Satoru Sugihara, il guru del design computazionale

Meglio conosciuto per il suo lavoro come designer computazionale presso Morphosis Architects e come fondatore di ATLV, Satoru Sugihara è attualmente membro dello SCI Arc – Southern California Institute of Architecture. Il suo lavoro comprende la realizzazione del linguaggio iGeo e si concentra sugli algoritmi di crescita cellulari per generare forme complesse. Tra le sue ultime collaborazioni c’è quella per “Land of Hope”, il padiglione cinese per Expo.

Di recente si è conclusa Agent-Based Computational Design, la tua prima personale, allestita alla galleria AA [n + 1] di Parigi. Ce ne parli?
Agent-Based Computational Design, curata Leslie Ware e Pierre Cutellic, è stata una mostra di teoria e di design. Ho presentato una “serie astratta di lavori” e materiali relativi a opere che ho realizzato: erano presenti disegni di costruzione di facciate, studi di progettazione architettonica Agent-Based fino ad esempi sviluppati a partire dalle ricerche algoritmiche. Circa la metà del materiale esposto era costituito da  lavori realizzati, l’altra metà riguardava la ricerca algoritmica, ripercorrendo il mio processo di progettazione digitale.
Contemporaneamente alla mostra, ho diretto un workshop, sempre presso AA [n + 1], mostrando, tra l’altro, la mia libreria open-source, un linguaggio derivato dal Processing detto iGeo, attraverso il quale ho mostrato la continuità tra ricerca e didattica legate dall’Agent-Based Computation.

Cos’è l’Agent-Based Computation? Ha da fare con gli ultimi sviluppo del Deep-Learning AI (Artificial Intelligence)?
In realtà i due “sistemi” non sono comparabili. Deep-Learning si basa su un calcolo di un livello superiore, mentre l’Agent-Based è un calcolo fondamentale, di base. Prima di mettermi nei panni dell’architetto, lavoravo nel campo dell’informatica. Avevo a che fare regolarmente con i mondi dell’automazione e del Machine Learning. Stavo esplorando come questi possano affrontare la progettazione e l’intuizione artistica.
Metodi come Deep-Learning necessitano di una fase dove l’AI “viene istruita” per distinguere le migliori soluzioni di design. Gli Agenti che uso non si preoccupano di quale sia il miglior design. Stabilisco i parametri, ad esempio una matrice voxel per estrazioni Isosurface o un sistema di curve: il modello-sistema è lì e il progettista può scegliere come intervenire sul  modello, sovvertendolo e ottenendo così diversi effetti.
AI è diverso intrinsecamente: determina un modello più grande e il progettista è quindi costretto a limitare a priori lo spazio dell’azione. Dalla mia esperienza, posso affermare che, mentre AI detta uno spazio a priori, gli Agenti creano uno spazio che non è mai completamente dato, e dunque uno spazio originale, inaspettato.

Formazione ottenuta con la computazione Agent-Based

Formazione ottenuta con la computazione Agent-Based

Ma l’AI ha una fase di istruzione, cui segue quella in cui Skynet è liberato come fosse una entità autonoma?
C’è una fase intermedia in cui è necessario definire lo spazio. Ho deciso di stare al livello fondamentale degli Agenti per poi fare di più in termini di design e costruzione. Oggi mi interessa la crescita cellulare, ma anche lo sviluppo di un embrione di un bambino è troppo complesso. Mi fermo molto prima.
Il workshop di Parigi trattava l’evoluzione cellulare e la logica di Darwin era importante. I progettisti a Parigi sono interessati agli ordini matematici piuttosto che alla biologia come negli Stati Uniti, ma in ogni caso si genera sempre un dialogo interessante attorno a questi temi.
In Italia invece il mio lavoro informatico viene considerato da una sorta di “subcultura visuale”, un tema cioè attribuibile agli architetti solo raramente. Come designer, mi interessa molto il fatto che la crescita naturale funzioni e la forma mi preoccupa meno. La natura agisce in modo cellulare e se posso modificare il processo per tracciare un certo tipo di linea, per esempio, allora entra in gioco una logica architettonica.

Nel tuo ultimo lavoro, Land of Hope per il padiglione cinese a Expo, hai unificato le sagome degli Alpi e quella di Pechino sotto un’unica struttura continua.
Sono stato chiamato come consulente nella fase del concorso dallo studio Link-Arc di New York, guidato dall’architetto Yichen Lu. La parte più consistente del mio lavoro è iniziata quando il concorso era già stato vinto, ovvero quando c’era da dare al disegno iniziale una migliore risoluzione, anche in termini di ottimizzazione dei costi.

Land of Hope, vista del portale, Courtesy of Studio Link-Arc, LLC, © Sergio Grazia

Land of Hope, vista del portale, Courtesy of Studio Link-Arc, LLC, © Sergio Grazia

Quanto determinante è stato il tuo metodo informatico nella definizione della forma del padiglione? C’è infatti una chiara differenza tra la superficie iniziale della fase di concorso e il lavoro finale. Lo spazio presentato durante la fase di concorso aveva meno curvature. Tra prima e dopo, le “rolled surfaces” sono simili, ma distinguibili.
In realtà non si tratta di “rolled surfaces”, bensì di forme derivate da diverse linee di sezione arbitrarie. Non esiste una struttura che può facilmente costituire la totalità. Si potrebbero sfibrare le forme, naturalmente, perché il tetto è ancora unidirezionale, ma non è abbastanza per determinare una logica omogenea ed efficiente per i pannelli che costituiscono il padiglione.
Ho rimodellato la forma iniziale per generare un sistema coerente ed è a questo punto che l’esperimento formale ha avuto inizio. Si è trattato di scoprire linee parallele e superfici piane. Eppure  le modifiche sono talmente minime che non si nota, a meno che non si guardino bene i disegni per fase.
Nella reiterazione finale, la curvatura è più pronunciata, ma l’effetto è casuale, ovvero è il risultato del metodo di modellazione. La curvatura in questo caso permette ai pannelli di svilupparsi in modo regolare lungo una curva generatrice. Questo sviluppo è guidato dal metodo di calcolo di modellazione e ottimizzazione, la forma è riconfigurata per tenersi al passo con la “logica di tassellazione”.

E come è andata con l’architetto del padiglione? Yichen Lu non era interessato di più a una forma piuttosto che un’altra?
Lo spostamento formale è sottile. A Yichen Lu interessa meno la forma rispetto alla conoscenza e al calcolo che dotano il progetto di un sistema coerente, in grado di “far negoziare” superfici piane e coniche.
All’interno, un pannello curvo di plastica raddoppia la struttura. L’aspetto materico di questa plastica è interessante, offre un’immagine quasi digitale dello stessa facciata di bambù naturale, un filtro digitale di nebbia grigia che si addice a Milano.

Amit Wolf

http://atlv.org/

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Amit Wolf

Amit Wolf

Architetto e scrittore, si è laureato al Politecnico di Milano nel 2001. Nel 2012 ha conseguito il dottorato in Filosofia all’UCLA. Wolf insegna Teoria e Storia dell’Architettura a SCI-Arc. Precedentemente ha insegnato alla Woodbury University e all’UCLA. Nel 2013 vince…

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