L’ex direttrice del museo più importante di Mosca si racconta in questa intervista
Zelfira Tregulova, curatrice di fama internazionale e direttrice per otto anni della Galleria Tretyakov, con il suo lavoro ha contribuito alla diffusione della conoscenza dell’arte russa nel mondo, al di là degli stereotipi e dei cliché. E noi l’abbiamo intervistata...

Zelfira Tregulova, alla direzione della prestigiosa Galleria statale Tretyakov di Mosca dal 2015 al 2023, è la protagonista di un incontro alla XXI Edizione di è Storia, il Festival internazionale della Storia di Gorizia, quest’anno anche Capitale della Cultura. E se il talk è focalizzato su un immaginario viaggio alla scoperta di Mosca e delle immagini della storia russa, tra retaggi bizantini e rinascimentali, con noi la curatrice ha parlato delle sue esperienze espositive, essenziali per diffondere la conoscenza dell’arte e della cultura russe ben oltre i confini del suo Paese.
Intervista alla curatrice russa Zelfina Tregulova
Secondo lei, qual è il periodo artistico che esprime al meglio l’identità culturale Russa?
Devo dire che rifletto sul tema da quando ero una studentessa, tanto che il mio primo progetto curatoriale, Mosca: Tesori e Tradizioni, al Seattle Art Museum e all’Arthur Sackler Galleries di Washington D.C., nel 1990, ambiva proprio ad offrire una panoramica dell’arte russa dal XV al XX Secolo, caratterizzando ogni periodo con una sua peculiare identità. Tuttavia, oggi, alla luce della mia nutrita esperienza, penso che tutta l’arte russa, dalle icone medievali ai dipinti del XIX secolo, fino all’Avanguardia sia pienamente rappresentativa dell’identità del Paese.
Qual è stata una delle domande fondamentali nel suo percorso curatoriale?
Tra le tante il chiedersi: “Cosa c’è di così speciale nel DNA dell’arte russa?”, quesito su cui con i miei colleghi abbiamo impostato la grande mostra Russia! organizzata al Guggenheim Museum di New York nel 2005. Esposizione che offriva un’esaustiva panoramica dell’arte russa dal XIII al XXI Secolo; dall’iconostasi del XV Secolo del monastero di Kirillo-Belozersky, presentata per la prima volta all’estero, alle opere di Il’ja Kabakov ed Erik Bulatov. In un percorso da cui emergeva quanto gli artisti russi, indipendentemente dal periodo di appartenenza, si fossero concentrati su temi dal carattere universale, come l’idea dell’arte come profezia e dell’artista come messaggero.
Questa mostra si lega al concetto di “Russicità”?
Effettivamente penso che questo progetto abbia contribuito a farlo emergere, offrendo al pubblico internazionale una visione più completa dell’arte russa, con i suoi novecento anni di storia, andando quindi al di là della ben conosciuta Avanguardia. Artisti come Kandinskij, Chagall, Malevič, Rodčenko erano già noti, mentre il realismo del XIX Secolo e il Realismo Socialista Sovietico degli Anni ’30–’50 erano ancora pressoché ignoti.

Il rapporto tra Italia e Russa nell’esperienza di Zelfira Tregulova
Per quanto riguarda l’Italia, qual è stata la tappa fondamentale per la diffusione della conoscenza dell’arte russa?
In Italia, come anche in Germania, erano molto richieste le opere dei cosiddetti Itineranti, tra cui Il’ja Repin, ma penso che il vero punto di svolta sia stata la mostra Un pellegrinaggio nell’arte russa. Da Dionisij a Malevič, organizzata a Roma nel 2018-19, nell’Ala Carlo Magno della Basilica di San Pietro, nell’ambito dello scambio tra la Galleria Tret’jakov e i Musei Vaticani; realizzata con il mio contributo, a cura di Arkadij Ippolitov dell’Hermitage e Tat’jana Judenkova della Tret’jakov. Esposizione che, creando un dialogo tra opere di periodi diversi, ha avuto un impatto rivoluzionario, offrendo una visione unitaria dell’arte russa, a dispetto della sterile cesura tradizionale tra l’arte bizantina e quella moderna, basata sui canoni occidentali, introdotta da Pietro il Grande a partire dal XVIII secolo.
Secondo lei qual è il messaggio più importante emerso dalla mostra in Vaticano?
Restituire all’arte russa contemporanea una dimensione spirituale, persino cristiana. Papa Francesco, che ho avuto la fortuna di guidare nel percorso, al termine della visita ha osservato: “Non avevo mai visto una pittura forte come questa”, un enorme riconoscimento del valore dell’arte e della cultura russe.
Tra i suoi progetti recenti in Russia quale ritiene molto significativo?
Sicuramente la recente mostra del 2024, Il Quadrato e lo Spazio. Da Malevič al GES-2 di Mosca, curata da me e Francesco Bonami; focalizzata sulle origini del celebre Quadrato nero di Malevič e sul suo impatto sull’arte russa e mondiale. Esposizione che, attraverso un allestimento immersivo, concepito come una città, intendeva trasmettere il ruolo di primo piano della Russia nello sviluppo dell’arte internazionale del XX Secolo.
Zelfira Tregulova, un approfondimento sulla sua pratica curatoriale
Come curatrice da dove parte per costruire il concept di una mostra?
Per quanto io ami raccontare storie, il vero narratore è l’arte stessa. Nella mia visione, ho sempre immaginato il ruolo del curatore come quello di una sorta di medium tra il fenomeno artistico e il mondo. Quindi, anche quando mi occupo di arte antica, cerco sempre di adottare un approccio contemporaneo; non solo ovviamente a livello tecnologico ma proprio concettuale, per coinvolgere i visitatori attualizzando il messaggio delle opere, sulla base del fatto che l’arte è sempre contemporanea.
Come affronta i nuovi progetti?
Per prima cosa faccio un attento vaglio dei materiali; uno studio profondo delle fonti, cercando di risalire alle dichiarazioni dirette degli artisti. Poi, cerco di mettere da parte tutto ciò che ho letto per concentrarmi sulla mia visione del fenomeno, in linea con l’attualità. Nella fase successiva mi occupo di selezionare le opere che trasmettono al meglio e in maniera coinvolgente il messaggio da veicolare.
Quanta importanza ha la dimensione collaborativa nella sua pratica curatoriale?
Penso che le collaborazioni siano essenziali per il successo di un progetto. In particolare, per l’allestimento ritengo indispensabile interfacciarmi con designer di mostre, architetti o scenografi, sin dalle fasi iniziali di elaborazione del progetto. Queste figure possono aiutare il curatore a chiarire idee ancora in stato embrionale. Del resto, oggi le mostre più riuscite, emozionanti e coinvolgenti, si possono considerare delle vere e proprie opere d’arte.






Secondo lei qual è, o quale dovrebbe essere, la mission del curatore?
Per quanto oggi la figura del curatore sia sotto i riflettori, ritengo che sia fondamentale mettere da parte l’ego per porre al centro l’arte, perché l’obiettivo dovrebbe sempre essere quello di “far parlare le opere”. Nello specifico, dato che ogni epoca ha una sua semantica, anche distante da quella contemporanea, penso che lo scopo del curatore, a fronte di un lavoro di decodificazione e interpretazione, sia quello di offrire una chiave di lettura sempre attuale, idonea a trasmetterne a pieno il messaggio.
A quale o quali mostre è più legata?
Tra le mostre a cui sono più legata, desidero ricordare la retrospettiva dedicata a Valentin Serov che, tra il 2015 e il 2016, è stato un grande successo che ha riportato la Galleria Tret’jakov al centro dell’attenzione pubblica dopo tanti anni. Poi le esposizioni realizzate nel 2019 nell’ambito dello scambio con il Museo Munch di Oslo. Perché la mostra di Munch a Mosca è stata definita dal direttore del Museo di Oslo come la miglior presentazione dell’artista nell’ultimo decennio; e la mostra della Tret’jakov ad Oslo è stata la più visitata nell’edificio storico del museo.
Infine, un’altra delle mostre più riuscite della Tret’jakov durante la mia direzione è stata: Sogni di libertà. Romanticismo in Russia e in Germania, organizzato in collaborazione con i Musei Statali di Dresda nel 2021 e sviluppato per i due paesi secondo un unico concept da curatori russi e tedeschi, con allestimento di Daniel Liebeskind. L’esposizione, concepita come un labirinto, dimostrava il profondo legame tra Romanticismo e Arte Contemporanea.
Che ruolo giocano l’arte e la cultura nel costruire un mondo migliore?
La cultura e l’arte, in quanto strumenti potentissimi, sono essenziali per creare un mondo migliore anche rafforzando i rapporti tra i paesi. Oggi abbiamo sviluppato una visione più ampia, fondata sulla consapevolezza che, al di là delle appartenenze, tutti i popoli si sono sviluppati seguendo modelli simili, sulla base di reciproche influenze. Per questo, pur riconoscendo le differenze, è importante tutelare e valorizzare l’arte e la cultura, in tutte le loro forme. Infine, l’arte ha un potere taumaturgico in grado di curare l’anima, infondere coraggio e speranza, ragion per cui dovrebbe essere aperta e davvero accessibili a tutti.
Ludovica Palmieri
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