Titoli e prefissi
‘Signora’. Un'offesa inaccettabile. Chiamare ‘signora’ un prefetto senza aggiungervi altre titolazioni è considerato un oltraggio costituzionale. Anche se lo fa un prete coraggio, ultimo baluardo di umanità in un paesino dimenticato dal mondo, nel casertano. È la riconferma drammatica e paradossale dello stato dell'arte, politica e artistica.
Questo Paese è assediato di titoli e titolazioni. Si protegge attraverso forme demenziali di rappresentanza. Il primo, geniale Villaggio l’aveva capito negli Anni Settanta con il suo “Dott. Ing. Lup. Man. President. Natural. Prestanom. Om. Di Pagl. Gran. Test. Di Caz”. Sono prefissi che garantiscono la carriera con “un cocchio a due pariglie bianche e il potere temporale”. E così le decisioni, a tutti i livelli, hanno la forza dei prefissi ma non delle competenze. E i prefissi hanno la garanzia politica o partitica. Oggi non ce lo possiamo nemmeno più permettere.
Il ricambio, la rottamazione o la rigenerazione invocate da tutti sono sacrosante. Ma anche qui non possono essere sostituite da altre titolazioni come “AAA cercasi giovane, inesperto, vergine, sconosciuto, imprenditore, manager, brava persona, incensurato”, altrimenti ricadiamo nella stessa dinamica fantozziana, cambiando prefissi. L’unico prefisso propedeutico, non anagrafico, da invocare è la competenza. Scientifica e pratica.
Oggi non servono intellettuali che discutono a sfinimento. Eppoi ha ancora senso usare questi termini? Non dovremmo fare anche una rivoluzione semantica? Servono persone capaci di trasformare le cose. Di ristrutturare strutturalmente. Di renderle contemporanee, senza grandi investimenti. Che sia, per assurdo, un politico o un giovanissimo curatore. Guardiamo quello che uno sa fare. Prima. Sul campo. Fisicamente. Come crea tridimensionalità alle sue idee. Anche se fossero nel suo garage. Poi domandiamogli, se volete, il cv. Altrimenti ricadiamo nel prefisso di provincia. Che ci piace tanto, perché poco sforzo, tanto onore. Ma ormai anche i prefissi provinciali sono destinati a morire, anche se sono 06 o 02.
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto e di fuoribiennale
docente di estetica in design della moda – politecnico di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #10
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