Reportage fotografico da Cabras, baluardo della tradizione sarda

Le parole del ricercatore Andrea Bagnato accompagnano le fotografie di Anna Positano nel reportage da Cabras, in provincia di Oristano, cittadina affacciata su uno stagno fra i più contesi della storia. Prosegue così il "Giro d'Italia" curato da Emilia Giorgi.

Si racconta che don Efisio Carta, affacciato al suo palazzo nella piazza principale di Oristano, usasse un cannocchiale per controllare il suo stagno, pattugliato da guardie armate. Cabras è un rifugio ideale per i pesci di mare, che vi entrano all’inizio dell’inverno per mettersi al riparo dai predatori; in estate, quando ormai adulti tentano di tornare al largo, è sufficiente calare uno sbarramento alla bocca dello stagno per pescare orate, spigole e muggini in quantità. Da secoli le acque di Mare e Pontis, come è chiamato localmente lo stagno, erano regolate da una rigida gerarchia: don Efisio e i suoi servi avevano il controllo esclusivo delle peschiere. La maggior parte dei pescatori di Cabras dovevano arrangiarsi con attrezzature di fortuna, né potevano lavorare nei pescosi mesi estivi.

LA STORIA DI CABRAS

Sembra che Cabras sia stato per secoli proprietà collettiva, fino a quando un banchiere genovese ne ottenne, nel 1662, i diritti d’uso dal re di Spagna. Nel 1836 re Carlo Alberto abolì i rapporti feudali in Sardegna per favorire la proprietà privata – e lo stagno passò nelle mani dei Carta, una famiglia di proprietari terrieri tra le più ricche dell’isola. Nel 1956 il governo regionale approvò la legge regionale 39 che aboliva “tutti i diritti esclusivi di pesca” nelle acque costiere dell’isola. Stagni e lagune divennero proprietà del demanio – ma non Cabras, quello più grande e pescoso, che don Efisio continuò a gestire in spregio alla legge.
Come racconta il giornalista Ugo Dessy, che nel 1973 scrisse un libro su queste vicende, il privilegio feudale si estendeva ovunque arrivasse l’acqua: le guardie di don Efisio minacciavano di sparare persino a chi provasse a pescare il pesce che, in inverno, arrivava sui campi circostanti quando lo stagno esondava.
Le proteste dei pescatori iniziarono nel 1960. Il 15 maggio 1961, sessanta di loro occuparono per una settimana lo stagno con le proprie barche, per chiedere l’applicazione della legge; le donne, accampate sulla riva, rifornivano gli uomini di provviste e controllavano che nessuno disertasse. I pescatori furono arrestati e, nonostante la crescente solidarietà dai lavoratori di tutta Italia, a Cabras le condanne per “furto di pesce” continuarono per tutti gli Anni Sessanta. Nel 1971, ben 288 pescatori finirono a processo. Tutti furono assolti, ma la questione della proprietà dello stagno restava in ogni caso irrisolta perché il governo democristiano continuava a rimandare l’applicazione della legge. Nel frattempo si era aperta una contesa giuridica, imperniata sulla natura del canale che collega lo stagno al mare: è opera umana, come affermavano i legali di don Efisio e il tribunale locale, oppure un canale naturale, come sostenuto dallo Stato e dai pescatori?

Anna Positano, Arborea Mussolinia, 2020. Courtesy l’artista

Anna Positano, Arborea Mussolinia, 2020. Courtesy l’artista

CABRAS IERI E OGGI

Solo nel 1982 la Regione si decise a espropriare lo stagno – dopo aver pagato ai Carta un cospicuo risarcimento – e ad assegnarlo in gestione a una cooperativa. Ma ormai molti pescatori erano emigrati o avevano cambiato mestiere.
Riflettiamo sulla storia dei pescatori girando per i campi e gli allevamenti di Arborea, poco lontano. Queste “nuove terre” nacquero con le bonifiche degli Anni Trenta, a cui Cabras è uno dei pochi corpi d’acqua sopravvissuti. È difficile non accorgersi di quanto sia contraddittoria l’idea di modernizzazione propugnata tanto dal Fascismo quanto dallo Stato repubblicano: da un lato le aree umide erano da eliminare in quanto improduttive, dall’altro si era più che disposti a tollerare lo sfruttamento delle acque da parte dei grandi proprietari. Come già intuito da Dessy, aver posticipato così a lungo una soluzione era funzionale a privilegiare i “nuovi” settori dell’economia sarda: agrario, militare e petrolchimico. Quel poco che resta dei modi di vita cosiddetti tradizionali è ormai svuotato di valore ecologico e sociale, e ri-semantizzato per il turismo – come il mestiere della pesca in laguna.

Andrea Bagnato

Questo testo e le immagini di Anna Positano sono parte del progetto “Arborea/Mussolinia” (vincitore del grant della Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts) di prossima pubblicazione presso Humboldt Books.

https://theredbird.org/

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #61

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Andrea Bagnato

Andrea Bagnato

Andrea Bagnato (1986) è un architetto e ricercatore. Dal 2014 lavora al progetto Terra Infecta, che studia salute e contagio in rapporto alle trasformazioni ecologiche e territoriali e alle asimmetrie tra nord e sud. È autore, con Marco Ferrari e…

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