Doha, Prada e la Naba. Qui Qatar

La capitale del Qatar si sta aggiudicando capolavori dell’arte moderna e contemporanea per miliardi di dollari. Da Sotheby’s a Christie’s, da Koons a Rothko, da Prada alla Fifa World Cup del 2022, qui il deserto promette di avverare qualsiasi sogno. Ma non mancano ombre minacciose, se si arriva a parlare addirittura di schiavitù quando si citano i lavoratori che costruiscono gli stadi. Una situazione complessa, come già nel 2009 avevano mostrato Francesco Jodice e Saverio Pesapane al riguardo della vicina Dubai. Abbiamo approfondito il progetto del Curate Award, che coinvolge la Fondazione Prada e la Naba.

A partire dal 2005, sistematicamente a estate avviata – a conclusione delle attività di battitura da parte delle case d’aste di maggior prestigio – gli osservatori puntano i fari su Doha in qualità di capitale politica ma soprattutto culturale del Qatar. Non è un caso infatti che a luglio del 2011 il chairman di Christie’s, Edward Dolman, abbia rassegnato le dimissioni per diventare advisor della QMA – Qatar’s Museum Authority, e che a distanza di due anni una sola vendita a un’asta di Sotheby’s Contemporary Art a Doha abbia raggiunto un totale di quasi 16 milioni di dollari, diventando il prezzo più alto mai pagato all’incanto in Medio Oriente. Statistiche americane rivelano che da luglio 2005 a luglio 2011 le esportazioni culturali verso il Qatar hanno totalizzato 428,162 milioni di dollari, registrando picchi nel 2007 e nel 2011.
Il Qatar è una monarchia assoluta che si estende per 11mila kmq; è uno Stato che ha rifiutato di diventare parte dell’Arabia Saudita o degli Emirati Arabi Uniti e che ancora oggi deve fare affidamento quasi completamente sulle importazioni, in quanto la superficie messa a coltura è ridottissima e l’acqua molto scarsa. Eppure, grazie a giacimenti di gas e petrolio, nel 2012 il Pil nominale del Paese è stato di 192.402 milioni di dollari, corrispondente a 104.756 dollari pro capite, secondo al mondo dopo il Lussemburgo. Da sottolineare infine la presenza, nel 2022, dei Mondiali di Calcio, controverso evento che sta spingendo l’emirato a formare collezioni d’arte che fungano da attrattori culturali agli occhi di qualsiasi abitante del pianeta. Gli esperti ritengono che i musei del Qatar dispongano di circa 1 miliardo di dollari l’anno di budget, dedicata a nomi come Koons, Lichtenstein, Sarah Lucas, Fischli & Weiss, Ryman, Reinhardt, Morandi, Serra e anche Fontana (memorabile il dipinto “ceduto burocraticamente” dal Pompidou per 50 milioni di dollari).
Emissari autorevoli come, tra i più recenti, il Guardian (Qatar becomes world’s biggest buyer of contemporary art, luglio 2011), il Telegraph (Museum of Islamic Art in Doha, marzo 2013) e il New York Times (Qatari Riches Are Buying Art World Influence, luglio 2013) continuano a indicare la città di Doha come la capitale con la più alta concentrazione di heavy buyer d’arte contemporanea globale di tutti i tempi. Le materie prime che il Qatar comincerà a esportare, al di là dei propri giacimenti ipogei, sono l’arte e la conoscenza. L’obiettivo è diventare un modello culturale universale, e i partner sono molteplici: dalla Serpentine alla Royal Academy di Londra, dal Tribeca Film Fest allo Shakespeare’s Globe.

Mathaf, Doha

Mathaf, Doha

Promotore di questa trasformazione è lo sceicco Hassan bin Mohammad bin Ali Al Thani, vicepresidente di QMA e, in primis la trentenne Sheikha Al Mayassa Bint Hamad Bin Khalifa Al-Thani, presidente di QMA e definita dall’Economist la donna più potente nel mondo dell’arte”. Entrambi hanno cominciato ad attirare l’attenzione mondiale nel 2007, quando hanno acquisito un White Center (Yellow, Pink and Lavender on Rose) di Rothko stimato in 70 milioni di dollari. Mentre la famiglia reale ha investito in capolavori di Warhol (The Men in Her Life, 1962, per 63.4 milioni), Bacon e Hirst (Lullaby Spring per oltre 20 milioni).
A seguire, a livello istituzionale, l’Arab Museum of Modern Art, inaugurato nel 2010, che ha seguito di appena due anni l’apertura del Museum of Islamic Art, progettato da I. M. Pei (il quasi centenario architetto cino-americano, celeberrimo per la piramide di vetro al Louvre). C’è poi il Museo Nazionale del Qatar, un edificio futuristico che Jean Nouvel ha immaginato come una rosa del deserto nei pressi della Corniche e che non ospiterà solo arte moderna e contemporanea, ma anche sezioni dedicate alla storia e alla cultura del Qatar. Per quanto riguarda il Mathaf, QMA e Qatar Foundation hanno dato una sede stabile al museo scegliendo uno degli istituti della Education City. La raccolta di oltre 6.000 opere d’arte che il Mathaf conserva esemplifica le principali tendenze e scuole dell’arte moderna e contemporanea del mondo arabo, dagli Anni Quaranta dell’Ottocento ai giorni nostri. Un’oasi di pietra sul mare che nel 2011 ha visto transitare nelle proprie sale i Giocatori di carte di Cézanne, acquisito per 250 milioni di dollari.

La Sheika al Mayassa bint Hamad bin Khalifa al-Thani - photo Sergei Illin

La Sheika al Mayassa bint Hamad bin Khalifa al-Thani – photo Sergei Illin

Intanto il quotidiano francese Le Figaro (giugno 2013) ha anticipato il debutto, che sarebbe previsto per quest’anno, di una Biennale del Medio Oriente con la quale il Qatar intenderebbe contrastare l’unica concorrente nell’area del Golfo Persico, ovvero la Biennale di Sharjah. Ma quando arte contemporanea e lusso si incontrano a Doha, non può che risuonare il nome di un’altra presidente dell’arte, Miuccia Prada. In agosto Prada ha infatti aperto il suo primo flagship store nel centro della capitale e, parallelamente, la Fondazione a nome della stilista ha annunciato il bando del Curate Award promosso insieme a QMA: un concorso internazionale che si propone di individuare nuovi talenti in campo curatoriale attraverso la realizzazione di un progetto dal linguaggio innovativo e interculturale, sotto forma di travelling exhibition fra l’Italia e il Qatar. A ottobre, invece, un evento di due giorni nel deserto, intitolato Prada Oasis and Damien Hirst’s Pharmacy Juice Bar. L’opera si è sviluppata su due livelli: da un lato l’artista ha reinterpretato tra le dune il suo leggendario Pharmacy Restaurant, locale concepito a Londra nel 1998; dall’altro Prada ha allestito la perfetta replica di uno dei suoi negozi all’interno di una tradizionale bayat shaar, la tipica tenda in lana di pecora, al cui interno sono state esposto le borse Entomology in edizione limitata disegnate da Prada e Hirst e ispirate alle metamorfosi kafkiane, replicando in parte il Prada Marfa di Elmgreen & Dragset.

Ginevra Bria

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17

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Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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