Tokyo, la morte, le donne. Nobuyoshi Araki in mostra a Siena

Il Santa Maria della Scala di Siena ospita una enorme retrospettiva sul fotografo giapponese.

Oltre 2.200 fotografie a colori e in bianco e nero raccontano mezzo secolo di carriera di Nobuyoshi Araki (Tokyo, 1940), dalla città natale alla relazione con la moglie Yoko, al nudo femminile. Poesia, caducità dell’esistenza, erotismo, intimità, natura e scorci urbani si amalgamo in fotografie suggestive, coinvolgenti, spiazzanti, crudeli, in una mostra dall’alta qualità artistica ma con un allestimento che lascia qualche dubbio, in particolare la scelta di esporre in alcune sale fotografie di grandi dimensioni eccessivamente vicine l’una all’altra.

IL FILO SOTTILE DELL’ESISTENZA

La ricerca di un’estetica, il senso della composizione ‒ non sotto il punto di vista geometrico, ma sotto quello dell’armonia fra pieni e vuoti, luci e ombre, soggetti e sfondi ‒ sono le linee guida di un discorso artistico che ha nella caducità il suo punto focale. Death Reality (1997) richiama più volte le atmosfere di William Shakespeare, cogliendo i soggetti in banali momenti quotidiani di sospensione fra un gesto e l’altro, dove il lavoro di post-produzione crea negativi che sembrano corrosi dal tempo, così come i corpi dei soggetti stessi. E ancora, in Araki’s Paradise, la serie a colori realizzata appositamente per la mostra senese, Araki dà vita a una nuova forma di ricerca estetica ma anche spirituale: composizioni che ricordano i tesori inquietanti delle Wunderkammer tedesche fra Cinquecento e Seicento, e un senso della caducità che ricorda quello espresso, pur in forme differenti, da Robert Mapplethorpe: fiori, bambole, animali, riproduzioni di organi sessuali maschili, mostri preistorici. Non più la città, la natura o la donna, ma un mondo ideale di suggestioni spirituali, orpelli barocchi, richiami erotici, metafora del caos di una società contemporanea che vaga confusa alla ricerca di valori. L’artista stesso sistema i fiori prima dello scatto e, dopo lunga attesa, immortala l’istante appena precedente alla sfioritura, alla caduta dei petali, al disseccamento dello stelo, struggente richiamo alla fragilità dell’esistenza.

Nobuyoshi Araki, Dead Reality, 1977. ©Nobuyoshi Araki

Nobuyoshi Araki, Dead Reality, 1977. ©Nobuyoshi Araki

TOKYO

Città che gli ha dato i natali, con la quale ha sempre avuto un rapporto filiale e viscerale, Araki la racconta da mezzo secolo, sin dal reportage d’esordio del 1963, Satchin and his Brother Mabo: scatti intimi e poetici delle avventure di due bambini suoi vicini di casa, nel loro cortile. Si scopre una città fuori dal tempo, paradossalmente lontana dalla tecnologia e dai grattacieli, legata al mondo dell’infanzia, il cui sguardo curioso e innocente è il punto di vista privilegiato che lo stesso Araki riesce a trasfondere nei suoi scatti.
Con Subway of Love (1963-72), lo scenario cambia radicalmente: la metropolitana cittadina diventa il luogo da cui partire per raccontare la solitudine urbana, per cogliere, a loro insaputa, i volti dei giapponesi al ritorno da massacranti giornate di lavoro, per cogliere la loro onnipresente e ossessiva disciplina. Aspetti documentati anche dal giornalista Tiziano Terzani nei suoi approfonditi scritti sul Giappone.

LA DONNA

In una cultura come quella dove la pratica sadomasochista è parte integrante del modo di concepire (o immaginare) la vita sessuale, Araki omaggia a suo modo il corpo femminile. Pur negli scatti più espliciti non c’è volgarità, perché l’artista riesce a dare maggior risalto allo sguardo, alla piega sottile delle labbra, a un’ombra sulla pelle, al fluire dei capelli, rispetto agli organi sessuali o ad altre zone del corpo più appariscenti. Immagini a tratti al limite del sadismo o dell’esibizionismo, ma dove la poesia riesce sempre a imporsi sullo squallore delle perversioni umane.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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