L’apocalisse? È partecipata. Parola di Iocose

La cospirazione come compito eseguibile. L’invasione di opere altrui. E una televisione online che trasmette i video di Youtube che nessuno ha ancora visualizzato. Sono alcuni dei progetti del collettivo IOCOSE, realtà italiana giovane che raccoglie consensi (e commissioni) anche all’estero. Artribune li ha intervistati.

Nel vostro ultimo progetto, A Crowded Apocalypse, avete utilizzato il crowdsourcing per la costruzione di teorie complottistiche, due argomenti molto sentiti nell’era di Internet. Come vi è venuta l’idea di unire queste due realtà?
Sono due temi abbastanza popolari, ma era l’accostamento tra i due che ci interessava. Entrambi ci appaiono infatti basati su una forza invisibile. Le teorie cospirazioniste hanno per definizione un tassello mancante, che non può essere comprovato. È questo che le mantiene in vita: il fatto che non si possa mai sapere effettivamente se la teoria corrisponde alla realtà.  Ogni prova è potenzialmente parte dello stesso piano cospirazionista. Il crowdsourcing è invece perfettamente trasparente nel suo funzionamento, si basa su un contratto minimo, semplice e immediato, tra una domanda e un’offerta. Il pezzo mancante è il motivo per cui tale lavoro debba avere un valore per qualcuno, ovvero quale sia il piano in cui si deve andare  inserire il tassello che viene richiesto al crowd. Ci piace fare il paragone con una fabbrica di armi, dove ogni lavoratore compie un gesto di per sè insignificante e non legato al piano finale, ma la moltitudine di queste azioni porta verso un risultato potenzialmente distruttivo. Con A Crowded Apocalypse abbiamo voluto mettere in scena queste forze invisibili sottese alle nostre paranoie, cosi come al crowdsourcing.


L’esperimento ha funzionato?
Il risultato, crediamo, è un tentativo di mostrare come il lavoro deumanizzato e frammentario del crowdsourcing possa essere impiegato per indagare le paure che si legano alla vita sociale del lavoratore, anonimo e solitario, dell’epoca delle tecnologie di Rete. Per questo abbiamo richiesto alle persone, nell’ultima fase, di fotografarsi in strada, nel luogo pubblico per eccellenza, dove la protesta sociale può prendere forma. Il risultato però è necessariamente ridicolo, privo di senso. Le proteste diventano un atto compulsivo e meccanico, come lo svolgimento di un task da 10 centesimi di dollaro su Amazon Mechanical Turk.

Il progetto è stato commissionato dall’AND Festival e da Furtherfield. Avevate delle richieste precise sul lavoro o siete stati liberi di scegliere tema e medium?
AND e Furtherfield ci hanno proposto il tema di quella che sarebbe stata la prossima edizione del festival. Erano interessati ad esplorare il tema dei “systems of belief”, sistemi discorsivi e tecnologici attraverso cui ideologie e credenze vengono sostenuti e strutturati. Il crowdsourcing e le teorie cospirazioniste erano temi su cui stavamo da tempo facendo varie ricerche, e quando ci è stato proposto questo tema abbiamo notato un collegamento tra i due, come se fosse quello l’anello di congiunzione che cercavamo. Abbiamo proposto un progetto iniziale che poi abbiamo cambiato più volte nei suoi dettagli, ma in generale abbiamo potuto scegliere in piena libertà.


Un progetto in particolare vi ha dato molta notorietà. Parlo della performance “illegale” che avete fatto alla Tate Modern di Londra, lanciando veri semi di girasole sull’installazione di Ai Weiwei, fatta di semi di porcellana. Quali sono state le reazioni che vi hanno sorpreso o divertito di più?
Quella di Ai Weiwei e quella della Tate Modern. Ai Weiwei ha espresso il suo apprezzamento scrivendoci via Twitter. La Tate Modern, pur sapendo del lavoro – anche ai piani alti (come ci hanno assicurato persone che lavorano nel museo) – ha preferito tacere e non sostenere il lavoro in alcun modo. Reazione prevedibile ma interessante per un’istituzione che ha certamente obblighi e oneri e probabilmente non vuole incentivare forme di intervento sulle opere esposte da parte del pubblico o altri artisti, ma che fa di tutto per mostrarsi favorevole all’accesso all’arte per tutti. Evidentemente intendono l’accesso come una pratica meramente passiva. Questa contraddizione ci ha seccato, ma ci ha anche giocato a favore. Sicuramente avremmo trovato molto noioso se qualcun’altro fosse venuto a rovinare i nostri semi di girasole.

IOCOSE è un collettivo. In che modo nascono e si sviluppano i vostri progetti? Avete dei ruoli definiti o siete interscambiabili?
Come di preciso nascono non lo sapremmo riassumere, sappiamo che finiscono per esaurimento del tema, noia, voglia di fare altro. Un progetto è come una discussione, può essere piacevole o inopportuna, con o senza imprevisti, può durare un anno come cinque minuti. C’è chi fa il caffè, chi ha le chiavi di casa, chi ha portato il whisky, chi legge ad alta voce, chi interrompe o si distrae, chi è sdraiato sul divano. I ruoli sono segreti, ma sono sempre gli stessi. Poi, arrivata una certa, la discussione finisce, è inevitabile. La fine di un progetto è spesso l’inizio di un altro.

A Crowded Apocalypse crowdsourced digital photos IOCOSE 2012 5 L’apocalisse? È partecipata. Parola di Iocose

IOCOSE – A Crowded Apocalypse – 2012 – crowdsourced digital photos

Parliamo infine del NoTube Contest, un concorso molto particolare che organizzate ogni anno. In un momento in cui tutti sono alla ricerca di filtri efficaci per ottenere solo informazioni e contenuti rilevanti, voi andate controcorrente, andando alla ricerca di quello che è assolutamente inutile e inerte…
Col NoTube intendevamo celebrare quel marasma di dati da cui i filtri di ricerca intendono tenerci lontano. Il NoTube è una camera con vista su un oceano senza keyword, un jet privato che vola sulla no-tag area. In realtà i video NoTube sono molto affascinanti. Guardati in grandi quantità si avvicinano a un’esperienza mistica. Esprimono un vuoto totale, una completa mancanza di senso. Potete apprezzare questa sensazione unica guardando la First Viewer TV, una online-tv da noi creata che mostra i video con 0-views di YouTube. Si tratta generalmente di video appena caricati, non necessariamente privi di valore, ma spesso difficili da capire nel contesto fruitivo a cui Youtube ci ha abituato. La First Viewer TV si basa su una API scritta da IOCOSE e si aggiorna ogni venti minuti. Ma attenti perché dà dipendenza.

Valentina Tanni

www.iocose.org
iocose.org/FirstViewerTV

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Valentina Tanni

Valentina Tanni

Valentina Tanni è storica dell’arte, curatrice e docente; la sua ricerca è incentrata sul rapporto tra arte e tecnologia, con particolare attenzione alle culture del web. Insegna Digital Art al Politecnico di Milano e Culture Digitali alla Naba – Nuova…

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