Arte e storia. Ecco come se ne discute in un museo di Amburgo

La mostra “Making History – Hans Makart and the Salon Painting of the 19th Century” alla Kunsthalle di Amburgo è un esperimento da studiare: a opere storiche sono affiancate domande come “questo dipinto glorifica il colonialismo?” “Come pensi che i musei dovrebbero affrontare opere come questa?”. Cosa succederebbe se fosse organizzata in Italia?

Ha senso affrontare con una metrica contemporanea una quadreria che raccoglie esclusivamente opere del passato? Non si tratta in questo caso di un esercizio gnoseologico, ma di un’iniziativa dichiaratamente pedagogica in atto alla Kunsthalle di Amburgo con l’esposizione Making History – Hans Makart and the Salon Painting of the 19th Century.
Una premessa va fatta. Partecipare a una conversazione tra addetti ai lavori italiani su temi riguardanti il ruolo dei musei può essere sconfortante. Accademici o “militanti” scambiano enunciazioni dotte riguardanti i complessi meccanismi della macchina-museo, dove però il convitato di pietra resta chi questi luoghi dovrebbe frequentare. Dedicate al possibile “visitatore” esistono rare iniziative virtuose, ma il dato con cui confrontarsi viene volentieri accantonato. In Italia il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è costituita da analfabeti funzionali; in area europea siamo secondi solo alla Turchia, che raggiunge il 47%.
Se oltre 16 milioni di adulti non sono in grado di affrontare altro che un testo breve e concentrato su una sola notizia, quanti sono davvero in grado di “leggere” un’opera d’arte? A quali élite è destinata la comprensione delle meraviglie custodite in ogni angolo della Penisola? I musei sono destinati a diventare cassette di sicurezza da consegnare a un futuro sperabilmente migliore o devono farsi carico di esercitare una funzione propedeutica?

Ansel Feuerbach, Il giudizio di Parigi, 1870

Ansel Feuerbach, Il giudizio di Parigi, 1870

LA MOSTRA ALLA KUNSTHALLE DI AMBURGO

Ecco allora perché diviene interessante considerare l’esperimento poco filologico in corso fino al 31 dicembre 2023 alla Kunsthalle di Amburgo. In un grande salone è stato collocato L’ingresso di Carlo V ad Anversa (1878) di Hans Makart: è il dipinto più grande conservato dal museo, non meno di 50 metri quadrati. Si tratta di una messa in scena con sovrabbondante presenza di nudi femminili a fiancheggiare l’ingresso equestre dell’Asburgo in città, avvenuto nel 1520. Evento realmente accaduto, ma che non si è certo svolto nel modo raffigurato. Nel medesimo salone, al dipinto di Makart si affiancano altri 60 tra dipinti e sculture. Stando agli organizzatori: “Una passeggiata sul filo del rasoio tra erotismo e sessismo, partecipazione e voyeurismo, realtà e fantasia, kitsch e critica sociale, ma anche nostalgia e atteggiamento retrospettivo”. Ai piedi di ogni tela sono esposte una serie di domande (più o meno di questo genere: Cosa pensi di questo dipinto? Lo trovi provocatorio? Pensi che sia sessista o è una domanda retorica? I fatti sono importanti quanto l’immaginazione? Questo dipinto glorifica il colonialismo? Come pensi che i musei dovrebbero affrontare opere come questa?).
Le opere sono suddivise in gruppi tematici. In evidenza c’è la cosiddetta pittura storica. Oltre all’opera di Makart, tre dipinti di Paul Delaroche (1797-1856) magnificano i governanti, resi quali individui disponibili e premurosi. C’è poi la pittura di genere: chi guarda percorre un viaggio a ritroso nel tempo fino all’antichità romana immaginata da Lawrence Alma-Tadema (1836-1891) o al rococò francese di Ernest Meissonier (1815-1891); la sezione è dominata dal dipinto di grande formato di Anselm Feuerbach, Il giudizio di Parigi (1870).

“Il parallelismo con le immagini delle barche dei migranti sulle rotte della morte mediterranee attualmente trasmesse dai media appare evidente”.

La pittura di genere viene indicata in Making History come reazione alla realtà sociale del periodo: accade ad esempio in Emigrant Passengers on Board (1851) di Karl Schlesinger. A metà del XIX secolo, a causa di guerre, carestie e disoccupazione, migliaia di persone furono costrette a lasciare l’Europa. Il parallelismo con le immagini delle barche dei migranti sulle rotte della morte mediterranee attualmente trasmesse dai media appare evidente. Come evidente è la messa a fuoco del lavoro di coloro che rivolgevano in quel periodo l’attenzione al Medio Oriente. Ad Amburgo il punto di vista è totalmente contemporaneo: qui questa “pittura orientale” sarebbe testimonianza di una visione eurocentrica della cultura arabo-islamica.
Making History dispone inoltre di un apparato comunicativo non indifferente. Un opuscolo di accompagnamento, disponibile in forma analogica e in download, riprende le domande esposte in sala e fornisce risposte parziali. Le mettono a disposizione attivisti come Reyhan Şahin alias Lady Bitch Ray o storici dell’arte come Mirna Funk, Anne Petersen, Wolfgang Ullrich e Hubertus Kohle. La selezione delle loro contrastanti opinioni viene indicata come una possibile base di ragionamento per sollecitare la formazione di opinioni personali, da condividere all’interno delle piattaforme predisposte. In sala sono disponibili anche due libri: Makart Then e Makart Now. Tracciano la ricezione ambivalente della pittura di Makart dai suoi inizi ai giorni nostri (Makart Then) e sfidano i visitatori a continuare a scriverne dalla nostra prospettiva odierna (Makart Now). L’hashtag #MakartNow può inoltre essere utilizzato sui social media. Sono previste visite guidate sul tema #MakartNow, in cui i membri dello staff condividono la propria visione di Makart e di altre opere presenti nella raccolta permanente.
L’esposizione in più non è episodica. Questo salone che introduce ai tesori del museo è stato individuato come sala di apertura stabile per la visita alle collezioni, utile a incoraggiare sia il plauso che la critica. Corretto e scorretto sono concetti in evoluzione nel tempo e nello spazio. Ma l’esercizio di valutazione che ne deriva è forse anche uno straordinario gancio emotivo.

Aldo Premoli

https://www.hamburger-kunsthalle.de/en

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #68

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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