un contratto con lo scopo di dividerne gli utili e viene svolta un’attività commerciale.
Così una fondazione può nascere su impulso anche di un singolo che mette a disposizione un fondo e un patrimonio che dovranno essere gestiti e valorizzati in maniera da creare valore, mentre un’associazione si forma per la volontà di una pluralità di soggetti che condividono una progettualità e si organizzano per realizzarla. Nel primo caso è bene tener presente che il fondo/patrimonio è la ragion d’essere dell’istituzione culturale, prima ancora delle attività a corredo e, conseguentemente, lo statuto avrà il compito di individuare bene lo scopo prima di elencare le molteplici cose da fare o che si possono fare. Quante fondazioni in Italia sembrano aver confuso o semplicemente dimenticato il perché della loro esistenza affaccendate dal “fare”, tanto qualsiasi attività è ben riconducibile nella generica ma onnipresente (!) articolazione residuale che tutto accoglie. E qui non ci riferiamo al lucro o al commerciale. Prima ancora del riconoscimento della personalità giuridica, viatico insostituibile per le imprese – in questo caso le associazioni, visto che per le fondazioni è ex lege – che “vogliono fare sul serio”, prima dell’autonomia patrimoniale e finanziaria, prima dei regolamenti e delle buone pratiche, prima della contabilità, vi è una questione di senso da affrontare.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
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