Intervista a Korakrit Arunanondchai. Tra Denim, Buddha e Steve Jobs

Museion di Bolzano presenta la prima personale in Italia dell’artista tailandese, presente in questi stessi giorni anche alla Biennale di Berlino. Tra la facciata esterna del museo e il primo piano, tra video e dipinti, l’artista racconta il suo lavoro. Giunto a una nuova svolta.

Korakrit Arunanondchai (Bangkok, 1986) ha esposto i suoi lavori in istituzioni come lo Sculpture Center di New York, l’ICA di Londra, e ha avuto personali al Palais de Tokyo di Parigi (2015) e al MoMA PS1 di New York (2014). E mentre ha appena aperto un solo show a Museion, Korakrit Arunanondchai partecipa alla Biennale di Berlino e a quella di Sydney. “Vedo un mondo nel futuro”, sostiene l’arista, “nel quale l’informazione crea la realtà, così come gli oggetti hanno mostrato e ancora mostrano il loro spirito, nella pratica della religione animista”.
Al piano terra di Museion ci sono tre grandi History Paintings (Poetry Floor), dipinti su tela di jeans su cui l’artista interviene a più riprese. Sotto la tela di jeans ne viene sovrapposta un’altra stampata, che raffigura la tela nello stato di precedente combustione. In queste opere processuali, richiami all’Espressionismo Astratto si mescolano ai meccanismi dell’arte digitale ai tempi di Photoshop. Il percorso prosegue con video e installazioni al quarto piano del museo. Qui l’artista crea un’esperienza avvolgente e coinvolgente: grazie a speciali pellicole, le facciate di vetro e l’illuminazione al soffitto sono trasformate in superfici colorate, che tingono di rosso, giallo e blu l’intero spazio espositivo.

Potresti rivelare parte del tuo contesto culturale e visivo di riferimento, quello che ti ha cresciuto?
Sono cresciuto a Bangkok, sono stato educato in un collegio maschile cristiano, molto distante da casa, poi al liceo ho scelto un istituto internazionale: mio nonno era un ambasciatore e mia madre un’insegnante di inglese che ha vissuto in molti luoghi. Ho realizzato un video in cui la mia voce e le mie parole in tailandese si sovrappongono direttamente le une alle altre, metà e metà. Ho frequentato diversi corsi di arte, iniziando a dipingere con Microsoft Paint. Fino che, a diciotto anni, mi sono trasferito negli Stati Uniti, alla Rhode Island School of Design, e mi sono diplomato in Printmaking. Poi, con altri compagni di corso, mi sono trasferito a New York e mi sono laureato in discipline artistiche alla Colombia University, dopo essere riuscito a stabilizzare il mio visto.

Korakrit Arunanondchai - Painting with history 3... - installation view at Museion, Bolzano 2016 - photo Luca Meneghel

Korakrit Arunanondchai – Painting with history 3… – installation view at Museion, Bolzano 2016 – photo Luca Meneghel

Chi sono i tuoi maestri, i tuoi pionieri, le tue guide?
Quando ero al liceo, ovviamente ho visto lavori che mi hanno ispirato, ma perché hanno spinto la mia realtà oltre uno stadio personale di immaginazione, come alcuni pezzi di Jeff Koons. Ma non credo che avere maestri più importanti possa spingere il tuo immaginario a diventare sempre più esteso. L’apprezzamento, la sensibilità, i pensieri, la comprensione derivano tutti da un proprio percorso intimo, da una reazione alle cose.
I miei maestri ritengo siano posizionabili tutti al di là della storia dell’arte, come rivoluzionari, pionieri del mondo della realtà virtuale che ho mostrato nel mio ultimo progetto a Berlino, oppure come i paesaggi umani di Hieronymus Bosch.

Per quale motivo il denim può essere considerato un materiale totemico nel tuo lavoro, un supporto ispirazionale?
Nel 2011, quando ho iniziato il mio più grande progetto che mi ha portato a riflettere su che cosa mostrare e su come relazionarmi con un museo, ho dovuto creare una sorta di filtro comunicativo piuttosto che dare vita a un personaggio come il Denim painter, attorno al quale, solo in seguito, ho creato un video.
L’integrazione con i personaggi e il medium che li attraversa, infatti, è un materiale facilmente reperibile e accessibile, dalla Tailandia al Giappone a New York, esotizzando me stesso e il mondo che ha creato le mie radici. Tutti hanno indossato almeno una volta nella vita il denim, indipendentemente dalla loro appartenenza sociale, e sono stati a diretto contatto con la sua consistenza, riconoscendolo percettivamente fra altri tessuti.

Quando lo hai sostituito alla tela pittorica?
È stato il passo successivo: sostituire la tela, terreno della pittura, con il denim, posto a terra, come un nuovo rivestimento dello spazio. È una sorta di stravolgimento, di passaggio ulteriore, ma allo stesso tempo globale, come il denim; materia/materiale utile a una comprensione totale della tecnica della pittura su tela. Un simbolo di cui tutti si sono appropriati, attraverso la circolazione delle immagini virtuali, e che, attraverso le sue diverse rappresentazioni, è sopravvissuto alle mode nel tempo.

Korakrit Arunanondchai, History Painting (Poetry Floor 1, 2, 3), 2016 – courtesy of the artist & C L E A R I N G, New York-Brussels – installation view at Museion Passage, Bolzano 2016 – photo Luca Meneghel

Korakrit Arunanondchai, History Painting (Poetry Floor 1, 2, 3), 2016 – courtesy of the artist & C L E A R I N G, New York-Brussels – installation view at Museion Passage, Bolzano 2016 – photo Luca Meneghel

Il tuo corpo come ha assecondato, come si è proiettato sul denim?
Ho iniziato le mie azioni di body painting come risposta diretta a una performance che avevo visto in un noto reality show in Tailandia. Era stata ingaggiata una spogliarellista professionista che, nel ballare quasi nuda, rivestita di pittura, aveva composto una tela attraverso il folcloristico boob painting. Questo fatto ha suscitato molto scandalo, lasciando che la gente si interrogasse su quel che fosse o non fosse il body painting, la body art al limite con la pornografia. Un dibattito che molto spesso si accende in un Paese ancora troppo conservativo e tradizionalmente buddista.

Com’era strutturata la tua performance?
Ho mostrato un pittore che solitamente ritrae solo i templi buddisti che rappresentano un’attrazione turistica della Tailandia; una persona che viene spesso invitata a giudicare in televisione quel che è o non è arte. Lui ha dato una chiara lettura di come il corpo nel buddismo rappresenti una coscienza e una consapevolezza, nei confronti anche della sex-entertainment industry della Tailandia.
Attraverso questa persona, il corso del mio lavoro ha raggiunto l’appropriazione e l’estensione di quella soglia tra conscio e inconscio che stavo cercando. Ibridando, forse sdrammatizzando il ruolo dell’artista.

E per quanto riguarda il video che stai esponendo alla Biennale di Berlino?
Non è più un lavoro che ripropone il mio personaggio the Denim painter, ma un film che racconta diversi punti di vista analizzando le reminiscenze del quotidiano e traendo spunto da flussi di informazioni – che rimarranno nei secoli e che verranno uploadate – così come da finti scheletri e parti di computer. Il lavoro in Biennale risente della physicality espressa a Museion, anche se si rivolge all’ambiente ed è contenuto in una sorta di barca.
Permettendomi di mostrare quel che resterà del denim, oltre il materiale stesso, pensando a quel che ci sopravvivrà quando avremo finito tutte le nostre risorse.

Ginevra Bria

Bolzano // fino all’11 settembre 2016
Korakrit Arunanondchai – Painting with history 3 or two thousand five hundred and fifty nine years to figure stuff out
a cura di Letizia Ragaglia
MUSEION
Piazza Piero Siena 1
0471 312448
[email protected]
www.museion.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/53831/korakrit-arunanondchai/

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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