La prima, lapidaria evidenza che necessita di essere rilevata in relazione agli eventi economici che hanno visto protagonista la Cina è che a nessuno, nel nostro Paese, sia venuto in mente di evidenziare come potranno modificare le dinamiche geo-economiche del mercato dell’arte globale. Ciò non fa altro che confermare che, mentre nel resto del mondo il mercato dell’arte è un mercato (e quindi chi si occupa di arte si occupa di mercato), in Italia si preferisce chiamare manager i direttori dei musei per sentirsi con la coscienza a posto. Questa lacuna è tuttavia imperdonabile, perché il ruolo che la Cina ha guadagnato negli ultimi anni all’interno del mercato dell’arte non è secondario a quello che ha ottenuto con le importazioni siderurgiche e con tutte le industrie che il governo della P.R.C. ha deciso di finanziare in modo più che imponente. Dunque, cosa sta succedendo in Cina?
PUNTO PRIMO: CRESCITA
Il più che notevole tasso di crescita che l’economia cinese ha collezionato negli ultimi anni era quasi insostenibile nel lungo periodo. Se un’economia si trova in una situazione di squilibrio, il recupero sarà rapido nei primi periodi (apertura di mercati, esportazioni, importazioni) fino a che non si raggiungerà un equilibrio di medio periodo. A partire da quel momento, per migliorare le performance economiche bisognerà applicare riforme strutturali che cambino la conformazione di quell’economia, migliorandone, si spera, l’assetto istituzionale, produttivo e legale.
PUNTO SECONDO: L’AUMENTO DEI PREZZI
La grande ripresa economica cinese ha portato l’apprezzamento della moneta. Questo ha comportato che non solo i prezzi interni fossero più alti, ma anche che i prezzi esterni (il cambio poco favorevole) risultassero meno convenienti rispetto a quelli di altri Paesi. Questo ha determinato nel tempo un abbassamento del potere d’acquisto interno e un ancor più rilevante calo delle esportazioni: fattori, questi, che giocano un ruolo rilevante all’interno del processo di formazione del PIL cinese.
PUNTO TERZO: LA CULTURA ORGANIZZATIVA
Non sempre ci si sofferma sulle grandi trasformazioni sociali che sono avvenute in Cina negli ultimi anni. Ancor meno frequentemente si riflette sulle caratteristiche della cultura organizzativa: quanta dell’economia cinese è sommersa? Qual è il tasso di corruzione al di là della grande muraglia? Tutte le economie che cambiano repentinamente sono caratterizzate da elevatissimi livelli di corruzione e di flussi di denaro provenienti da attività illecite. Sembra irrilevante, eppure il fenomeno della corruzione è talmente dilagante che chi per primo si è occupato di questo fenomeno non è stata la statistica ufficiale ma la letteratura. Esatto: la letteratura contemporanea cinese ha iniziato già da qualche anno a descrivere, sullo sfondo delle strutture narrative tipiche del romanzo, una classe amministrativa (dirigente e non) molto trascurata, dedita all’alcool e soprattutto incline a fenomeni di corruttela. I primi romanzi, dapprima censurati, sono stati dei veri best seller che hanno poi fatto sì che si rompesse quella resistenza “ufficiale” alla divulgazione del fenomeno.
PUNTO QUARTO: LA STRUTTURA FINANZIARIA
Nell’ultima decade, la Cina ha rapidamente sviluppato una propria classe di investitori finanziari, istituzionali e non, attivi a livello globale, che hanno rapidamente aumentato il loro livello di ricchezza e la loro capacità di spesa. Ma non solo. La Repubblica Popolare Cinese ha anche avviato un percorso di finanziarizzazione della propria economia, con l’apertura di numerosi intermediari finanziari e la creazione di altrettanti numerosi fondi d’investimento. Tali fondi erano dapprima strumenti finanziari molto poco sofisticati, ma con il tempo hanno iniziato a mostrare un livello di differenziazione tale da poter competere con gli altri strumenti disponibili sui mercati occidentali sia per qualità di differenziazione degli investimenti sia per tasso di ritorno economico che fornivano ai loro investitori.
PUNTO QUINTO: LE CULTURAL AND CREATIVE INDUSTRIES
Così come il cluster culturale e creativo si è imposto all’attenzione dell’Occidente, negli ultimi anni anche il gigante asiatico ha avviato un percorso di crescita e di valorizzazione delle cosiddetta CCIs. Com’è noto, questo settore è vastissimo e all’interno della catena del valore dei contenuti rientrano settori in cui il principale investitore è la stessa P.R.C. mentre altri vedono notoriamente più coinvolti i privati e gli investitori finanziari. L’arte rientra proprio in quest’ultima categoria. Così, mentre la Repubblica Popolare investiva nella promozione di una cultura cinese all’estero, gli artisti cinesi hanno iniziato a invadere il mercato occidentale, l’arte contemporanea cinese è cresciuta fino ad essere il Paese più importante del mercato artistico sia per artisti emergenti che per fatturato. Così, mentre la CCTV seguiva gli investimenti internazionali cinesi attuando un processo di esportazione delle informazioni in Africa e Sudamerica, territori in cui gli investimenti cinesi sono molto alti, dall’altro le sorelle d’asta (Christie’s e Sotheby’s) avviavano la propria attività su suolo cinese.
PUNTO SESTO: LE RIFORME
Questo grande cambio di paradigma economico e politico ha determinato una forte destabilizzazione sociale e culturale, che è stata posta in secondo piano da quel “magnifico” tasso di crescita a doppia cifra del PIL. Ma nel medio periodo le riforme si rendono necessarie, e così la Cina ha attuato negli ultimi anni delle manovre che mirano a rendere più stabile la struttura economica e giuridica del Paese. Dalla manovra contro la corruzione alla riforma del sistema finanziario (con l’introduzione di numerosi limiti rispetto al passato, soprattutto per gli Hedge Funds) fino al disancoraggio dello yuan dal dollaro. Queste riforme sono prorompenti nel sistema cinese ed è naturale abbiano grandissime ripercussioni su tutto il mercato. E dato che la Cina è divenuta in quasi tutti i comparti uno degli attori più importanti a livello economico, è più che naturale che gli scossoni non siano rimasti chiusi all’interno delle mura domestiche ma si siano riverberati su scala planetaria.
L’ARTE IN TUTTO CIÒ CHE RUOLO OCCUPA?
La domanda principale è proprio questa, ed è qui che le connessioni sono anche meno evidenti, ma non per questo aleatorie. Il ruolo che oggi gioca il mercato cinese nel contesto internazionale è paragonabile a quello che gioca negli altri mercati: dopo anni di crescita a dir poco smisurata (il mercato dell’arte cinese è cresciuto del 214% tra il 2009 e il 2014) il 2015 è iniziato con un brusco raffreddamento dell’euforia (registrando un -39% dei lotti venduti rispetto al 2014), permettendo agli Stati Uniti di riacquisire il ruolo di top player. Fattore questo che ha inciso anche sul turnover delle case d’asta in Cina, con Londra che mostra risultati ben più promettenti di Pechino. Le motivazioni di questa brusca inversione di rotta sono da imputare, secondo molti osservatori, alla riforma anti-corruzione che il governo centrale di Pechino ha avviato nel 2015, permettendo un’analogia tra ciò che sta accadendo oggi in Cina con quanto accadde per il mercato giapponese, la cui crisi economica contribuì a determinare un forte calo del mercato degli impressionisti. La corruzione, dicevamo, è un fenomeno molto comune in quelle economie che conoscono tassi di crescita repentini. E la corruzione può anche manifestarsi attraverso il dono di un’opera d’arte. A tal riguardo va segnalato che già nel 2012 Jia Guo, dell’Economics and Finance Departments della Columbia University, descriveva il fenomeno con riferimento al mondo cinese come “the Elegant Bribery”, analizzando le ripercussioni che tale pratica potesse avere sul valore generale dei prezzi.
Nulla di nuovo dunque sotto il fronte orientale, e nulla che gli analisti non potessero prevedere al lancio di una stretta politica contro la corruzione. Ma ancora un punto di connessione tra quanto accade nel mondo economico e quanto accade nell’arte. Così come c’è correlazione tra l’aumento dei prezzi degli artisti asiatici e la maggiore attrattività dell’arte cinese intesa come investimento. Glory Ye del Financial Times scriveva già nel 2010 che “le compagnie di gestione di fondi hanno lanciato fondi d’arte al fine di fornire riposta al bisogno degli investitori sia sotto il profilo del ROI [ritorno dell’investimento, N.d.R.], sia per avere una esposizione finanziaria a un consumo culturale”. Il mercato degli art-funds è un mercato molto florido, e l’Art&Finance Report di Deloitte del 2014 indicava una maggiore trasparenza e una maggiore visibilità sociale degli investimenti come condizioni essenziali della rilevanza dei fondi all’interno del mercato dell’arte. Condizioni che il mercato cinese (con la riforma finanziaria) ha cercato di attuare già dall’anno scorso, causando anche in quel caso un brusco declino per il comparto a livello internazionale, ma adattando i propri strumenti alle esigenze di un mondo che guarda all’Asia, e alla Cina, sempre con maggiore interesse. Non è un caso che nell’aprile 2015, e quindi in piena battuta d’arresto, Massimiliano Subba, managing director di Anthea Art Investments, esprimesse fiducia nei confronti del mercato cinese. Parallelamente al mercato dell’arte, la consapevolezza (economica) dell’importanza che il settore culturale e creativo gioca all’interno dell’economia generale è abbastanza diffusa: il report China Cultural and Creative Industries Report 2013, edito da Springer, mostra notevoli margini di crescita nel triennio precedente, con una strutturazione delle policy sempre più mirata, al punto da permettere al professor Hardy Yong Yang di concludere il report affermando: “Il mantra non sarà più Made in China, ma Created in China”.
CONCLUSIONI
Sono proprio i fondi d’investimento a rendere la situazione giapponese estremamente differente da quella cinese. Dal punto di vista della bolla speculativa ci sono molti elementi di similitudine tra i due casi, ma da un lato il disancoraggio dal dollaro agirà per l’arte così come per tutte le altre industrie, favorendo l’esportazione, e permetterà una speculazione (aggiustamento) a favore del mercato cinese. Dall’altro il coefficiente di Gini per l’economia cinese mostra una ricchezza tanto concentrata da non permettere un collasso generale di quei beni di lusso. Probabilmente il mercato dell’arte cinese subirà dei rallentamenti, come il resto della sua economia, e probabilmente ci saranno meno operatori sul mercato (finanziario e non). Ma l’arte cinese crescerà perché intorno ad essa si sono concentrati investimenti globali molto consistenti, che permettono un buon livello di valorizzazione dell’artista emergente.
Stefano Monti
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27
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