Una raccolta di poesie riporta in vita il mito di Persefone. Intervista a Marilena Renda

La poesia di Marilena Renda trascende le epoche e i luoghi delle idee, tramite una successione di pensieri enigmatici e di un romanticismo doloroso, breve. L’intervista in occasione del nuovo libro in dozzina al Premio Strega Poesia

Ade era bello da giovane
una specie di attore del cinema
era ricco, gli piaceva stare solo
amava i dirupi, le spiagge nere
le stagioni per l’impermeabile
un po’ femmina, territorio di passaggio
era importante deludere la madre
dormire tra i drogati di una città del nord
la politica gli amari la poesia
di questo e altro non ricorda nulla
la nebbia, sempre troppo sobrio


Come possono convivere in poesia i temi del mito e del mondo odierno, gli dèi e tutti quanti noialtri? A tentare di dare una delle risposte possibili è un’opera dal titolo apparentemente incongruo: parliamo di Cinema Persefone (Arcipelago Itaca, 2024) di Marilena Renda (Erice, 1976), in dozzina al Premio Strega Poesia di quest’anno. Una raccolta che riesce a trascendere le epoche e i luoghi delle idee, tramite una successione di pensieri enigmatici e di un romanticismo doloroso, breve.

Marilena Renda
Marilena Renda

Chi è Marilena Renda

L’autrice, Marilena Renda, vive a Bologna dove insegna inglese. I suoi libri sono: Bassani, Giorgio. Un ebreo italiano (Gaffi 2010), Ruggine (dot.com press 2012), Arrenditi Dorothy (L’orma 2015), La sottrazione (Transeuropa 2015), Regali ai fantasmi (Mesogea 2017), Fate morgane (L’Arcolaio 2020) e Fuoco degli occhi (Aragno 2022). Con il poema Ruggine è stata finalista al premio Delfini 2009 e al premio Carducci 2013, mentre La sottrazione ha vinto il premio Bologna in Lettere 2019.  Fuoco degli occhi è stato finalista al Premio Fortini 2023 e al Premio Napoli 2023. L’intervista.

Intervista a Marilena Renda

In Cinema Persefone, e non per la prima volta – penso a Fuoco negli occhi uscito nel 2022 con Aragno -, ad avere un ruolo centrale è la mitologia, in particolare quella greca, e ancora più in particolare colei che è protagonista già dal titolo: la regina degli Inferi. La sua Persefone che sembianze ha? Coincide con la figura passiva e verginale descritta da Ovidio, e dunque la fanciulla vittima degli eventi e della violenza di Ade, oppure l’ha pensata diversa, più potente, più fiera?
Nel mio libro precedente, Fuoco degli occhi, ho lavorato sulle storie che ruotano intorno alla Sicilia e quindi mi sono imbattuta in figurazioni mitiche. Si trattava, direi, di simboli, come l’isola che sprofonda, i piccoli vulcani, le fate morgane, le statue femminili viste da Freud a Siracusa, ma il centro del libro era il materno, a cui tutti questi fenomeni geografici e geologici rimandavano più o meno direttamente. In Cinema Persefone al centro c’è la fanciulla rapita da Ade di cui parla Claudiano, che è quello che ne racconta la storia in forma più estesa. È interessante che tu mi chieda che sembianze ha, perché la caratteristica più evidente di questo mito, per me, è che Persefone sembra non avere volontà o connotati suoi; subisce le decisioni, anche violente, prese da madre e marito, e solo in un’altra versione del mito apprendiamo che alla fine generò cinque figlie ed ebbe una vita più o meno serena. Ho voluto conservare a Persefone la sua quota di mistero e di opacità perché mi sembrano anche delle qualità necessarie della poesia, e poi perché mi sembrava un’operazione rispettosa della sostanza del mito. Per il resto, le ho fatto fare cose pazze.

La raccolta è costellata di dualismi: la morte e la vita (e dunque anche l’inferno stesso, contrapposto al mondo dei vivi), l’uomo e la donna, la figlia e la madre, il contingente e l’eterno. C’è un binomio che tra questi le è più caro? E se sì, perché?
Non saprei. La prima cosa che mi viene in mente è che il libro si fonda su una tensione continua tra tutti questi elementi. È una tensione a volte insostenibile; nel momento in cui ho scritto Cinema Persefone era certamente una tensione quasi insopportabile, accompagnata dall’idea che sulla terra non si possa vivere se non con questa compresenza dialettica di opposti. In alcuni momenti l’idea che non possiamo mai sperimentare un equilibrio vero tra gli opposti è veramente estenuante.

Quanto è importante per lei che il lettore capisca il senso di ciò che scrive?
Credo che neanche il poeta debba capire fino in fondo il senso di ciò che scrive. È importante perché poi il lettore possa ritornare al testo anche successivamente, senza avere l’idea di avere afferrato tutto, di avere esaurito il senso del libro.

La sequenza di poesie presenti nel libro, apparentemente a sé stanti ma legate a una suggestione tematica che funge da filo conduttore, raccontano in realtà un’unica storia? Oppure sono indipendenti tra loro?
Non raccontano una storia, ma non sono neanche indipendenti tra loro. Il libro è stato scritto subito dopo la pandemia, quindi in un momento, anche per me, di alterazione della realtà. Ci tenevo che il libro fosse coeso e che creasse un’atmosfera, anche sonora, che il lettore percepisse la realtà come la percepivo io in quel momento, cioè dolorosa e assurda. Volevo che si percepisse non solo un senso di claustrofobia, ma anche l’idea di quel momento, di insopportabilità di tutto.

La sua opera è in dozzina al Premio Strega Poesia 2025. Cosa pensa che abbia portato a questa scelta?
Non lo so. Se ci fosse una rappresentazione del mio stato d’animo rispetto ai premi, penso che rappresenterebbe in parti uguali il desiderio di essere letta, vista, ascoltata, e il desiderio di nascondermi, come lo descrive la mia amica Carmen Gallo nel suo ultimo libro. Noi poeti non pubblicati dalle major portiamo, credo, l’onestà del nostro percorso, il nostro senso critico, e la possibilità, per il lettore, di accedere a esperienze testuali diverse.

superato un confine l’amore è odio paura che-ne-vuoi-sapere
e poi di nuovo luce bambino di luce luce che si apre
nasce qui sul fondo
dove non sappiamo che succede
e siccome mi chiamo follia
ti accompagnerò anche lì
nel punto dove finisce


Maria Oppo

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