Le problematizzazioni filosofiche e antropologiche che si evidenziano nella produzione fotografica di Giulia Longo (Andria, 1992) emergono da una riflessione sul concetto freudiano dell’Io come dimensione conosciuta ma che appare complessa e di impenetrabile accesso. I venti fotogrammi analogici in bianco e nero sorprendono per i continui rimandi introspettivi, pagine visive profondamente autobiografiche dove l’elemento fondante sono i corpi e i luoghi alterati dall’ineluttabilità del tempo che scorre e che tutto dissipa.
Le sagome delle figure divengono traballanti di fronte alle eterne masserie del sud che conservano tracce di biografie antiche, di nascite e di decessi, di tragiche esperienze di vite senza voli. E allora i paesaggi, come i corpi e come i sentieri, si tramutano in una scheletrica selva di alberi autunnali che traggono origine dalla grande poesia decadente fin de siècle e dalla pittura divisionista di Giovanni Segantini, fino a riverberarsi negli echi distanti dei fotogrammi in bianco e nero di Francesca Woodman.
– Fabio Petrelli