Intervista con Cory Arcangel. A futuro avvenuto

Nel 2011 il Whitney Museum gli ha dedicato un solo show, un percorso che lo ha consacrato tra i più influenti artisti della New Media Generation. Quattro anni più tardi, a Bergamo, a Palazzo della Ragione (organizzata dalla GAMeC), inaugura la sua prima personale in un’istituzione italiana. Si comincia il 31 marzo, ma intanto noi l’abbiamo intervistato.

Cory Arcangel (Buffalo, 1978; vive a New York) non è uno pseudonimo, ma è un nome dalle origini italiane. Cory è uno dei principali artisti a portare l’amore per la tecnologia nerd dei videogame e della programmazione in galleria. In questi anni ha, con chiarezza, detronizzato ogni tipologia di tradizione dell’avanguardia con il suo approccio pittorico denominato pop-futuristico, processo che comprende la trasposizione di effetti di Photoshop all’interno di oli su tela, sfondi di Mario Bros volti a produrre una sorta di realismo pastorale e schermi a loro volta traslitterati su tele dipinte. Ma, allo stesso tempo, il nativo di Buffalo sta continuamente aprendo i confini di sistemi obsoleti e giochi che sembrano diventati oggi pietre miliari della memoria visuale di milioni di persone, offrendo un senso di nostalgia e un sovvertimento/emersione della cultura pop attraverso le tanto amate, oggi preistoriche tecnologie.

Potresti spiegare la nascita, le origini del titolo scelto per rappresentare e comunicare la tua mostra a Palazzo della Ragione a Bergamo, This is all so crazy, everybody seems so famous?
È una citazione tratta da un verso di una canzone dell’icona della musica teen pop Miley Cyrus. La fretta di raggiungere i notori quindici minuti di celebrità nasconde in sé l’obsolescenza del divenire. Ma il percorso prenderà anche spunto da una serie di interventi scultorei che ho completato in un paio di anni, recentemente, dal titolo Since you’ve been gone, proprio come la canzone di Kelly Clarckson. Tema che, in un certo senso, ispira tanto la parte tridimensionale del progetto quanto quella sonora.
In questo lavoro traccio una sorta di genealogia di tutte le influenze musicali delle canzoni pop degli ultimi quarant’anni, proponendo un’audio-storia – e la sua trasposizione formalmente scultorea – dedicata a una certa tecnica strumentale e di come questa sia stata utilizzata anche da Taylor Swift o dagli Yeah Yeah Yeahs. Senza dimenticare, ovviamente di includere la Cyrus e dunque di riconnettermi all’atmosfera che questa tipologia di musica ha creato.

Cory Arcangel, Photoshop CS..., 2015 - © Cory Arcangel - Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

Cory Arcangel, Photoshop CS…, 2015 – © Cory Arcangel – Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

C’è quindi un filo rosso musicale nella mostra?
Un certo tipo di meccanismo, insito nella pop music, mi coinvolge e mi spinge a studiare quali siano le modalità con le quali venga introdotto, riposizionato anche nelle sottoculture contemporanee. Tutto il pensiero parte dalla considerazione di come la musica sia costruita in termini di tecnologia, di diversificazione e, soprattutto, di teoria, scritta alle origini di qualsiasi brano. E sebbene molti dei miei lavori attuali sembrino far riferimento allo stile e alla moda, questa dimensione è osservabile perché il pop di Miley Cyrus ha incominciato a toccare e a interessare sempre più ampie aree del vivere quotidiano, influenzando una tra le parti più sensibili della nostra società: i teenager e le loro ossessioni, i loro sogni.
Ognuna di queste componenti, combinate tra loro, lascia intuire la modalità con la quale è stato scelto il titolo. Nel mio modo di osservare il vivere globalizzato, le velocità della moda, delle tecnologie digitali e della scena della musica pop sono strettamente connesse le une alle altre, rappresentando mondi potenziali altamente influenzanti ogni ambito della quotidianità.

Da dove nascono le tue radici visuali e digitali? Quali erano i tuoi artisti di riferimento?
Quando ero bambino non mi sono mai curato, ad esempio, di smontare radio o apparecchi simili. Non giocavo nemmeno così tanto ai videogiochi. Mi piacevano i computer, ovvio, ma non impazzivo per loro e non ho imparato a programmarli fino al momento in cui mi sono iscritto al college. Posso dunque affermare che non ero molto attratto, né molto immerso nel mondo del computer o della vecchia scuola della computer graphic.
Ero più interessato a suonare la chitarra, studiavo molto la musica, ho iniziato seriamente già attorno ai dieci anni e ho continuato fino ai venti. Ero sempre con la mente all’interno delle partiture, dei meccanismi della musica. In questo modo, credo, ho sempre mantenuto alta la mia curiosità verso la tecnica, o, verso la molteplicità delle nozioni che da essa scaturiscono, anche se non necessariamente verso sistemi tecnici.

Cory Arcangel, Sports Products 2 : Lakes, 2014 - photo Ken Adlard - © Cory Arcangel - Courtesy Cory Arcangel e Lisson Gallery

Cory Arcangel, Sports Products 2 : Lakes, 2014 – photo Ken Adlard – © Cory Arcangel – Courtesy Cory Arcangel e Lisson Gallery

Un musicista prestato all’arte?
Non so mai distinguere le mie produzioni le une dalle altre; non so mai se faccio solo musica, oppure a volte se metto in scena performance, mentre altre volte compongo pezzi per diverse gallerie o collezioni private, ho diversi blog e attualmente sto lavorando e raccogliendo informazioni, infine alcune volte scrivo stand-up comedy e via discorrendo. Non mi etichetterei mai come appartenente a un genere, a una disciplina o a un’altra.
Al Conservatorio ho imparato a essere un musicista, così come un compositore e, allo stesso tempo, necessariamente, in momenti specifici, un performer. In termini di formazione scolastica, ritengo che queste discipline siano quelle che mi abbiano avvicinato al digitale e reso maggiormente sicuro di me al riguardo.

E le arti visive?
Fin da quando ero un bambino, con i miei fratelli, in famiglia avevamo una videocamera e all’epoca non era diffuso che i genitori la lasciassero usare ai figli. Ma quando venivamo lasciati soli in casa, ci divertivamo a girare molti piccoli film, riprendendo le nostre avventure, o le storie che ci inventavamo e che mettevamo in scena, producendo veri e propri home movies, simili a quelli che oggi si possono vedere su Youtube. Una sorta di tecnologia pre-digitale, anche se oggi, concettualmente, non amo molto separare l’elettronica digitale dei media da quella non digitale. Inoltre, sono stato sinceramente fortunato a crescere a Buffalo, una città relativamente avanzata nella messa a disposizione di apparecchiatura e conoscenza tecnica, relative alla cultura della videoarte.
Ma la vera fortuna è stata il fatto che, nonostante cominciassi a diventare un portatore della nerd culture, una volta al college ho sempre avuto come riferimenti, e talvolta anche come insegnanti, grandi artisti che hanno sempre lavorato a stretto contatto con la tecnologia: Bill Viola, Gary Hill, Tony Oursler, Laurie Anderson, John Cage e da qui potrei continuare per ore.

Cory Arcangel, Hillary : Lakes, 2014 - photo Joerg Lohse - © Cory Arcangel - Courtesy Cory Arcangel e Team Gallery

Cory Arcangel, Hillary : Lakes, 2014 – photo Joerg Lohse – © Cory Arcangel – Courtesy Cory Arcangel e Team Gallery

Come entreranno in dialogo i tuoi lavori con l’architettura di Palazzo della Ragione? E che cosa hai pensato la prima volta che l’hai visitata?
Siamo a febbraio, a qualche settimana dall’inaugurazione, e non ho mai visto dal vivo la sede all’interno della quale sto per esporre! Il primo sopralluogo lo farò nei giorni precedenti l’apertura della mostra. Devo dire però che mi sono state fornite fotografie dettagliatissime della sala. Inoltre ho anche realizzato un modellino degli spazi, in scala perfetta, di modo che anche dal mio studio di New York possa analizzare giornalmente la disposizione delle opere. Molto spesso amo lavorare su modelli 3d: sono i soli che mi possano dare la sensazione di attraversare uno spazio anche quando questa operazione, fisicamente, non può essere compiuta.

Come hai impaginato la mostra?
Per quanto riguarda Palazzo della Ragione, la prima, vera intenzione, il primo vero risultato che intendo ottenere attraverso i miei lavori è che appaiano come contemporanei assoluti. Che risultino più attuali possibile, più aggiornati e maggiormente carichi di colore. Soprattutto a causa del fatto che non si possono appoggiare né appendere in alcun modo – a causa dei vincoli – opere ai muri, ritengo che ogni singolo progetto debba emergere in sé e per sé, nel pieno rispetto degli affreschi che lo circondano. Infatti, il centro dello show sarà un tappeto, molto esteso.

Ecco, raccontaci un po’ come è strutturata la mostra.
Come in una piattaforma, il centro sarà determinato da Photoshop CS: 1060 by 2744 centimeters, 10 DPC, RGB, square pixels, default gradient “Spectrum”, mousedown y=1800 x=6800, mouseup y=8800 x=20180 (2015), un tappeto concepito attraverso l’indagine e la collaborazione con aziende del territorio. Una superficie calpestabile, molto brillante, che ricoprirà il pavimento della sala per oltre 200 mq e che si sviluppa in una progressione di colori vivi. Mentre sul limite di questo enorme tappeto, in maniera del tutto free-standing, anche se adiacenti alle pareti, saranno esposte alcune serie, fra le più importanti del mio lavoro.

Cory Arcangel, Awkward Smiles : Lakes, 2013 - photo Sacha Maric - © Cory Arcangel - Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

Cory Arcangel, Awkward Smiles : Lakes, 2013 – photo Sacha Maric – © Cory Arcangel – Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

Quali?
Sono tre serie relative alla mia idea di videogame modification che ho realizzato all’inizio, tra il 2002 e il 2003, e verranno mostrate come rolling media cards. Inoltre ci saranno nuovi lavori scultorei dai titoli Tall boys, Screen-agers e Whales (2011-2015) che rappresenteranno lunghi galleggianti da piscina trasformati in personaggi, simulacri decorati con collane, iPod, headphones, pantaloni di marca, musica e bottiglie di birra ecc. Diventeranno delle specie di porte di passaggio, vestite da diversi tessuti, da materiali avanzati e sistemi elettronici che misureranno, rispecchiandole, come le persone sono vestite oggi, quello che sono i loro giudizi mentali e quello che ascoltano.
Inoltre presenterò Lakes, una serie di video presentata su schermi ultrapiatti, capovolti e verticali che mostreranno ciascuno un’immagine della contemporaneità. Ci saranno still di Britney Spears, oppure un paio di occhiali da sole Oakley, ad esempio, sui quali ho applicato il filtro Java “lago”, che crea un effetto mosso, come se qualcosa si riflettesse propriamente sulla superficie di un lago, facendo diventare ogni volto oppure ogni corpo un riflesso in uno stato di oscillazione, non propriamente in movimento e sempre uguale a se stesso. Tutto deve essere fluido, vibrante, brillante, estremamente ricco di colore, e, in certo senso, coraggioso.

A proposito del tappeto per Palazzo della Ragione, come hai lavorato con gli artigiani locali?
Ho allestito una personale un anno fa in Danimarca e, attraverso il museo che mi ospitava, ho visitato una fabbrica di tappeti per vedere come venivano realizzati. Ne sono rimasto coinvolto, affascinato. Questo episodio ha cominciato a farmi pensare che anch’io avrei dovuto avvicinarmi a un nuovo tipo di manifattura. Inoltre Stefano Ramondi, che curerà la mia mostra a Bergamo, ha visto di persona il lavoro che avevo svolto in Danimarca e, nel parlare per la prima volta assieme, mi ha rivelato che anche Bergamo era una sorta di capitale della fabbricazione dei tessuti. Così, nell’invitarmi a esporre in Italia, è stato lui a trovare un’azienda locale che potesse realizzare un mio progetto, un lavoro che comprendesse e coprisse una superficie di oltre 200 mq d’estensione.

Cosa raffigura il tappeto?
L’immagine, o meglio, l’immaginario che vi è riprodotto è preso direttamente da Photoshop, con gradienti e ready-made pattern presi direttamente dalla grafica del programma, strumenti che molto frequentemente ho utilizzato negli ultimi sette anni per distorcere e modificare immagini d’ogni tipo. Verrà anche realizzata una serie a edizione limitata di foulard che riprenderanno gli stessi motivi.

Cory Arcangel, Asshole : Lakes, 2013 - photo Sacha Maric - © Cory Arcangel - Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

Cory Arcangel, Asshole : Lakes, 2013 – photo Sacha Maric – © Cory Arcangel – Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

Lavori come Totally fucked (2003) delineeranno sviluppi e cambiamenti temporali all’interno della tua poetica attuale?
Effettivamente, nonostante la mia smania di essere sempre nel tempo della contemporaneità, questa mostra farà ben vedere come è cambiata la mia poetica, le diverse pratiche e il mio approccio alla vita, alla società, nell’arco di una dozzina di anni, tredici per l’esattezza. Anche se non sarà possibile creare una retrospettiva completa, perché mancano molte serie, ritengo che comunque emergerà una sorta di linea temporale quasi intra-storica.
Totally fucked (2003) fa riferimento ai paesaggi modificati del Nintendo, terreni digitali nei quali mi immergevo, attraverso i quali creavo il mio immaginario quando avevo tredici anni. Pensando a questi lavori, oggi sembrano proprio vecchi. La distanza che c’è tra quei lavori e una persona che ha giocato al Nintendo è più o meno la stessa che c’è tra i caratteri formali di quel progetto e la contemporaneità. Inoltre Totally fucked si misurerà non solo con i miei nuovi lavori, ma con un’antichità propria del luogo che li ospiterà, creando molteplici livelli temporali. Sarà una sorta di viaggio surreale, un mio viaggio personale attraverso le tendenze visuali. Un viaggio nel tempo, insomma.

Qual è la tua definizione personale di memoria digitale?
Quando penso all’aggettivo digitale, nella mia mente viene connesso sempre a qualcosa che ha a che fare con la memoria, con una traccia che detiene tutto quello che deve durare. Tutti i miei lavori sono stipati nell’immaterialità, e sono memoria digitale di loro stessi, conservati all’interno di sistemi che la rappresentano, ma che nella realtà sono hardware tangibili. Eppure, all’interno di queste nozioni sussiste sempre l’idea che la memoria regali una temporaneità, una performance dalla fine certa, una memoria retentiva a scadenza. Inoltre la memoria digitale funziona quasi sempre come un plugin parallelo, esterno, e cerco di non fare mai troppo affidamento su di essa, so che può sempre sparire da un momento all’altro. Ritengo che alla fine la mente umana sia comunque superiore.

Che cosa ne pensi, all’opposto, dell’oblio digitale?
Credo che questo concetto riguardi molto di più il pensiero umano e quel che da esso fuoriesce, diventando un ricordo nascosto. Riconosco che, allo stesso modo, amo vedere quel che esce dal mio computer, quel che da esso viene processato e poi, ad esempio, stampato, diventando qualcosa d’altro dalle proprie origini. Comunque non credo e non crederò mai ai computer.

Cory Arcangel - All The Small Things - veduta dell’installazione presso HEART Herning Museum of Contemporary Art, Herning 2014 - photo Sacha Maric - © Cory Arcangel - Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

Cory Arcangel – All The Small Things – veduta dell’installazione presso HEART Herning Museum of Contemporary Art, Herning 2014 – photo Sacha Maric – © Cory Arcangel – Courtesy Cory Arcangel, Team Gallery e Lisson Gallery

Quale tipologia di misurazioni della realtà rappresentano le gradazioni di colore che utilizzi?
Ognuno di noi percepisce e vede i colori in maniera differente, dunque credo sia lecito pensare che influenzino la quotidianità a seconda di come i sensi suggeriscono un’interiorità dei colori. Ma l’utilizzo del colore per me è un processo molto intuitivo, istintivo direi, e non ne sono mai completamente conscio. Non mi piace rendere teorico uno strumento che deve risultare a me immediato, senza filtri del pensiero.

Potresti, in ultimo, formulare un pensiero o esprimere una sorta di desiderio che accompagni la realizzazione e poi l’apertura di This is all so crazy, everybody seems so famous?
In mostra verranno allestiti i miei primi lavori del 2002-2003, paesaggi che ritengo e vedo così distanti da me oggi che quasi mi viene da pensare a quanto mi sia trasformato nel tempo e a quello che di me, del mio percorso, la gente potrà pensare. Sono passati tredici anni e sembra così impossibile, per me, predire quello che succederà fra altrettanti tredici anni. Mi auguro solo che chiunque visiti la mostra possa portare via con sé una parte di ciascuno di essi, dei progetti attuali così come di quelli futuri, che devono ancora venire, come se fossero un’unità. Perché da solo non posso proprio pensare a un me differente.

Ginevra Bria

Bergamo // dal 1° aprile al 28 giugno 2015
inaugurazione: 31 marzo 2015 ore 19
Cory Arcangel – This is all so crazy, everybody seems so famous
a cura di Stefano Raimondi
PALAZZO DELLA RAGIONE
Piazza Vecchia
035 270272
www.gamec.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/42423/cory-arcangel-this-is-all-so-crazy/

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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