Tutta l’arte da vedere ad Amsterdam

Amsterdam, non solo Stedelijk. I grandi musei si rifanno il look e l'arte si insinua in luoghi inusuali. Sì, anche nel celebre quartiere a luci rosse. E poi aperture collettive, istituzioni indipendenti, nuovi modernissimi palazzi. E anche qui una proliferazione di fiere, che tuttavia abbisogna ancora di una raddrizzata.

Soffia aria di cambiamento nel cuore della Amsterdam artistica. Vibra l’atmosfera nel Museumsplein, enorme spiazzo su cui si affacciano il Museo Van Gogh, il Rijksmuseum, lo Stedelijk e la Concertgebouw, maestosa sala da concerto ottocentesca. La riapertura dello Stedelijk, visitabile dallo scorso 23 settembre, è certamente l’avvenimento dell’anno, e l’attesa è stata giustificata dal risultato: il nuovo edificio e il riallestimento della collezione sono davvero straordinari.
Ma anche i vicini di casa dello Stedelijk stanno cambiando pelle. Il Rijksmuseum ha fissato il “grand opening” per il 13 aprile 2013, dopo ben dieci anni di lavori. Nel frattempo sono comunque visitabili alcune sale, proprio quelle che accolgono i capolavori più noti della collezione, gli strepitosi quadri di Rembrandt, tra cui il monumentale La ronda di notte. E anche il Museo Van Gogh, meta privilegiata dei turisti, aveva bisogno di restauri. Lo scorso 29 settembre ha chiuso pure lui: dovrebbe riaprire tra solo otto mesi però. Il direttore rassicura gli affezionati e gli habitué: la promessa è quella di riproporre l’esposizione permanente senza alcuna variazione. Per chi soffrisse di nostalgia, meglio non lasciarsi attrarre dall’esposizione Van Gogh: My dream exhibition al Beurs van Berlage (fino al 19 maggio), vicino alla stazione ferroviaria, che propone riproduzioni digitali e versioni in 3d dei capolavori di van Gogh al prezzo d’ingresso di 16 euro e 50 (per inciso, il non distante museo delle cere Tussauds ne chiede addirittura 22).
La soluzione giusta è invece seguire le corde rosse sospese a cinque metri d’altezza, segnaletica ideata dall’artista Henk Schut, che dal Van Gogh Museum portano all’Hermitage di Amsterdam. Settantacinque opere del mitico Vincent sono infatti esposte fino al 25 aprile nell’avamposto olandese del museo di San Pietroburgo. La mostra sperimenta nuove letture dell’opera dell’artista con l’uso di pareti colorate e raggruppamenti tematici oltre che cronologici.

Muziekgebouw, Amsterdam

Muziekgebouw, Amsterdam

Fin qui le grandi istituzioni. Ma molta altra cultura bolle in pentola nella capitale olandese, dall’attività delle istituzioni indipendenti all’utilizzo di spazi inusuali per l’arte. Ad esempio, la Nieuwe Kerk nel centralissimo Dam, che ormai da qualche tempo ospita mostre. Come la personale di Jan Fabre degli scorsi mesi: nella chiesa quattrocentesca il belga ha tenuto una performance, ripetuta a più riprese durante l’esposizione, e vi ha installato la barocca e macabra scultura di un angelo guerriero e alcuni video. Com’è facile immaginare, le opere di Fabre hanno trovato uno scenario ideale, giocando con sfarzo, morbosità e contrizione. Dopo Fabre, Andy Warhol, con l’esposizione di The last supper, suo ultimo capolavoro. Poi, dal 14 dicembre al 14 aprile è la volta dell’arte degli Indiani d’America, con The american indian: art and culture between myth and reality.
Ma l’arte è sbarcata anche nel mitico quartiere a luci rosse. In settembre, la neonata fiera Art in the Redlight si è concessa il lusso di uno scenario magico come quello della Oude Kerk, di sera circondata dal segnale inequivocabile delle luci soffuse che provengono dalle vetrine. Si è trattato però di un’occasione mancata: il livello delle opere proposte dalle gallerie partecipanti è stato amatoriale e nulla di più. Sarebbe auspicabile che un luogo di così grande pregio venisse di nuovo adibito all’arte: qualsiasi fiera o mostra si gioverebbe di un allestimento tra quelle navate. Ma ci vuole un’iniziativa di altro livello, magari prendendo spunto da quelle della non lontana Nieuwe Kerk.
Altra fiera neonata è la Unseen, di cui sempre in settembre si è svolta la prima edizione. Interamente dedicata alla fotografia, presentava opere di tutt’altro livello rispetto alla Art in the Redlight, ma anche qui c’è da crescere: la media si attestava su proposte corrette ma poco innovative e spesso poco formalizzate a livello estetico. La parte più interessante? La sezione sulla fotografia di moda, una vera e propria collettiva di buon livello con opere di Man Ray, Edward Steichen, Steven Klein, tra i molti altri. La sezione Offprint ha presentato le pubblicazioni di case editrici d’arte indipendenti e la rivista sperimentale di fotografia Foam, che ha sede ad Amsterdam, ha organizzato un’esposizione en plein air di sedici giovani fotografi. La serietà della concezione e dell’organizzazione lascia intravedere la possibilità di grandi miglioramenti e il luogo è suggestivo, lontano dai cliché su Amsterdam: il Westergasfabriek, gasometro del 1885 circondato da un parco e da campi allagati per la coltivazione.

Eye Film Institut, Amsterdam

Eye Film Institut, Amsterdam

Fra le istituzioni indipendenti, sarà scontato sottolinearlo, ma vale davvero la visita il De Appel. Fondato nel 1975 anche lui ha subito dei cambiamenti di sede e in questo è accomunato a molti altri spazi in città come abbiamo visto: lo scorso anno, infatti, il De Appel ha dovuto abbandonare la sede precedente. Palazzo da restaurare? No, problemi economici (nel Paese che forse più di ogni altro in Europa ha follemente deciso che la crisi la si poteva superare risparmiando sulla cultura). Dopo qualche mese di sede vacante, ha trovato casa nel Zeemanshoop, che in passato ha ospitato tra l’altro il centro di meditazione De Kosmos. L’edificio, comunque, è accogliente e adatto allo spirito dell’istituzione: la caffetteria ha un’aria familiare e comunitaria, come fosse quella di un centro sociale pulito e ben tenuto, e gli spazi interni mescolano l’estetica da white cube a quella più contemporanea di un fecondo caos creativo. La prima mostra nella nuova sede ha dimostrato ancora una volta l’acuta vocazione sperimentale del De Appel. Topsy turvy ha raccolto opere di grandi nomi come Ugo Rondinone, Hélio Oiticica, Spartacus Chetwynd, e scoperte come le tecniche miste su tela, con inserti e ricami, di Berend Strik e le sculture, stampe, disegni e installazioni di Markus Selg. E dopo il festival Vote back, che analizza “lo stato della democrazia e il ruolo dell’arte come catalizzatore di nuove idee e ideali dopo le elezioni olandesi del 12 settembre“, è la volta della personale di Dirk Braeckman, fotografo belga (fino al 31 marzo). Curiosità: il De Appel organizza anche seminari di formazione per artisti e, cosa assai più rara, per galleristi…
L’architettura, infine. Meno idilliaca di come la descrive il luogo comune, Amsterdam risulta in parte offuscata nelle zone centrali dai mille ristorantacci e bar per turisti. Basta allontanarsi un po’ per godere di quartieri più autentici e intatti, ma una interessante via alternativa è andare alla ricerca delle nuove architetture, modernissimi e monumentali edifici che stanno sorgendo in gran quantità. Molti si concentrano nella zona nord, a partire dalla biblioteca centrale Openbare progettata da Jo Coenen: sette piani per 28.000 mq. Spingendosi oltre, nel cuore di quel waterfront che è assieme landa desolata in mezzo al mare e spaccato di un mondo futuribile sempre in attesa dell’ennesima rigenerazione urbana, si incontrano tra l’altro il Muziekgebouw, opera dello studio 3XN, nuova eclatante sala da concerti inaugurata nel 2005, e l’EYE Film Institute, centro di cultura cinematografica disegnato da Roman Delugan ed Elke Delugan-Meissl. Su tutto veglia, un po’ inquietante, il centro scientifico Nemo, che è l’immancabile segno di Renzo Piano qui ad Amsterdam.

Stedelijk, Amsterdam

Stedelijk, Amsterdam

Ecco il nuovo Stedelijk
Gli abitanti di Amsterdam lo chiamano “la vasca da bagno”. Un nomignolo affettuoso, lontano dai sarcasmi con cui troppo spesso da noi in Italia vengono accolte le nuove opere architettoniche. E il rinnovato Stedelijk, ampliato in otto anni di lavori, si merita questa benevolenza. Il nuovo edificio, progettato da Mels Crouwel, è un palazzo affascinante e funzionale, e si innesta alla perfezione su quello ottocentesco: all’interno il passaggio tra sale nuove e vecchie è impercettibile.
Il riallestimento della collezione, poi, supera anche le migliori aspettative. Oltrepassato l’ingresso (che ora si affaccia direttamente sul Museumsplein) si entra nella prima sala, dove il museo dà subito una prova della sua forza: vi sono raccolte un’enorme scultura colorata di Carl Andre, un murale di Karel Appel, un dipinto di Luc Tuymans, un neon di Bruce Nauman… Un bel poker. Poi il percorso inizia a seguire l’ordine cronologico, partendo dalla fine dell’Ottocento con van Gogh, Cézanne, un oscurissimo Courbet, per poi giungere a Kandinsky, Malevic, Mondrian, Picasso, Pollock, Dubuffet, il gruppo Cobra.
Con il grandioso intermezzo delle due installazioni di Dan Flavin che illuminano lo scalone, si passa al piano superiore. Qui, sono raccolte opere dagli Anni Cinquanta a oggi: Yves Klein, De Kooning, Fontana, LeWitt, Warhol, Kusama, fino a Koons, Steinbach, Marlene Dumas, Rineke Dijkstra, Danh Vo, Cosina Von Bonin. Ciò che più entusiasma è l’intelligente suddivisione in sezioni, che supera gli accademismi e raggruppa le opere secondo intuizioni critiche acute e attualissime. E soprattutto il taglio radicale e progressista delle scelte, in molti casi niente affatto scontate. Si creano grazie a ciò molti punti focali inaspettati, tutt’altro che rassicuranti, perfetti per interrogare con intelligenza il visitatore medio. Come la grande sala dedicata a Tillmans, il macabro bar a grandezza naturale di Kienholz, l’effigie di Leonardo Di Caprio nella scultura di Rachel Harrison. Unico neo del nuovissimo museo? Qualche sala risulta un po’ angusta rispetto alle opere che ospita.

Stedelijk, Amsterdam

Stedelijk, Amsterdam

Al piano terra c’è anche una notevole sezione sul design, il cui punto forte è la Harrenstein bedroom di Rietveld. La prima mostra temporanea è stata Beyond imagination: discreto livello ma quasi troppo prudente rispetto allo slancio avanguardistico della collezione. Da segnare in agenda: la retrospettiva su Mike Kelley, allestita fino al 1° aprile. Il sotterraneo, infine, accoglie a rotazione capolavori della collezione di larga scala e grande suggestione non inseriti nel percorso dell’esposizione permanente: nella prima tornata, lavori di Barbara Kruger, Joan Jonas, Sigmar Polke.

Stefano Castelli

www.stedelijk.nl
www.rijksmuseum.nl
www.vangoghexhibition.com
www.hermitage.nl
www.nieuwekerk.nl
www.artinredlight.com
www.unseenamsterdam.com
www.deappel.nl
www.oba.nl
www.muziekgebouw.nl
www.eyefilm.nl
www.e-nemo.nl

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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