L’emozione in primo piano. Focus sulla Biennale di Moss, in Norvegia

La città norvegese di Moss si prepara ad accogliere la decima edizione di Momentum, la biennale che quest’anno punta sul legame tra arte ed emotività. In attesa dell’ampio reportage dalla Norvegia pubblicato sul prossimo numero di Artribune Magazine.

Giunta alla decima edizione, la Biennale di Moss, in Norvegia, fa il punto sulla sua storia e approfondisce il radicamento in città. A curarla Marti Manen (in collaborazione con Anne Klontz), che ci racconta la linea artistica e gli sviluppi di questo decennio a Moss.

All’ormai storica Biennale di Moss, si sono appena aggiunte quella di Oslo, e poi, annunciata per il 2020, anche la Biennale di Helsinki. La scena artistica scandinava sta quindi aumentando i suoi scenari di visibilità e promozione, segno dell’esistenza di un trend di crescita. Conferma l’impressione?
È interessante vedere la quantità di biennali nella scena artistica scandinava, alcune delle quali con una storia importante ‒ come Momentum ma anche GIBCA a Göteborg e la Luleå Biennalen recentemente recuperata ‒ e altre nuovissime come il caso della Biennale di Oslo. La sorpresa è che ogni biennale ha una sua specificità ed è legata al suo territorio, offrendo così differenti punti di vista su cosa possa essere una manifestazione del genere. LIAF ha un incredibile paesaggio naturale come sfondo che definisce l’approccio all’arte, Bergen ha un chiaro desiderio concettuale, Oslo si occupa dell’idea della sfera pubblica … quindi sì, per me è interessante chiedersi perché questa espansione stia avendo luogo adesso, ma è anche importante essere consapevoli che si tratta non di numerose biennali, ma di differenti modelli di biennali.

Questa è la decima edizione della rassegna; come è cambiata la risposta del pubblico in questi anni? C’è stato un aumento delle presenze e dell’interesse, anche verso l’arte in generale?
Momentum è ben strutturata, il team che lavora con la biennale è estremamente organizzato e ciò significa che si è evoluto nel tempo per essere in grado di lavorare nel miglior modo possibile, anche se non è cresciuto di numero in proporzione alla grandezza della biennale, e credo ciò sia un dettaglio importante. Per questa decima edizione, ho osservato la storia della biennale per includerla a livello espositivo, parlando con molte persone (professionisti ma anche cittadini di Moss) per vedere cosa rimane e ciò che scompare. Per me era importante fermarsi e osservare, pensare ai ritmi di produzione in relazione al racconto storico. Non sono sicuro se la risposta sia cambiata nel corso degli anni, quello che posso vedere è che Momentum ha avuto un impatto sui ricordi degli abitanti di Moss.

Marti Manen e Anne Klontz. Photo Bronwyn Bailey Charteris

Marti Manen e Anne Klontz. Photo Bronwyn Bailey Charteris

Che cosa intende?
Alcune opere d’arte sono diventate narrazioni condivise sul fatto che Moss ora fa parte dell’immaginario della città. Significa che il pubblico locale ha in mente ben più dell’edizione che sta visitando in questo momento, conosce tutti i precedenti, il livello di complessità è maggiore e possono verificarsi dialoghi asincroni. Con Momentum10, volevo osservare questa situazione e riportare alcune opere in dialogo con le nuove produzioni. È stato estremamente importante parlare con gli artisti al riguardo: come presentare qualcosa che fosse site specific, quando il contesto è cambiato? Cosa succede con il vocabolario? Quali parole sono obsolete e quali sono ancora vive? E anche a livello tecnologico: stiamo riadattando alcune opere in nuove versioni come nel caso di Saskia Holmkvist e Stine Marie.

Oltre a quelli scandinavi, si nota la presenza di alcuni artisti di area ispanica. Cosa vi ha spinto a includerli nella rassegna?
Momentum10 ha come titolo o sottotitolo The Emotional Exhibition. Abbiamo a che fare con la complessità delle emozioni e l’accettazione, un tema piuttosto caratteristico per i Paesi nordici. Ma hai bisogno di alcuni contrasti e di altri modi per affrontare le questioni, per offrire una varietà di situazioni che possono essere quasi contraddittorie. L’emotivo ha bisogno di essere contraddittorio, in qualche modo. Abbiamo artisti da molti Paesi, ma è ancora una biennale a maggioranza nordica: abbiamo un quadro generale di questo tipo, però con graduali nuovi input da parte di artisti provenienti da Francia, Spagna, Portogallo, Cipro, Paesi Bassi, alcuni con sede a Berlino, alcuni con sede in America Latina, artisti dalla Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Islanda … La scelta degli artisti non è necessariamente basata sulla nazionalità, è più un approccio al lavoro che stanno producendo.

Qual è l’atteggiamento dei collezionisti nordeuropei verso l’arte contemporanea? Si vuole investire anche su giovani artisti meno noti?
Non ho molti elementi per rispondere. Quello che posso vedere è che le fiere nei Paesi nordici sono piccole e che esiste una ricca struttura di piattaforme finanziate con fondi pubblici in molti formati e dimensioni.

Galleri F15, Moss. Photo Ingeborg Øien Thorsland

Galleri F15, Moss. Photo Ingeborg Øien Thorsland

Il titolo di quest’anno, The Emotional Exhibition, vuole anche essere un riferimento alla necessità di riscoprire un’identità scandinava, nell’epoca della globalizzazione?
L’emotivo è probabilmente uno dei pochi modi possibili che abbiamo adesso per affrontare il mondo. Leggo questo elemento nell’arte contemporanea come un campo sfocato che può aiutarci a ridefinire la storia e il futuro. È con l’emozione che possiamo leggere diversamente la politica, la cultura, la realtà. E l’arte è un campo che abbraccia la complessità delle emozioni. L’identità scandinava ‒ se esiste ‒ è connessa all’accettazione dell’emozione, ma l’emotività nell’arte contemporanea è qualcosa d’importante in generale, se osserviamo con attenzione.

Sono allo studio collaborazioni e scambi con musei e istituzioni europei, o comunque di altri Paesi dell’area scandinava?
Dirigo Index Foundation a Stoccolma e la prima presentazione pubblica di Momentum10 è stata fatta insieme a GIBCA di Göteborg. Momentum ha sempre prestato attenzione ai Paesi nordici e dialoga con altre biennali, non solo in Scandinavia.

La città sta attraversando un momento molto dinamico anche dal punto di vista dell’architettura. Ci sono legami con quanto sta accadendo fra le arti visive?
Ci sta influenzando. Dopo la nostra edizione, Momentum avrà bisogno di pensare a cosa fare perché uno dei suoi luoghi principali ‒ Momentum Kunsthall ‒ sta per scomparire. Stiamo parlando di un grande edificio industriale nel centro di una città in crescita, un luogo che ha mantenuto la sua identità per molti anni, ma adesso l’area circostante alla Kunsthall è stata riconvertita in condomini, e un nuovo binario ferroviario vi sarà costruito a breve, e cambierà radicalmente la zona; per questo, una collaborazione con la compagnia ferroviaria norvegese è iniziata con questa edizione di Momentum.

Niccolò Lucarelli

Moss // dall’8 giugno al 9 ottobre 2019
Momentum10
MOMENTUM KUNSTHALL
Henrich Gerners gate, 1530
https://punkto.no/

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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