Dall’Overscrolling all’overtourism: la società contemporanea ha perso il senso della misura?
La cultura globale sta erodendo i limiti fisici e psicologici del nostro vivere, andando incontro a comportamenti ossessivi che esauriscono le nostre energie. In questo contesto, elemento centrale è il ruolo della tecnologia che stimola le persone a spingersi sempre più verso gli eccessi

Negli Anni Sessanta il consumismo faceva incursione nel mondo dell’arte, con la sua tipica ripetitività. La Pop Art, con Andy Warhol in testa, trasformava le icone della cultura di massa in ingigantiti quadri-simbolo di una società indissolubilmente legata alla produzione industriale: un’indagine estetica sul tema del troppo, matura sia nella forma che nei contenuti. Oggi, più di sessant’anni dopo, la comunità globale è quanto più lontana dal superamento dei suoi vizi capitalistici e sembra aver assimilato nel proprio DNA una spiccata tendenza all’over (l’eccesso).
Over come paradigma psicologico, sociale e comunicativo nella società
Oversharing, overtourism, overscroll, overcommunication: sembra che il nostro modello societario riesca a spingere fino al limite ogni nostro comportamento. Anche se ognuno di questi fenomeni ha una letteratura ha sé, è difficile ignorare le similitudini che connettono l’uno all’altro: compulsione, dipendenza e ansia da prestazione fanno sicuramente da denominatore comune e anche il ruolo della tecnologia si rivela sostanziale nell’alimentazione delle derive.
La logica dell’over, infatti, trova terreno fertile in una vita così pubblicamente esposta come la nostra: condividiamo momenti intimi sui social network per un bisogno malsano di riconoscimento comunitario, decidiamo dove andare in vacanza guidati dalla Fear of Missing Out (FOMO), lasciamo che le nostre dita scivolino sullo schermo dello smartphone fino a notte fonda a causa di un’insoddisfazione profonda e abbiamo perso completamente l’allarme per il sovraccarico mentale, perché abbiamo assorbito il mito dell’uomo multitasking.
Scegliendo di misurare l’individuo con i criteri di efficienza, velocità di calcolo e abnegazione che afferiscono più propriamente al mondo dei computer o degli apriscatole, abbiamo implicitamente legittimato la società della performance e, di conseguenza, abbiamo giustificato l’eccesso come normalità: un intreccio tridimensionale tra psicologia individuale, narrazione mediatica e dinamiche sociali.

Dalla condizione individuale al collasso collettivo nella società
Se, come appare, il suffisso over riecheggia imperterrito negli allarmi di psicologi e sociologi, viene spontaneo domandarsi se non esista una correlazione tra la velocità del progresso tecnologico e la facilità con cui compaiono i suoi effetti collaterali.
A delineare un legame tra questi fenomeni individuali e una crisi sociale strutturale è Hartmut Rosa, sociologo all’Università di Jena (Turingia, Germania), che già nel 2013 descriveva una modernità intrappolata in un circolo di accelerazione e sovraccarico.
Nel libro Social Acceleration: A New Theory of Modernity, Rosa spiegava come l’eccesso di stimoli, informazioni e responsabilità generi alienazione e frantumi il senso di coesione e comunità, perché una società che accelera senza tregua finisce per isolare e logorare gli individui.
In questo quadro, gli over fenomeni sono manifestazioni settoriali di un modello di vita soggiogato dal progresso e pronto a sacrificare ogni limite – sano – pur di rispettare le aspettative della performance.

Ritrovare il senso della misura tra overtourism e overscrolling
Tornare al di qua dei limiti valicati è forse complicato, ma possibile. Un nuovo senso della misura sembra riaffacciarsi nei varchi lasciati aperti da pratiche che offrono un riparo naturale dal troppo: dalla meditazione alla terapia cognitivo-comportamentale, fino alla riscoperta di una lentezza capace di restituire al corpo e alla mente il loro ritmo.
Non è un caso se app di wellness e figure come Jay Shetty – ex monaco oggi trasformato in vera e propria star planetaria del life coaching – raccolgono milioni di seguaci: segnale evidente di un bisogno diffuso di riconnettersi a una dimensione meno saturata.
Ma che questa ricerca passi proprio attraverso gli stessi algoritmi che alimentano la logica dell’over resta un paradosso: la promessa di equilibrio viene captata dall’industria dell’eccesso e trasformata in merce.
Forse il gesto più radicale non è affidarsi a nuovi trend salvifici, ma rimettere il corpo al centro e riconoscerlo come prima fonte di misura, perché è il corpo stesso a segnalarci quando il troppo è davvero troppo.
Teresa Giannini
Libri consigliati:
(Grazie all’affiliazione Amazon riconosce una piccola percentuale ad Artribune sui vostri acquisti)
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati