La visione sospesa del fotografo Olivo Barbieri in mostra all’ICCD di Roma
Il grande fotografo esplora territori indagando e rielaborando il materiale fotografico dell’Aerofototeca Nazionale, in un rapporto incessante tra tecnologia, controllo e percezione e in un viaggio visivo tra estetica e spaesamento

La nuova ricerca del fotografo Olivo Barbieri (Carpi, 1954), invitato dall’ICCD a partecipare al programma di residenza d’artista, scegliendo di lavorare sui materiali dell’Aerofototeca Nazionale, si configura come un’analisi poetico-visiva del nostro tempo, dove la fotografia non è solo uno strumento di rappresentazione ma anche di riflessione critica sul senso del tempo inesorabile che scorre.
Il senso del tempo nell’opera di Olivo Barbieri
Con un linguaggio estetico sofisticato e insieme “perturbante”, Barbieri costruisce un universo sospeso tra documentazione e astrazione, in cui la visione dall’alto — già sperimentata nella sua nota serie Site Specific — si carica di nuove implicazioni antropologiche e simboliche. Barbieri si muove in un solco che unisce l’innovazione tecnologica ad alcune immagini tratte dai grandi della storia della fotografia: le sue figurazioni aeree, spesso ottenute con tecniche come il tilt-shift — che altera la profondità di campo simulando la miniaturizzazione dei paesaggi — evocano un senso di spaesamento simile a quello prodotto dalle prime fotografie moderniste o un eco lontano dell’arte metafisica di Giorgio de Chirico. Si pensi, ad esempio, ai lavori di Laszlo Moholy-Nagy, che negli Anni Venti del Novecento esplorava la visione dall’alto come forma di discontinuità percettiva, o alle sperimentazioni prospettiche di Alexander Rodchenko, per cui l’angolo inusuale diventava uno strumento per “rivoluzionare la visione”.
La mostra di Barbieri all’ICCD di Roma
In Barbieri, questa tensione tra realismo e astrazione si traduce in immagini iperdefinite: le strutture aeroportuali, i terminali, le piste di decollo e le architetture industriali si presentano come scenari sospesi, dove l’umano è assente o del tutto marginale è qui, nello specifico, la sua attenzione è stata centrata sulla ricerca di immagini in negativo nel fondo dell’Aeronautica Militare, da rulli di negativi di 42 metri arrotolati in migliaia di barattoli di latta, immagini in bianco e nero lunghi anche sessanta metri, svolti sopra i loro contenitori, alterandosi a rilievi fotogrammetrici del passato di paesaggi montani, bacini idrici, addensamenti urbani. In ciò si avverte un’eco della fotografia topografica americana degli Anni Settanta, come quella di Lewis Baltz o Robert Adams, che documentavano paesaggi urbani e periferici spogliati di ogni romanticismo, mettendo in luce le tracce invisibili dell’intervento umano sulla natura. Barbieri si distingue però per un uso consapevole della post-produzione digitale, che non nasconde ma esalta l’artificialità della visione. Le sue immagini non vogliono ingannare, bensì svelare: ciò che vediamo è reale, ma filtrato da una coscienza critica della tecnologia visiva contemporanea.
Il volo di Icaro nell’opera di Barbieri
L’apparente neutralità delle immagini di Barbieri è, in realtà, fortemente carica di significato antropologico: la scelta del punto di vista aereo richiama una lunga tradizione di osservazione “panottica” — dal volo di Icaro alla visione dronica contemporanea — che storicamente è associata al potere: vedere tutto dall’alto significa possedere, controllare, delimitare. In questo senso, il titolo stesso della mostra, Restricted, non è casuale, indica non solo uno spazio fisico interdetto, ma anche una sfera epistemologica: ciò che ci è dato vedere è sempre mediato, filtrato, sottoposto a vincoli. La fotografia, in quanto tecnologia di registrazione e sorveglianza, diventa qui uno strumento per mettere in scena il paradosso della visione contemporanea: vediamo di più, ma capiamo di meno. Allo stesso tempo, le sue immagini pongono interrogativi sull’umanità nei territori tecnologizzati. Dove sono le persone? Sono sparite, oppure sono state annullate dallo spazio stesso che le contiene? La fotografia, in questo senso, diventa un’indagine antropologica indiretta: ciò che non è visibile (l’individuo) si rende presente attraverso l’assenza, lo svuotamento, il silenzio visivo. Aviopancro Restricted è molto più di una raccolta di immagini aeree: è una riflessione stratificata sul nostro tempo, sulle forme dell’osservazione, sui territori proibiti e sulle nuove mitologie del potere tecnologico. Barbieri ci ricorda che l’atto del vedere è sempre anche un atto di esclusione e che la fotografia, lungi dall’essere una semplice finestra antropologica sul mondo, è uno specchio deformante che ci interroga su chi siamo, dove siamo e cosa siamo diventati.
Fabio Petrelli
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