Sanremo 2020: la storia delle più belle scenografie in un libro. Il racconto e le immagini

Al Teatro dell’Ariston la presentazione del libro sulle scenografie del festival dal 2009 ad oggi. A raccontarle i contributors Amadeus, Claudio Fasulo, Gaetano Castelli, Gianmarco Mazzi, Vincenzo Mollica, Stefano Vicario e Mario Catapano.

Un quaderno che si tuffa nel passato e che dal 2009 ripercorre la storia delle più belle scenografie del Festival di Sanremo.  È stato presentato nella sala stampa Ariston il volume “Le scenografie”, un modo per mettere in risalto la commistione di arti e artigiani che da anni contribuiscono al successo del grande spettacolo canoro. “L’Ariston è un teatro magico, ma bisogna conoscere bene la scenotecnica”, lo storico scenografo del Festival, Gaetano Castelli, da otto anni lontano dalla kermesse ma presente in ben 18 edizioni, è tornato quest’anno a casa. Scenografo tra i più famosi a livello mondiale, maestro della scuola italiana esportata all’estero, per il 2020 si è ispirato più che mai all’atmosfera teatrale, “quasi da notte degli Oscar” ha spiegato. Un’imponenza della scena tuttavia che ha saputo fare un passo indietro (tanto per non sottrarsi alle polemiche pre – festival) rispetto al vero cuore della manifestazione canora: “all’arrivo dei cantanti scompare per riapparire di nuovo subito dopo”.

IL MONDO DELLE SCENOGRAFIE

Nessuna automazione, “con l’esperienza si impara a togliere anziché aggiungere” e un dialogo con le luci stavolta particolarmente riuscito: i principali, i fondali e le quinte contengono apparati video e sceno-luminosi che, per la prima volta, sono completamente integrati con le luci del direttore della fotografia Mario Catapano” conferma Castelli.  L’idea è quella di sempre, ma altrettanto sempre nuova: portare lo spettatore sul palcoscenico. “I principali, i fondali e le quinte contengono apparati video e sceno-luminosi che, per la prima volta, sono completamente integrati con le luci del direttore della fotografia Mario Catapano”. E così il volume va a ritroso nel tempo raccontando il trionfo del bianco nel 2018. “La rappresentazione della purezza dell’arte” tra gli obiettivi principali di Emanuela Trixie Zitkowsy, che aveva portato nel cuore della scena un fiore strutturale, simbolo ancora della purezza di tutte le espressioni artistiche. Le oltre venti diverse conformazioni scenografiche che presero forma sotto l’acuta direzione dello scenografo Riccardo Bocchini vengono ricordate come una delle ricerche grafiche più accurate della storia del Festival nel 2017. “Dalle prime riunioni capii quanto la scala fosse elemento scenico fondamentale per chi ama la manifestazione, iniziai a lavorare al Festival con due in-put grandiosi: l’aspetto emotivo e quello scenotecnico”, racconta la scenografa Francesca Montinaro. Nel 2013 portava in scena per la prima volta la storica scala motorizzata che fendeva lo spazio come un rasoio, “Poi arrivammo ai fondali logori nei quali ai grandi fratelli Bibbiena si univano gli strappi logori di Burri e i tagli filosofici di Fontana”, ricorda. Difficile eguagliare quello che un anno prima Gaetano e Maria Chiara Castelli portarono sul palcoscenico. “L’Arca della Musica”, una struttura di 25 tonnellate, unica nella storia del festival, saliva e scendeva sul palco, invitando lo spettatore ad entrare e uscire da una vera e propria astronave.

L’EDIZIONE 2020 DI SANREMO

La sfida più grande rimane quella delle dimensioni. Ancora una volta, per quest’ultima edizione, la missione di Castelli si è rivelata la stessa: dilatare gli spazi, fornire allo spettatore l’idea di uno spazio grande dove “tutto è al suo posto con comodità e agio”. Lo scenografo ci è riuscito anche stavolta, mentre ricorda la sua prima impresa nel 1987: introdurre l’orchestra. Un palco profondo dieci metri doveva contenere più di ottanta professori. Un’intuizione di Baudo che divenne presto la sfida scenografica più longeva della manifestazione e che col passare degli anni ha cambiato pelle e forma: “i primi anni l’orchestra alle spalle del presentatore era un must, Baudo su questo è sempre stato imperativo. Quando con Paolo Bonolis riuscimmo a portare l’orchestra nel golfo mistico, guadagnai tutto il palcoscenico portando ancora più all’interno chi guardava”. Sintetizzando la tendenza cronologica delle realizzazioni un aspetto è bene evidente. Il volume parte dal 2009 con un legame profondo del palcoscenico alla potenza tecnologica. Castelli creò una scena integrata in maniera profonda con gli automatismi, che garantirono un continuo movimento di prospettive. E termina oggi con la completa assenza di artifici meccanici. Un ritorno all’essenzialità del teatro e della rappresentazione che lo stesso scenografo ribadisce: “la tecnologia deve essere al servizio della scena, non può sostituirla. Dobbiamo conservare quello che è davvero il nostro Dna, ci vogliono nel mondo per fare questo tipo di arte”.

– Giada Giorgi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giada Giorgi

Giada Giorgi

Nata a Frosinone nel 1991 oggi vive a Milano. Laureata in Filosofia Morale a Roma, lavora nel giornalismo radio-televisivo dall’età di 23 anni. Tra le collaborazioni Il Messaggero, Il Corriere della Sera e RaiNews24. Attualmente frequenta la scuola di giornalismo…

Scopri di più