Beirut: le immagini e il racconto del fotografo Alessandro Rizzi

Il fotografo Alessandro Rizzi ha scattato queste immagini nel 2010. Raccontano l’area del porto di Beirut devastata dalla tragica esplosione del 4 agosto 2020

Le immagini della tragica esplosione in quello che sembrerebbe essere un deposito contenente tonnellate di nitrato di ammonio che ha devastato l’area del porto di Beirut – con un bilancio drammatico in termini di vittime e feriti – hanno fatto il giro del mondo. Beirut, la meravigliosa città libanese che nel corso degli ultimi anni ha ispirato e prodotto architetti e artisti, con una scena vibrante per l’arte contemporanea che era stata raccontata nel 2017 da una bella mostra a cura di Hou Hanru e Giulia Ferracci al Maxxi di Roma, oggi si chiede le ragioni di quanto accaduto. Il fotografo Alessandro Rizzi (Castelnovo di Sotto, 1973) ha visitato e lavorato a Beirut nel 1999 e nel 2010, trasferendosi per alcuni mesi in città e collaborando con istituzioni culturali e gallerie locali. Gli scatti che vi mostriamo, in cui il colore bianco è centrale perché “sta a significare l’idea di un paesaggio che tornava vivo, perfetto, sognato”, per dirla con le parole dell’autore, realizzati nel 2010, raccontano l’area del porto distrutta dall’esplosione del 4 agosto 2020, così come il testo, tratto dal suo diario, a seguire.

Alessandro Rizzi, Beirut Untitled#12, courtesy dell'artista

Alessandro Rizzi, Beirut Untitled#12, courtesy dell’artista

IL DIARIO DI ALESSANDRO RIZZI SU BEIRUT

Il vento tira forte questa mattina sulla Corniche, guardo Beirut dal mare prendendo un po’ di respiro dopo le settimane vissute voracemente nel suo ventre… Sono venuto per la seconda volta quest’anno, appena dopo i giorni giapponesi e poi di nuovo due settimane fa invitato da un’amica con l’idea di un nuovo progetto. 

Ho vissuto a Beirut nel 99 a 25 anni, dura e difficile, ora è un’‘altra città seppur nel pieno di enormi contraddizioni. In questo caffè sul mare, il vento del Mediterraneo e i profumi delle ragazze si uniscono e dicono il nuovo di questo medio oriente. Le famiglie chiassose aspettano il passare delle ore più calde per prendere possesso degli scogli nero grigi su cui si adattano quasi a conoscerne le forme. I tratti somatici ormai mischiati da decine di influenze mi sono irriconoscibili. Arrivano i profumi del caffè turco e del pane utilizzato per l’hummus..che adoro.

A volte mi sembra di aver avuto mille vite nei mille posti dove sono stato scivolando tra le strade, nei quartieri e per cene. In un perenne movimentato equilibrio tra la solitudine che la fotografia chiede e l’esigenza di mischiarsi, condividere, di conoscere mondi diversi, diverse provenienze, diversi limiti trovandone il proprio. Mentre me lo chiedo, leggo Etel Adnan, un nuovo amore si è aperto tra le pagine delle sue lettere e dei suoi romanzi. Una dolcezza linguistica che mi apre occhi e ali. Domani sera ceneremo insieme a casa di Serge, qui a Gemmazye, dove vivo.

La voglia di scrivere sale forte leggendola, così come quella di non perdere niente di quello che si vive, l’occasione del dire come quella di comunicare nelle molte forme in cui ci è dato. Non è forse questo uno dei motivi più intimi e forti del fotografare? 

Riesce a diventare così quotidiana e intima la fotografia proprio per la sua natura esclusiva e selettiva che tocca corde diverse? La necessità dell’essere presente a se stessi fa della fotografia un mezzo della consapevolezza, dello sguardo che sente. 

Per ora lascio a “Letters to Fawazz” la bellezza di parlarmi della vita e delle donne nell’analisi bellissima che la Andan ne fa… Mentre scrivo, un pezzo della carta comprata ieri a Damasco che avevo sul tavolo vola via davanti a me, verso il mare, prendo la macchina fotografica…

Beirut, Giugno 2010.

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Redazione

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