La necessità della cultural accountability. Un editoriale e un libro

Che cos’è la responsabilità sociale d’impresa? E soprattutto, perché dovrebbe interessare il mondo della cultura? Stefano Monti spiega l’arcano. In questo articolo e in un libro che sarà presentato a Roma il 21 gennaio.

C’è un fenomeno, la responsabilità sociale d’impresa (o Corporate Social Responsibility), che mette insieme il mondo dell’iniziativa imprenditoriale e quello dei privati cittadini. Da un po’ di anni se ne sta parlando, ma forse non si è ancora capito bene di cosa si tratta. Allora, prima che l’Italia perda definitivamente anche quest’altra opportunità di diventare un Paese in grado di recepire quanto di buono viene realizzato nel mondo, cerchiamo di fare un po’ di luce sull’argomento.
Responsabilità sociale d’impresa vuol dire che un’impresa, nel suo operato, tiene conto anche delle conseguenze spesso inattese della propria attività. L’esempio classico, che si studia al primo anno di università, è quello dell’inquinamento: se una fabbrica impatta negativamente sull’ambiente, la “teoria” economica prevede che questa fabbrica debba in qualche modo “risarcire” gli abitanti delle zone circostanti. Ma questo è impossibile per tutta una serie di ragioni di natura tecnica e pratica. Allora cosa fa? Beh, se è un’impresa illuminata, proverà a ricompensare i cittadini attraverso una serie di iniziative (aprire asili aziendali per i propri dipendenti, sostenere economicamente un festival ecc.) per fare in modo che il danno causato possa essere in qualche modo risarcito, riscattato.
Questo è quello che succede fuori. Ma è solo una piccola parte di ciò che significa essere “responsabile” e, volendo essere schietti, è proprio questo alone un po’ buonista della responsabilità che ha determinato completamente il fallimento di una buona opportunità per il nostro Paese di acquisire competenze manageriali.

Stefano Monti (a cura di) – Cultural accountability - Franco Angeli

Stefano Monti (a cura di) – Cultural accountability – Franco Angeli

Perché il dato più importante di questa politica aziendale è che l’impresa, attraverso i principi della responsabilità sociale, è a conoscenza di come il proprio operato impatta sull’ambiente. Non è una cosa da poco. Provate a chiedere a qualsiasi tipo di fabbrica abbiate intorno alla vostra zona di residenza quale sia il suo impatto sull’ambiente, quante CO2 produca, quanti rifiuti riesce a smaltire ecc. Nella totalità dei casi (anche se sono ben accolte eccezioni) la risposta sarà sommaria, spannometrica.
Questa è la rivoluzione della Corporate Social Responsibility: fornire alle imprese uno strumento per comprendere tutte le dinamiche aziendali: dalla soddisfazione dei dipendenti a quella dei cittadini residenti nelle zone produttive, dall’impatto sull’ambiente alla capacità di creare comportamenti virtuosi (senza sostenere costi aggiuntivi).
Facciamo un altro esempio: è noto che un dipendente soddisfatto è notevolmente più produttivo di un dipendente che mira solo a mantenere il posto di lavoro. Con la CSR l’impresa è in grado di conoscere il livello di soddisfazione dei propri dipendenti, e il modo per migliorare tale livelli attraverso il minor costo possibile.
Si tratta di informazioni, dati. Ed è assurdo che in questa epoca “dataporn”, in cui il dato è il feticcio collettivo (dalla politica alle statistiche dei giochi sui mobile), la CSR non abbia fatto ancora breccia nel tessuto produttivo italiano.
A dire il vero, ciò che è ancora più assurdo è che non abbia ancora trovato il consenso delle cosiddette industrie culturali e creative, che più di qualsiasi altro settore dovrebbero avere bisogno di informazioni, non solo per la loro inclinazione produttiva, ma anche e soprattutto per avere piena consapevolezza di sé.

L'asilo aziendale della Tetra Pak di Modena - progetto ZPZ PARTNERS

L’asilo aziendale della Tetra Pak di Modena – progetto ZPZ PARTNERS

Il mondo delle ICC è molto variegato, ma se escludiamo le filiere produttive consolidate, rimane una popolazione di micro-imprese, con uno o due dipendenti, che producono beni o servizi e che hanno qualche difficoltà a rientrare in una o più etichette mentali di produzione, perché i loro modelli di business non possono essere comunicati attraverso i tradizionali conto economico e stato patrimoniale. Questo causa un’incertezza di fondo, una timidezza ad affacciarsi al mondo del credito (ostile), a quello della creazione di gruppi di pressione politica (irridente) e anche al pubblico generalista (indifferente).
Quale soluzione adottare? Informazioni, informazioni e informazioni.
Indicatori personalizzati in grado di fornire – innanzitutto a chi guida l’impresa e successivamente agli interlocutori esterni – una serie di dati in grado di raccontare con dettaglio ed esattezza la propria attività, il proprio valore aggiunto, che non è semplicemente un dividendo o un utile di esercizio, ma che coinvolge tutto il processo produttivo.
Si chiama Corporate Social Responsibility perché, per poter essere responsabili delle proprie azioni, è necessario conoscerle. Ed è qui che c’è stato il cortocircuito. Chi sente questo acronimo lo associa alla responsabilità civile d’impresa (che è argomento da avvocati, corti civili e pagamenti da effettuare). Chiamiamola necessità di informazioni di impresa o, ancora meglio, Cultural Accountability.
È una questione di cultura.

Stefano Monti

Stefano Monti (a cura di) – Cultural accountability
Franco Angeli, Milano 2015
Pagg. 128, € 17
ISBN 9788891725585
www.francoangeli.it

Il libro sarà presentato il 21 gennaio alle ore 18.30 presso il Casale dei Cedrati in via Aurelia Antica 219 a Roma

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più