È morto Mimmo Jodice, il fotografo delle visioni di realtà. Tra impegno sociale, metafisica e memoria

Grande sperimentatore, vicino alle avanguardie artistiche degli Anni Sessanta e Settanta, il fotografo campano ha saputo raccontare il mondo al di là della contingenza documentaristica. Scompare all’età di 91 anni, dopo una lunga e fortunatissima carriera

Un mondo noto, eppure sconosciuto, si dispiega davanti agli occhi di chi entra in connessione con gli scatti di Mimmo Jodice, scomparso all’età di 91 anni dopo una lunga e fortunata carriera, durata oltre 60 anni. È l’universo poetico, straniante, atemporale, ma vividissimo, catturato dallo sguardo del fotografo campano, che sin dagli Anni Sessanta ha colto le molteplici opportunità del mezzo fotografico per creare visioni di realtà svincolate dalla contingenza documentaristica. Superando, dunque, la supposta antitesi tra analisi del reale e indagine introspettiva, ché l’attaccamento alle cose umane e l’osservazione acuta del mondo naturale possono manifestarsi in tutta la loro potenza anche (tanto più) aggirando un approccio didascalico. 

Mimmo Jodice, Spiaggia di Bagnoli, Napoli 1968
Mimmo Jodice, Spiaggia di Bagnoli, Napoli 1968

Mimmo Jodice. Gli inizi nella fotografia, l’avanguardia a Napoli

Nato a Napoli nel rione Sanità il 29 marzo del 1934 – secondo di quattro figli: rimasto orfano di padre, appena conclusa la scuola elementare inizia a lavorare – il fotografo, tra i più grandi del Novecento italiano, e non solo, ha mantenuto sempre saldo il legame con la sua terra, e col mare in particolare, elemento pacificante, “luogo privilegiato dove si incontrano realtà e sogno”, immanente nella sua capacità di riproporsi agli uomini del passato, presente e futuro, dunque “origine ancestrale del mito e della civiltà”.
Dopo alcune esperienze da autodidatta con il disegno, la pittura e la scultura, a partire dalla fine degli Anni Cinquanta Jodice concentrò il suo impegno sulla fotografia, guardando soprattutto a maestri come Bill Brandt, Germaine Krull, Man Ray, ma anche alla ricerca di Ugo Mulas: al 1967 risale la sua prima mostra personale, che si tiene alla Libreria La Mandragola di Napoli, presentata da Antonio Napolitano. Nello stesso anno, nell’edizione italiana della rivista americana Popular Photography, è pubblicata per la prima volta una sua immagine. Data invece 1968 la sua prima mostra personale in uno spazio pubblico, nelle sale del Teatro Spento del Palazzo Ducale di Urbino.

Gli esordi, a stretto contatto con il tessuto culturale e sociale di Napoli, sono vissuti, sì, nel segno della sperimentazione di nuovi linguaggi tecnici – da subito si accosta alle arti visive e alle coeve ricerche di stampo concettuale, e spesso combina la fotografia con interventi manuali come il collage, o linguistici – ma ancora molto orientati a dare voce all’impegno sociale (le inchieste sul lavoro minorile, i reportage nelle carceri e negli ospedali psichiatrici). Poi, la figura umana sparisce, o meglio viene interiorizzata in immagini concentrate sulla rappresentazione di un paesaggio di natura, di civiltà, di memoria e di sogno.
Sempre, sarà centrale per la sua ricerca la camera oscura, momento essenziale del processo creativo di Jodice: un passaggio considerato alchemico dal fotografo, in un territorio di estrema libertà tecnica e concettuale, per comprendere come “forzare i limiti del linguaggio fotografico, stravolgere le regole convenzionali e arrivare a una dimensione autonoma”. Tra contrasti portati all’estremo per far sparire le mezze tonalità e acidi aggressivi usati sulla pellicola per far esplodere la grana, la sperimentazione in camera oscura si accentua negli Anni Ottanta, quando l’interesse di Jodice si orienta innanzitutto su una restituzione molto personale del paesaggio. 

Mimmo Jodice, Frattura, 1970 © Mimmo Jodice
Mimmo Jodice, Frattura, 1970 © Mimmo Jodice

I lavori più importanti di Mimmo Jodice. Dalla denuncia sociale alle città sospese

Negli Anni Settanta – mentre sperimenta ancora il filone concettuale con lavori come Taglio, Ferrania, i Nudi stroboscopici – Jodice si fa interprete del dibattuto tema del Meridione, con scatti che accentuano la potenza dei simboli, spesso realizzate in collaborazione con storici, antropologi e sociologi. Qualche anno più tardi, curerà con Cesare De Seta, coinvolgendo altri fotografi, il progetto Napoli 1981. Sette fotografi per una nuova immagine. I lavori di impegno sociale saranno supporto visivo per libri – come il volume Chi è devoto di Roberto De Simone, il volume Mezzogiorno. Questione aperta (1975) e il ciclo di immagini Il ventre del colera, scattate in Campania durante l’epidemia del 1973, raccolte nel volume introdotto da Domenico De Masi – e protagonisti di mostre come Facets of the Permanent Collection. Expressions of the Human Condition, curata da Van Deren Coke nel 1981 per il Museum of Arts di San Francisco.

Jodice emerge tra i protagonisti della scena d’avanguardia a Napoli, in relazione con le gallerie più attive in città (la Modern Art Agency di Lucio Amelio, lo Studio Morra, lo Studio Trisorio e la Galleria di Lia Rumma). Al 1978 data l’esordio della serie Vedute di Napoli, raccolte l’anno seguente in un volume con testi di Giuseppe Bonini e di Giuseppe Galasso. Vuoto, assenza, silenzio, sono le parole chiave della poetica visiva di questa fase, tradotta in atmosfere metafisiche e rarefatte (il debito verso De Chirico e Savinio è dichiarato), anche quando intorno brulica le vita quotidiana. Le Vedute di Napoli sono di certo stranianti, ma capaci di arrivare al cuore del problema: quel sentimento di disagio verso una realtà enigmatica assorbita dalla sensibilità dell’artista. Uno sguardo che sarà, più tardi, applicato anche ai “ritratti” di altre città, caratterizzati da paesaggi urbani spesso presentati in modo minuzioso, ma congelati e astratti dalla quotidianità, come reazione all’incapacità di accettare il caos: immagini delle principali capitali internazionali – da Boston a Parigi, da Tokyo a Mosca, Roma, San Paolo – che hanno fatto il giro del mondo. Nel 2006, una mostra nel Palazzo Reale di Napoli e il volume Città visibili raccolgono le tappe di questo suo itinerario, mentre altri volumi approfondiscono la visione di una singola città (Paris: City of Light del 1998, São Paulo del 2004, con un testo di Stefano Boeri, Roma del 2008 con testi di Richard Burdett e di Cornelia Lauf). Gli scatti dedicati a Napoli sono invece oggetto di una mostra, La città invisibile, che si tiene nel 1990 al Museo di Castel Sant’Elmo, presentata da Germano Celant.

Testa di Apollo, Baia, 1993 © MIMMO JODICE
Testa di Apollo, Baia, 1993 © MIMMO JODICE

Mimmo Jodice e l’archeologia, la memoria, il Mediterraneo

A partire dagli Anni Ottanta, nuova fonte d’interesse sono l’arte antica e l’archeologia (si vedano i volumi Un secolo di furore del 1986 con Nicola Spinosa; Michelangelo sculture del 1989 con Eugenio Battisti; PaestumPompeiNeapolis Puteoli con Fausto Zevi), ma anche l’architettura (da cui nasce una collaborazione con Álvaro Siza). La raccolta sul Mediterraneo, invece, mescola ricordi individuali e memoria collettiva per restituire la storia e i miti della cultura grecoromana in modo molto originale. Un lavoro che avrà molto successo e sarà oggetto di numerose mostre in Italia e nel mondo, dal Philadelphia Museum of Art a New York, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma al Castello di Rivoli, al Museo di Fotografia a Mosca. Del 2000 è la monografia Isolario mediterraneo in cui sono riunite per la prima volta le fotografie dedicate al mare, protagoniste anche di diversi progetti espositivi.

La fortuna critica di Mimmo Jodice. Le mostre, i libri, l’insegnamento

Dal 1970 al 1996, Jodice insegna fotografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli (a lui si deve se la disciplina ottenne una cattedra nella Accademie italiane). Nel 2003 l’Accademia dei Lincei gli conferisce il premio Antonio Feltrinelli per la prima volta assegnato alla fotografia. Nel 2006 è la volta della laurea honoris causa in Architettura, assegnata dall’Università degli Studi Federico II di Napoli.

Per quel che riguarda le pubblicazioni, nel 1983 la casa editrice Fabbri dedica a Mimmo Jodice uno dei primi volumi monografici della collana I grandi fotografi, con un testo di Filiberto Menna e un colloquio dell’autore con Giuseppe Alario. Tra le numerosissime monografie che arriveranno in seguito, le più recenti sono Perdersia guardare a cura di Alessandra Mauro (2008), Mimmo Jodice. Attesa (2018), Saldamente sulle nuvole, autobiografia scritta dal fotografo con Isabella Pedicini (2023), Mimmo Jodice. Senza tempo (2023), Mimmo Jodice. L’enigma della luce (2025).
Nel 2001 la Galleria d’Arte Moderna di Torino dedica a Mimmo Jodice un’ampia mostra retrospettiva curata da Pier Giovani Castagnoli; del 2016 è l’importante retrospettiva curata dal MADRE curata da Andrea Viliani, del 2023 quella alle Gallerie d’Italia di Torino (Mimmo Jodice. Senza tempo). Sue mostre personali si tengono in moltissimi spazi pubblici, dal Museum of Modern Art di Wakayama in Giappone alla Casa della Fotografia di Mosca, al MART di Rovereto, al Museo di Capodimonte a Napoli. Da segnalare anche due recenti documentari sulla sua opera: Un ritratto in movimento di Mario Martone (2023) e Mimmo Jodice. Napoli metafisica, scritto da Matteo Monet e diretto da Simona Risi (2025).

Livia Montagnoli

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