In Cile brucia anche la cultura. L’editoriale di Antonio Arévalo

In Cile, gli eccessi della polizia hanno fatto una nuova vittima, questa volta non umana ma culturale, l’incendio doloso di uno dei polmoni fondamentale della cultura cilena, il Centro Arte Alameda.

Dopo 70 giorni di cortei, i numeri che arrivano dal Cile sono da brivido: dal 18 ottobre, giorno dell’inizio della protesta, finora sono stati confermati 26 decessi, principalmente associati a incendi (12 casi), scontri tra cittadini (7 casi) o scontri con i militari (4 casi); oltre tremila cinquecento persone ferite, 359 rimaste senza vista a causa dei proiettili di gomma sparati direttamente in faccia dai soldati, circa quindicimila arresti ufficiali, violenze sessuali, a cui vanno aggiunte voci non confermate di numerosi desaparecidos.
Il Cile è uno degli stati più ricchi del Sudamerica, ma è anche uno di quelli con le maggiori diseguaglianze sociali. I ricchi sono una minoranza che detiene il potere. Tutti gli altri sopravvivono senza tutele né stato sociale. Il salario base sfiora i 366 euro mentre la pensione minima è di circa 140 euro al mese. I prezzi delle medicine sono i più alti del continente, le multinazionali hanno il controllo su tutto. Le telecomunicazioni, le farmacie, i supermercati, la sanità pubblica, l’istruzione e perfino l’acqua sono stati privatizzati. Il rancore verso la classe dirigente qui cova da anni. La gente si è stufata e per questo scende in piazza.
Si diceva “La nazione è come una pentola a pressione che prima o poi esploderà”. Si è parlato molto del modello neoliberista praticato in Cile come esempio per il mondo, perché è qui che il modello neoliberale è nato. Per fare questo alle persone sono stati tolti i loro diritti, sono state tolte loro le cose basilari, come la scuola o la medicina. Quindi era necessario un aggiustamento dei conti e non c’è nulla di bello nella distruzione della città, dei beni pubblici che la gente sentiva non fossero più pubblici, perché avevano scaglionato l’intero stato, dove i politici e il potere economico avevano fatto, hanno fatto e fanno ciò che vogliono.
Il 25 ottobre del 2019 sarà ricordato nella storia del Paese per la “più grande marcia in Cile”, i manifestanti sono scesi in piazza, sfidando le forze di sicurezza. Un milione di persone a Santiago e oltre quattro milioni in tutto il Cile, che manifestano contro la repressione da parte delle forze militari e contro le politiche del presidente Sebastián Piñera.
È una rottura generazionale. Una nuova generazione che vuole vincere! Il presidente, irresponsabilmente, ha fatto uscire i militari dalle loro caserme; per giustificare una iniziativa così drastica, ha parlato di “stato di guerra”. Ma guerra contro chi? Forse contro di lui.

Il rogo del Centro Arte Alameda è un fatto contro ciò che il Potere teme maggiormente: consapevolezza critica, intelligenza, immaginazione, identità e cultura”.

Abbiamo ferite ancora aperte, riportare le forze armate per le strade del Cile è profondamente doloroso. In questi stessi giorni abbiamo visto tutti il fenomeno mondiale e l’agitazione che ha causato la performance “Un violador en tu camino” del collettivo Las tesis, un gruppo di quattro donne, due attrici, una storica e un’artista visiva che affermano di aver scelto quel nome perché usa le teorie del femminismo e le “traduce” nel linguaggio artistico / performativo, diffondendole. Il suo impatto è stato globale perché gli stati sono risultati deboli nel legiferare e condannare ciò che non è sempre stato considerato un crimine. Questo messaggio ha contribuito a renderlo pubblico.  Giorni fa l’ex ambasciatore del Cile in Italia, Fernando Ayala, ha lanciato una inedita proposta: “Dobbiamo promuovere il riconoscimento universale del messaggio di queste quattro donne di Valparaíso attraverso la loro nomina al Premio Nobel per la pace per il loro immenso contributo ai diritti e all’uguaglianza delle donne”.

IL CENTRO CULTURALE CINEMA ARTE ALAMEDA

Lo scorso venerdì la violenza è fuggita di nuovo al controllo e gli eccessi della polizia hanno causato una nuova vittima, il Centro Arte Alameda.
Il Centro Culturale Cinema Arte Alameda nacque nel 1992, la sua direttrice Roser Fort è riuscita a consolidare il Centro nel circuito dei teatri d’arte a livello nazionale e a renderlo parte attiva della rete dei cinema del Cile. Spazio storico ed emblematico nella città di Santiago, situato a pochi passi da Piazza Baquedano o Piazza Italia, nominata dalle masse protestanti Piazza della Dignidad. Luogo in cui diverse realtà sono confluite nel tempo; un punto di incontro sociale per manifestare. Non è un caso che il Centro Culturale Cinema Arte Alameda si trovi in questo quartiere. La sua storia ha visto anche andare e venire epoche e generazioni diverse che hanno segnato il Paese.
Fin dalla sua istituzione, offre il meglio del cinema d’arte nazionale e internazionale, scommettendo su produzioni indipendenti, straniere e LGBT+. Concerti e altre esibizioni dal vivo vengono eseguiti nella sala principale. L’incidente iniziato con il lancio di una bomba lacrimogena dai Carabineros in questo luogo è diventato simbolo dell’insurrezione sociale, perché ha funzionato anche come centro assistenza e di cura per i feriti che manifestavano.
Sebastián Lelio, il regista del film Una donna fantastica, entrato nella storia dell’Academy perché è riuscito ad aggiudicarsi un Oscar come migliore film straniero, ha espresso la sua posizione dopo aver saputo dell’incendio presso il Centro Cine Arte Alameda, rivolgendo una forte critica nei confronti del governo di Sebastián Piñera. “Quel merdoso Cile di Sebastián Piñera e la sua avida mafia è solo il Cile da cui tutti noi ci svegliamo. Confido che saremo in grado di cambiarlo”.
Oggi, come dice il giornalista Eugenio Llona, conosciamo l’infamia dei cretini e degli ignoranti che si rallegrano della sua distruzione, se potessero brucerebbero di nuovo libri, film, video. Non è storia passata, è una minaccia latente. Il rogo del Centro Arte Alameda è un fatto contro ciò che il Potere teme maggiormente: consapevolezza critica, intelligenza, immaginazione, identità e cultura.

Antonio Arévalo

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