In ricordo dello scrittore con la bandana
Nasceva cinquant’anni fa David Foster Wallace, esattamente il 21 febbraio 1962. Il grande scrittore americano, scomparso nel 2008, viene ricordato con la lettura collettiva del suo ultimo romanzo, “Il re pallido”. Fino al 19 maggio, a tappe di sessanta pagine.
Innanzitutto: questo libro non è illeggibile (“ai limiti della leggibilità”, decreta Francesco Longo). Incompiuto, incompleto, abbozzato, ricomposto, ricucito, editato in emergenza sì, ma illeggibile no. L’howling fantod, il wallaciano affezionato riconosce facilmente i temi, alcune modalità di costruzione e la voce, soprattutto la voce del compianto, grandioso David Foster Wallace. Ma neanche il lettore a digiuno di testi del nostro è giustificato nel ritenere non leggibile il Re pallido: i diversi paragrafi in cui è suddiviso hanno tutti uno svolgimento compiuto, e anche solo leggerli come racconti a se stanti sarebbe possibile (e godibile).
Tutti dicono che Wallace volesse parlare della noia del lavoro all’Agenzia delle Entrate, nella Cosa Lunga a cui lavorava da tempo quando ha “eradicato la sua mappa”, ma come per tutti i libri con grandi ambizioni è riduttivo legare Il re pallido a un’unica definizione. Tutto il romanzo – ciò che ci è possibile leggerne – è pervaso dalla riflessione sulla consapevolezza contrapposta a una benefica assenza di pensiero: già in Infinite Jest era consigliabile per i giovani tennisti e per gli ex alcolisti rifugiarsi nell’automatismo, nell’assenza di scelta consapevole, per sfuggire agli inganni del pensiero.
E se nell’enciclopedico compiuto romanzo le teste esplodevano nei forni a microonde, nel Re pallido se ne trovano tante calcate da cappelli, conseguenza dell’ambientazione negli Anni Ottanta (deviazione temporale opposta e speculare a quella di Infinite Jest) ma aspetto non irrilevante, se emerso dalla penna di uno scrittore famoso per la sua bandana (utile per non far esplodere la testa, ha detto a Lipsky nell’intervista pubblicata da minimum fax).
Nel libro compaiono due ‘David Wallace’, e uno dei due si presenta così: “Qui l’Autore”. Ecco, Wallace non ha mai lavorato all’Agenzia dell’Entrate di Peoria (che, mi sembra di capire, nemmeno ha una sede dell’Agenzia delle Entrate): come narratore il nostro è inattendibile, ma solo se ci si affida al discorso superficiale, se si pretende di prendere alla lettera quello che dice; invece le sue ipostasi narrative sono ovunque, per esempio in Meredith Rand, vittima di paradossi esistenziali e preoccupata dalla possibilità di risultare noiosa e ripetitiva.
Wallace offre ai lettori una passeggiata nel suo cranio (come lo studente del MIT che in Infinite Jest attraversava l’edificio descritto in termini di “meati acustici”, “superficie grigia e bulbosa”, “recesso infundibulare”), ma allo stesso tempo una gita nel cervello di chi legge, con dei momenti in cui si ha davvero l’impressione che sia possibile entrare in profonda connessione con un’altro essere umano.
A cinquant’anni dalla nascita di Wallace (il 21 febbraio 1962) l’Archivio DFW Italia propone la lettura collettiva del suo libro postumo, pubblicato da Einaudi: dal 3 marzo al 19 maggio 2012 blocchi di circa sessanta pagine del Re pallido saranno letti, analizzati e commentati da appassionati e curiosi, e la letteratura darà ancora la possibilità di unirsi, se non intorno al fuoco, nei pressi del suo corrispettivo contemporaneo.
Carlotta Susca
[email protected]
archivio-dfw.tumblr.com
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