A Torino compaiono i poster di street art “Mio marito”. È la vendetta contro il gruppo Facebook

Lo street artist Andrea Villa vuole ribaltare lo sguardo patriarcale alla base di gruppi di predatori online come il famigerato 'Mia moglie', in cui uomini condividono foto private di donne senza il loro consenso. Ma l'indignazione serve a poco per smontare lo status quo

Poche donne sono rimaste sorprese quando il gruppo Facebook “Mia moglie” è venuto alla luce. Lo spazio online in cui oltre 30mila uomini condividevano per il reciproco piacere le foto private delle proprie compagne (ma non solo) senza il loro consenso è solamente una delle tante manifestazioni del patriarcato nelle loro vite, in uno spettro che va dal giudizio malcelato al femminicidio. L’ennesima violazione della privacy e dell’umanità delle donne, mascherata senza successo da goliardia, non è quindi niente di nuovo – così come non lo è stato per l’assai più grande sito Phica.eu -, e non resta che la speranza (anche qui, flebile) che vi siano delle ripercussioni per i partecipanti. Nel frattempo, un noto street artist torinese ha deciso di mettere in pratica una piccola vendetta: esporre gli uomini responsabili al pubblico ludibrio con dei manifesti sparsi per il capoluogo piemontese.

I poster di street art “Mio marito” di Andrea Villa

L’artista Andrea Villa ha stampato le gigantesche immagini degli uomini coinvolti nello scandalo, tutti in mutande e con il viso parzialmente coperto, affiggendole in Lungo Dora Siena 108 e Corso Regina Margherita 50 accompagnate dall’ironica scritta “Mio Marito”. Questa serie di manifesti, scrive lo street artist sul proprio profilo Instagram, “ribalta lo sguardo patriarcale alla base di spazi come il gruppo “Mia moglie”, dove uomini condividono foto private delle proprie compagne senza consenso. In questo lavoro i protagonisti diventano loro: i mariti, esposti sulla pubblica piazza senza autorizzazione, con volti e contesti leggermente alterati“.

Con una nota finale che mette in luce la disparità di genere anche nella percezione della colpa e nell’applicazione (legale e non) delle conseguenze: L’opera mette in discussione il concetto di possesso e il doppio standard sociale, ricordando il caso della maestra licenziata per la sua attività su OnlyFans: mentre le donne vengono punite e stigmatizzate, gli uomini raramente subiscono conseguenze. “Mio marito” diventa così un atto di resistenza e di riequilibrio simbolico.

“Mia moglie”, una storia tutt’altro che risolta

Una piccola soddisfazione, che resta però amara. Come sottolineato dalla scrittrice Carolina Capria, che ha aperto il vaso di Pandora e ha ottenuto la chiusura del gruppo, il punto è che “esistono centinaia di pagine e gruppi nei quali le persone si scambiano materiale intimo senza il consenso delle persone ritratte. Ci sono persone che installano in casa delle videocamere per riprendere di nascosto coinquiline, compagne, amiche. È un problema gigantesco. Che ci tocca tutte. Prima della mia segnalazione, il gruppo era stato denunciato più volte e non si era giunti a niente. E questo ci dimostra che non abbiamo ancora delle tutele e un sistema che funziona. Non dovrebbe servire l’indignazione pubblica, dovremmo essere protette“.

L’indignazione contro il patriarcato serve a poco

Purtroppo, quindi, interventi punitivi come quello di Villa – che ricorda l’implementazione dell’ergastolo per i colpevoli di femminicidio – non smontano lo status quo. La stessa Capria precisava che trattandosi di un problema sistemico, la soluzione definitiva non passa dalla punizione di un comportamento ma da un mutamento della struttura di pensiero“. Un processo che ha il suo cuore nell’educazione, che si prospetta però lenta e difficoltosa e che deve essere affiancata da una corretta informazione mediatica – per esempio, non ricadendo nel victim blaming o in altri bias nella narrazione dei fatti – e nella prevenzione della violenza in ogni sua forma, tramite l’apertura e il mantenimento delle case sicure, l’applicazione delle misure di allontanamento previste dalla legge e, sopra ogni cosa, credere alle donne che denunciano.

Vendette come questa, quindi, fanno sorridere e danno forse un attimo di soddisfazione, ma non la situazione di partenza non cambia. Anche perché, come ha portato a galla anche la recente inchiesta di Elisabetta Rosso per Fanpage, online c’è un gigantesco universo di gruppi e chat popolate di scambi di foto intime scattate di nascosto, insulti a donne terze, cessione di numeri di telefono e profili da molestare, con tanto di sessioni di masturbazione collettiva. E alla chiusura di un gruppo, tutti si spostano altrove e procedono indisturbati.

Giulia Giaume

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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