Una graphic novel di Daniel Benítez racconta il mondo dei Narcos

Si chiama Carne de cañón: stories of narcoworkers e racconta il mondo dei Narcos da una prospettiva differente e militante. Abbiamo intervistato l’autore, anche illustratore da Fabrica.

Daniel Benítez, classe 1990, è un illustratore, graphic designer e editore indipendente di Città del Messico che lavora dal 2016 a Fabrica (la fucina creativa voluta da Benetton) , in Italia, come illustratore. Attraverso la graphic novel e i fumetti, le sue opere esplorano la società, in particolare relative alla violenza in Messico, spesso parzialmente raccontata e spettacolarizzata dai media. L’abbiamo intervistato per chiedergli parlarci del suo ultimo progetto: Carne de cañón: stories of narcoworkers, che racconta il mondo dei Narcos, attualmente in mostra presso gli spazi di Fabrica.

Come ti sei avvicinato al mondo dell’illustrazione?
Disegnare è il mio linguaggio preferito da sempre. Fin da quando ero piccolo. Sono cresciuto circondato dalla musica e dal disegno. È all’università che ho capito di voler trasformare la mia passione in un lavoro. Ho iniziato a sviluppare progetti editoriali d’illustrazione autoprodotti, fanzines e ho co-fondato WorstSeller Ediciones.

Come è nato Carne de cañón: Stories of Narcoworkers?
Il progetto è nato qui a Fabrica, la creative factory dallo scenario internazionale. Ho pensato fosse il giusto momento per sfidare gli stereotipi che il mondo occidentale purtroppo ha nei confronti del Messico. Carne de cañón: Stories of Narcoworkers parla del Narcotraffico da un punto di vista sociologico. Protagonista non sono le storie dei grandi Signori della Droga, così spesso spettacolarizzati e divenuti vere e proprie icone, ma sono i narcos posizionati al livello più basso della gerarchia.

Come si è sviluppato il progetto?
Ho cominciato studiando il fenomeno del narcotraffico in Messico, analizzando la crescita e la struttura del potere. Deciso di raccontare il tutto da un punto di vista differente, quello dei ranghi più bassi, ho iniziato la raccolta delle storie che li riguardano attraverso fatti di cronaca, riviste, documentari, narco-blogs e altre fonti. Il tutto infine è articolato in una serie di illustrazioni.

Credi che, oltre le notizie, anche i film e le serie TV contribuiscano alla creazione di un immaginario unilaterale del Paese? Penso alla popolarità di Narcos o di El Chapo dedicato a Joaquín Archivaldo Guzmán Loera…
Certamente, spesso noi messicani siamo collegati alla violenza e al narcotraffico. Succede viaggiando o stando in altri paesi di sentirsi dire: “ma tu di che “cartel” sei?” “Cosa significa “malparido”? “. I film e le serie TV e tutta l’industria dello spettacolo in genere hanno una certa responsabilità nell’aver costruito un immaginario dove la violenza è allo stesso tempo normalizzata e divenuta show. Per tutta l’America Latina invece è un grosso problema di sicurezza e di paura. Una vera e propria crisi sociale.

Secondo te la spettacolarizzazione del dolore suscita avversione o incitamento nei confronti della violenza? Indignazione o indifferenza?
Penso che inciti. Il problema è che quando viene dipinta in questo modo diventa così normale, quotidiana e scontata che si allontana dall’effettiva realtà del problema. Dolore e violenza divengono puro divertimento. Penso che, come creativi e quindi disegnatori di mondi e immaginari, dobbiamo stare all’erta e porre attenzione a come parliamo e a come riportiamo le nostre idee. È fondamentale cercare di far riflettere sulla tematica, dando più chiavi di volta e prospettive. More reality, Less entertainment.

Il tuo progetto ricorda quanto sia importante restare vigili nella ricezione delle notizie e nella costruzione dell’immaginario di un Paese.
Parla del rapporto tra la produzione e/o l’uso delle immagini, da un lato, e azione dall’altro.
Droga, violenza e potere sono temi presenti nel tuo lavoro come lo sono presenti nelle rappresentazioni hollywoodiane. Ma a differenza di queste, le tue illustrazioni cercano di narrare un racconto che vada oltre gli stereotipi con le storie dei personaggi che la vivono.

Che tipo di immagini cerchi di creare e soprattutto con quali obiettivi?
I riferimenti visivi sorgono prima di tutto dalla realtà vissuta: dalla mia esperienza come abitante di Città del Messico. Nato là, ne conosco lo slang, la vita le abitudini. A tu per tu con il mondo della narcocultura. Fortunatamente non sono mai stato personalmente messo di fronte a episodi di morte. Ma conosco molte persone, amici di amici, che ne sono state coinvolte. La violenza esiste ed è un aspetto che non possiamo e non dobbiamo nascondere. Il tutto sta nel come raccontarla. Anche le mie immagini sono violente. Cerco sempre però di spiegare il contesto dell’atto violento attraverso una narrazione sequenziale e arricchendo di molti dettagli il racconto.
Difficile comprenderne la causa, ma si tenta. Mi pongo in questo tentativo di comprensione assumendo uno sguardo e un linguaggio sincero, diretto e senza filtri spettacolarizzanti.

Hai mai pensato di creare un libro che raccolga le storie di Carne de cañón: Stories of Narcoworkers ?
Esattamente. Questo progetto è stato creato per diventare proprio una graphic novel. Ci saranno circa cinque capitoli. Ora sono arrivato a sessanta illustrazioni, ma prevedo di farne molte di più. Questo progetto, a differenza dei miei altri lavori, è a lungo termine. Infine spero di trovare i giusti partner per farlo pubblicare.

“Carne de cañón: stories of narcoworkers”, Daniel Benítez
Dal 22 febbraio
Fabrica – Auditorium
Via Postioma, 54/F
Catena di Villorba, Tv

http://intransferible.tumblr.com/
http://www.fabrica.it/news/carne-de-canon-stories-of-narcoworkers-daniel-benitez/

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Eleonora Milner

Eleonora Milner

Eleonora Milner è nata e vive a Venezia. Laureata al DAMS Arte di Bologna e in Fotografia dei Beni Culturali all'ISIA di Urbino, si occupa di fotografia e arte contemporanea, con particolare interesse all'arte partecipativa. Scrittrice e fotografa, si occupa…

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