Marcel Duchamp, il Grande Vetro e il caro benzina

Cosa c’entrano i ready-made, gli object trouvé, spose e scapoli con i cartelloni che indicano i prezzi dei carburanti? Una nuova serie di articoli firmati da Antonio Maiorino, per usare l’arte e non metterla da parte. E cercare di capire un po’ di più della realtà che ci circonda.

Un unico, sfaccettato ready-made si aggira tra le pompe di benzina del Belpaese: come se non avessimo già abbastanza opere d’arte (fatiscenti). Si tratta degli indicatori di prezzo di Super e Diesel, ora nel formato – più diffuso – degli inquieti led luminosi dalle cifre prometeiche, ora in quello più artigianale di semplici cartelloni dalle umorali cifre mobili, manco fossero i mobiles di Alexander Calder che si scuotono a ogni fiato d’aria. A Marcel Duchamp non sarebbe dispiaciuto riciclare come opere d’arte queste insegne, certo poco amate di recente. Ne avrebbero più di un requisito, almeno secondo la sua visione dell’arte, o non-visione dell’arte, o visione della non-arte (insomma, combinate affermative e negative a piacimento). Eccone qualcuno, nemmeno così balzàno.

1. Hanno il funzionamento di un meccanismo, esaudendo quella meccanofilia che lo statunitense – di origine francese – spinse fino all’indagine sul funzionamento del movimento in un’opera come il Nudo che discende le scale (1912). Scopo dichiarato era “la rappresentazione statica del movimento – una composizione statica di indicazioni statiche delle varie posizioni assunte da una forma in movimento – senza cercare di creare con la pittura degli effetti cinematici“. Sicché, come l’occhio incredulo dell’automobilista cerca un ribasso inesistente, l’amatore a digiuno d’arte contemporanea cerca, nel “nudo” di Duchamp, i seni o le braccia o gli occhi: ma trova null’altro che una sequenza d’incastri meccanici, di aggregazioni mobili che si sono raffreddate nel gelo mentale delle calde tonalità cubiste, di profili cifrati che svelano un automa mosso da un dispositivo automatico. Il nudo scendeva le scale, però; la benzina sale.

Macinatrice di cioccolato n.1 1913 Marcel Duchamp, il Grande Vetro e il caro benzina

Macinatrice di cioccolato (n.1), 1913

2. Paiono dettati dal caso. Prendiamo una delle opere più enigmatiche del XX secolo, classico rebus disperante per quanti, avvezzi alla gradevole leggibilità di Raffaello, rinunciano sul nascere a ogni tentativo d’interpretazione con la criptica arte del Novecento: Il Grande Vetro (traduzione dal titolo originale: La Sposa messa a nudo dai suoi Scapoli, anche). Iniziata nel 1915 e lasciata “definitivamente incompiuta” dal 1923, consiste in doppio vetro stretto in una cornice d’acciaio e dipinto con biacca, minio, ossidi di piombo: nel vetro superiore, la “Sposa” è una sorta d’insetto con una testa a semiluna, irriconoscibile meccanismo biomorfo; al di sotto di una barra trasversale che funge da orizzonte ci sono gli “Scapoli”, nove abiti vuoti che fungono da automi senza personalità, con una macinatrice di cioccolato – già soggetto di un dipinto del 1913 – che Duchamp aveva visto in una vetrina a Rouen, probabile allusione al desiderio, al piacere, alla masturbazione. Che significa? Cos’è? Per Breton si trattava di una “interpretazione cinica e macchinista del fenomeno amoroso“. La vita non sarebbe altro che un moto meccanico di azione e reazione: leggasi le Passioni dell’anima di Cartesio, che descriveva le emozioni come reazione di un corpo, separato dallo spirito, riducibile a un insieme di snodi e pompe. E a proposito di pompe (di benzina), è un po’ come dire: costo materia prima + margine lordo + accise + iva = costo della benzina. Qualcosa che funziona sulla nostra testa da scapoli, non più res cogitans, puro ingranaggio di un meccanismo calato dall’alto, altro che trasparente! Tutto sembra così irritantemente, e freddamente, dettato dal caso, più che dalla razionalità: paghiamo ancora un’accisa sulla guerra in Abissinia, la conserviamo con lo stesso amore con cui Duchamp fissò con la lacca la polvere che si era depositata sul Grande Vetro dopo alcuni mesi, o piombò i pezzi di vetro che si ruppero nel 1926 durante un maldestro trasporto dell’opera: ma sì, butta tutto dentro. Il caso aveva una sua poesia: l’autore dell’opera – questione cruciale dell’arte contemporanea – non è necessariamente il mero esecutore, bensì può essere colui che le attribuisce un valore. Ecco, è sempre questione di chi attribuisce il valore.

La Sposa messa a nudo dai suo Scapoli anche Il Grande Vetro 1915 23 Marcel Duchamp, il Grande Vetro e il caro benzina

La Sposa messa a nudo dai suo Scapoli, anche (Il Grande Vetro), 1915-23

3. Ma si conceda che in queste benedette, o maledette, insegne dei prezzi dei benzinai non ci sia nulla, ma proprio nulla d’interessante. Tanto meglio: Duchamp distingue tra ready-made e objets trouvés. Questi ultimi venivano scelti dagli artisti per le loro qualità estetiche o per la loro capacità di evocazione, mentre il ready-made (traduzione: bell’e pronto)…. può anche essere un orinatoio (Fontana, 1916). Importa, cioè, l’effetto di spiazzamento prodotto dalla decontestualizzazione e dalla nuova attribuzione di significato. Certo, chi legge i prezzi della benzina è continuamente spiazzato: ma mentre la lingua rinsecchisce, la mente è un flusso, svuotante, d’improperi, e si svuota nel contempo il portafoglio, con una ricontestualizzazione in stile duchampiano, al contrario, si otterrebbe “un nuovo pensiero per questo oggetto“, come ebbe a dire sul famoso orinatoio. Sarebbe una purga per le nostre imprecazioni, un pensiero più nobile. E il superamento della pittura come fatto visivo, ma questo è già successo.

4. Last but not least: chiusura ecologica. Con questi prezzi, vien voglia di riscoprire il piacere della bicicletta. Duchamp lo fece, ma in maniera anticonvenzionale. Nel 1913 prese una ruota di bicicletta e ne fece un’opera d’arte. Non si trattava di un ready-made in senso stretto, almeno non in quel momento: piuttosto, di un’azione “terapeutica”. L’artista spiegò infatti di voler possedere, nel raccoglimento del proprio studio, un oggetto da osservare in movimento, un dispositivo da ammirare con rilassata indifferenza, “come si guarda il fuoco di un caminetto“. Così fissò su uno sgabello da cucina la ruota. Solo in seguito, a New York, Duchamp rifletté a fondo sulle implicazioni concettuali dell’opera: scultura cinetica ante litteram, ma immobile; monumentale anti-monumento; superamento dell’orizzonte del collage cubista, che aveva segnato l’ingresso dell’oggetto comune nell’arte. Si pensi a che senso di pace – serve solo la mensola di un caminetto – si avvertirebbe nel guardare le cifre dei tabelloni delle pompe di benzina muoversi come fiammelle, o come la ruota di un criceto, senza associarle ad alcuna forma di salasso.

Immagine su prezzi benzina Marcel Duchamp, il Grande Vetro e il caro benzina

I prezzi della benzina

Come un “grande vetro”, l’opera d’arte – perfino la più ostica – è trasparente: a chi abbia occhi per guardare. Pardon, la pittura retinica è finita: a chi abbia una testa per pensare. In quanto produzione di un pensiero, altro non è che una forma di comunicazione di un essere umano nei confronti di un altro: per quanto difficile, assai più vicina di quanto non sembri. Così che, perfino, si può ludicamente smontarla e rimontarla, intersecandola con la nostra vita, con esempi concreti, con traiettorie di pensiero che siamo già abituati a percorrere, o che potremmo attivare con poco dispendio. Con un vantaggio: per viaggiare con la mente, non serve la benzina.

 

Antonio Maiorino

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Antonio Maiorino

Antonio Maiorino

Classe '84, laureato col massimo dei voti e menzione accademica in Storia dell'Arte a Napoli, nonchè in fase di abilitazione all'insegnamento nella medesima disciplina, è attualmente curatore della categoria Cinema per Infooggi, della rubrica Ace in the Hole per Cabiria,…

Scopri di più