São Paulo. Una Biennale umanista

Relazioni, dialoghi, incontri. La 31esima edizione della Biennale di San Paulo del Brasile punta alla cancellazione dell’individualismo, proponendo ottanta progetti dalla forte carica sociale. Tra un omaggio ad Asger Jorn e i lavori di Walid Raad.

“Non è una Biennale costruita sull’arte e gli oggetti, ma su persone che lavorano a progetti insieme ad altre persone, sulle collaborazioni tra gruppi e individui, su relazioni che dovranno continuare e arricchirsi anche dopo la fine della Biennale stessa”. Si presenta ai nastri di partenza con questi presupposti la 31esima edizione della Biennale di  São Paulo  (dal 6 settembre al 7 dicembre), da tempo indicata come cartina tornasole di primaria importanza per sondare la scena internazionale. Con particolare riferimento, è ovvio, al continente sudamericano: ricco non da oggi di figure di artisti di primo piano, esplosivo nella recente crescita come situazione ottimale per il collezionismo di alta fascia. Bastano a titolo di conferma i dati Artprice relativi al 2013, che a fronte di una frenata delle tigri asiatiche come catalizzatori del mercato di alta gamma documentano la crescita del 3,5% di quello dell’America Latina; a sostegno della sempre maggiore qualità di fiere che – Ch.A.Co. insegna – assumono un profilo sempre più rilevante sullo scacchiere globale.

Cataloghi per la Biennale di São Paulo © Sattva Horaci / Fundação Bienal de São Paulo

Cataloghi della Biennale © Sattva Horaci / Fundação Bienal de São Paulo

São Paulo serve dunque a delineare tendenze, umori, visioni, strategie tutt’altro che esotiche. Sempre più preponderanti nel riflettere le istanze di culture ed economie che, al netto delle inevitabili contraddizioni, manifestano oggi più che mai una freschezza e una brillantezza in Europa dimenticata.
Si riparte, dopo le difficoltà di fine Anni Zero e il disastro di una gestione che ha ridotto l’ente sull’orlo del tracollo finanziario, da un team curatoriale composto da Charles Esche, Galit Eilat, Nuria Enguita Mayo, Pablo Lafuente e Oren Sagiv; da un centinaio di artisti coinvolti in ottanta diversi progetti specifici, per un totale di 250 opere esposte. In netta divergenza rispetto all’elefantiaca edizione ideata un anno fa da Luis Pérez-Oramas, uomo MoMA, con oltre 3mila opere disseminate un po’ per tutta la città.
Tema dominante quello del dialogo, del confronto, della partecipazione; scelta quasi obbligata in un Paese che abbiamo visto incendiarsi di recriminazioni sociali in occasione degli ultimi Mondiali di calcio, e che non manca di presentare il conto di una crescita distrofica, pagata a carissimo prezzo.

Giovani Baffô - O Menor Sarau do Mundo © Léu Britto Agência Popular de Cultura Solano Trindade

Giovani Baffô – O Menor Sarau do Mundo © Léu Britto Agência Popular de Cultura Solano Trindade

How to (…) things that don’t exist titola lo statement, dichiarato inno alla vitalità, alla positività, alla tessitura di trame che trasformano l’intera Biennale in un’unica grande opera d’arte relazionale collettiva, che propone come capolavoro ultimo la sua stessa sussistenza.
Declinata attraverso la memoria di esperienze epocali, come i 10,000 Years of Nordic Folk Art di Asger Jorn, grande progetto di archiviazione e documentazione avviato proprio mezzo secolo fa; o per mezzo delle esperienze sul campo di Dan Perjovschi, protagonista di un site-specific in forma di workshop. Il carattere dinamico di questa Biennale è confermato dalla presenza di gruppi e collettivi che lavorano con la performance: tra chi si esprime con il linguaggio teatrale (Teatro da Vertigem, Mapa Teatro) e chi invece come gli indonesiani di ruangrupa lavora a processi liberi da schemi prefissati, in una frizzante stratificazione di temi e suggestioni.

Walid Raad/Atlas Group, We Decided To Let Them Say We Are Convinced Twice. It Was More Convincing This Way, Beirut ‘82, Plane III, 2005 (Courtesy the artist and Sfeir-Semler Gallery, Hamburg/Beirut)

Walid Raad/Atlas Group, We Decided To Let Them Say We Are Convinced Twice. It Was More Convincing This Way, Beirut ‘82, Plane III, 2005 (Courtesy the artist and Sfeir-Semler Gallery, Hamburg/Beirut)

Tra i nomi forti ecco spuntare Vivian Suter, Yael Bartana e Walid Raad; tra le più giovani glorie locali – sempre ampiamente rappresentate a São Paulo – i vari Virginia de Medeiros, Thiago Martins de Melo (già transito da Lione 2013) e Graziela Kunsch. Italiani? Nessuno.
Attenzione infine alla concorrenza sul fronte interno: è Vik Muniz a sponsorizzare la contestuale Feito por Brasileiros, mostra che dal 9 settembre porta cinquanta artisti brasiliani e altrettanti ospiti internazionali a prendere possesso dell’Hospital Matarazzo, luogo chiuso e dimenticato da oltre vent’anni.

Francesco Sala

http://www.bienal.org.br/

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Francesco Sala

Francesco Sala

Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

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