Cinema per il mondo. Parla Adelina von Fürstenberg

Torna Art/Trevi, la manifestazione che porta il cinema ad arte nell’iconico Cinema Trevi di via Puttarello a Roma, in collaborazione con la Cineteca Nazionale. Il progetto, a cura di Alessandra Mammì, inaugura la stagione con Art for the World e Adelina von Fürstenberg.

Ripercorriamo la storia di Art for the World. Come nasce e in che particolare momento della sua vita?
Nasce vent’anni fa, a cavallo di due secoli, in un momento in cui c’era ancora speranza e voglia di avere una certa consapevolezza sul mondo che sarebbe arrivato e sul ruolo dell’arte in questo contesto, portando, ad esempio, a una presa di coscienza del pubblico dell’arte. In quel momento ero la direttrice del Magasin di Grenoble.
Avevo presentato un progetto per il 50esimo anniversario delle Nazioni Unite, che è stato poi accettato. Così mi sono trasferita a Ginevra. Non avevo idea che mi sarei trovata una situazione così interessante.

Ci racconta il contesto?
Siamo evidentemente prima dell’11 settembre 2001, quindi c’era una grande libertà di movimento e opportunità di fare incontri. A Ginevra c’erano più di sessanta artisti e installazioni che si svolgevano nei corridoi del grande palazzo mentre i delegati facevano le loro conferenze.
Dopo questa esperienza era veramente difficile per me tornare in un contesto artistico tradizionale come quello museale. Il mondo allora poteva ricevere l’arte in una maniera più libera. E così con alcuni collaboratori di quella mostra abbiamo deciso di creare Art for the World.

Di cosa si tratta esattamente?
È un museo senza muri. Gli spazi che abita non sono, infatti, nostri. Abbiamo gli uffici e basta e facciamo le mostre secondo il concept e il senso del progetto. Nella mia vita ho ricevuto molto soprattutto attraverso rapporti con gli artisti, che sono e sono stati quelli di mutuale comprensione. All’inizio del progetto mi hanno aperto un sacco di porte.
Ad esempio, Teresa Serrano mi ha invitato a esporre al museo antropologico di Tepotzlán, vicino a Città del Messico, in una specie di monastero costruito con le pietre delle piramidi. Siamo stati, poi, invitati a lavorare in Marocco, in una scuola coranica nel 1997. Ma erano altri tempi…

Marina Abramović, Dangerous Games, 2008 – still da video

Marina Abramović, Dangerous Games, 2008 – still da video

Un progetto come il suo, dopo l’11 settembre come cambia?
Fino all’11 settembre abbiamo lavorato con la massima libertà in tantissimi Paesi come India, Brasile, Marocco… Durante l’11 settembre, invece, è stato molto drammatico… Noi avevamo anche gli uffici a New York e all’interno delle Nazioni Unite avevamo l’inaugurazione di una mostra di parchi giochi realizzati da artisti intitolata Playground and Toys che inaugurava il 13 in occasione del Congresso delle Nazioni Unite per i diritti dei bambini. Eravamo già pronti il 10, ma dopo quel che è successo, la mostra è rimasta congelata negli spazi dell’Onu, finché in gennaio abbiamo potuto smantellarla.

E in seguito?
È stato difficile, anche se al nostro ritorno a Ginevra non ci siamo resi conto subito di ciò che si stava preparando. Quell’anno, ad esempio, avevamo a Milano una grande mostra sull’arte e lo sport come strumento contro il razzismo, realizzata con Il Corriere dello Sport (a quel tempo il direttore era Candido Cannavò), l’Arengario e il Settore Giovanile della città di Milano, poi l’abbiamo portata a San Paolo, in novembre. E ci siamo trovati in un Paese che non era stato toccato da tutto questo.
Questa consapevolezza ci ha dato una grande libertà e una grande forza di andare avanti. E andiamo avanti. Anche se, certo, oggi una mostra in una scuola coranica non si potrebbe fare.

Se dovesse pensare di ideare oggi un progetto analogo, su che basi partirebbe?
Art for the World era così avanti quando è stato creato che adesso molti nel mondo dell’arte cominciano a lavorare su temi simili, ovvero sul fatto che l’opera d’arte e l’artista possono giocare un ruolo nel mondo e nella società. È pur vero che oggi sarebbe più difficile lavorare a un progetto simile: ad esempio, anche per i giovani artisti è tutto più complicato con un sistema dell’arte così rigido e conservatore.
Come rovescio della medaglia, però, voglio dire che oggi le aziende private sono molto più sensibili alla sostenibilità dei progetti d’arte, a differenza del pubblico.

Idrissa Ouédraogo, La Mangue, 2008 - still da film

Idrissa Ouédraogo, La Mangue, 2008 – still da film

Nel 2007 nasce invece questo progetto cinematografico che viene presentato nell’ambito di Art Trevi. Quali sono state le sue motivazioni?
Da tutta la vita sono una cinefila. E poi la videoarte mi ha sempre interessata molto. Essendo Art for the World associata alle Nazioni Unite, ci è stato chiesto di fare un progetto sulla salute. Un giorno mi invitano all’Alto Commissariato dei Diritti Umani per propormi un progetto e ho pensato: “Oh, no, ancora una mostra! Facciamo dei film! Anche per offrire a questi temi una diffusione più allargata…”. Parlare di diritti umani con il cinema è per me la migliore delle maniere. Mi sono quindi rivolta a degli amici produttori romani e insieme abbiamo cominciato a studiare i registi di tutti i continenti. In seguito abbiamo aggiunto anche degli artisti.
Oggi abbiamo ventidue film, frutto di un lavoro durissimo, ma che hanno avuto un grande successo [i registi sono: Marina AbramovićHany Abu-AssadArmagan BallantyneSergei BodrovCharles De MeauxDominique Gonzalez-Foerster & Ange Leccia Runa IslamFrancesco JodiceEtgar Keret & Shira GeffenZhangke JiaMurali NairIdrissa OuedraogoPipilotti RistDaniela ThomasSaman Salour,SarkisBram SchouwTeresa Serrano,Abderrahmane SissakoPablo TraperoApichatpong WeerasethakulJasmila Zbanic, N.d.R.]. Ancora oggi, non solo a Roma, ci chiedono di proiettarli. Dopodiché abbiamo voluto continuare, abbiamo fatto una seconda serie sulla libertà di religione ed espressione e su questo abbiamo realizzato altri sette film. Siamo nel 2011, però, dopo la situazione si è irrigidita di più.

Li trova ancora attuali?
Sì, perché la storie che raccontano sono molto umane, sono vicende sottili, dei vissuti reali. Se una persona riesce a illustrare il suo vissuto, parte dalle radici e arriva all’universale. Almeno io la penso così. C’è anche da dire che sono fiction, non sono documentari.

E se dovesse farne altri oggi, di che cosa vorrebbe occuparsi?
Ho un progetto nel cassetto, su cui sto cercando di lavorare già da tempo. Ma non riesco a concludere. Voglio affrontare di petto il dramma del cancro, che è un dolore personale per il malato e per chi gli sta intorno. Ho già una serie di sinossi di registi che raccontano delle storie di famiglia che non si dicono mai in giro. Ad esempio, in Cina c’è una donna che ha il cancro al seno e viene ripudiata dal marito. Oppure una storia sui jeans slavati, che si portano tanto oggi, che diventano oggetto del racconto di un regista turco che ne voleva parlare perché sono molto inquinanti.
Per me l’arte prima di tutto è educativa, a diversi livelli, qualsiasi opera d’arte ti dà la possibilità di riflettere e ti permette di vedere le cose in un altro modo. Per me è fondamentale. L’arte mi è servita molto nella mia vita perché da essa imparo ogni giorno. L’arte è cura.

Santa Nastro

Roma // 30 settembre 2016
Art/Trevi. Ai Confini dell’Immagine
a cura di Alessandra Mammì 
prenotazione obbligatoria 
ore 17:30 – Maratona di cortometraggi di Art for the World
ore 20 – Incontro moderato da Alessandra Mammì con Adelina von Fürstenberg
CINEMA TREVI
Vicolo del Puttarello 25

[email protected]
www.fondazionecsc.it
www.artfortheworld.net

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/56378/arttrevi-adelina-von-furstenberg/

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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