Dalla Beat generation alle star di Hollywood. Intervista a Larry Fink

Protagonista della prima mostra monografica ospite di Armani/Silos a Milano, Larry Fink chiarisce il significato da lui attribuito alla fotografia: un mezzo non necessariamente invasivo, capace di immortalare la vita in ogni sua sfumatura.

The Beats and The Vanities, prima mostra che Armani/Silos dedica a un solo artista, presenta due progetti distinti di Larry Fink (USA, 1941), molto distanti nel tempo, ma estremamente legati nella fluidità delle forme e luci, che connotano personaggi glamour di Hollywood, accostati a carismatici ritratti degli esponenti della Beat generation.
A partire dal Whitney e dal Museo di Arte Moderna di New York, fino ad arrivare al Musée de l’Elysée di Losanna e al Museo della Fotografia a Charleroi, i riconoscimenti artistici del lavoro di Larry Fink hanno assunto proporzioni mondiali. Tuttavia, l’impressionante coerenza umana e artistica, per nulla intaccata dalla fama, si rivela fin dalle prime immagini esposte in mostra: Angel Lust (New York, 1958) della serie The Beats, e il ritratto di Justin Portman e Natalia Vodianova (Los Angeles, 2007), del gruppo The Vanities. Incredibile immaginare come l’autore possa essere riuscito, a distanza di circa cinquant’anni, a conservare lo stesso occhio, approccio e la stessa prospettiva, con immutata dolcezza e innocenza di sguardo.
L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”, sostiene Giorgio Armani in una celebre affermazione divenuta emblema del suo stile nel mondo, analogamente potremmo sostenere che buona parte del successo di Fink si debba proprio alla sua incredibile capacità di mischiarsi al contesto, intrappolando nei suoi scatti quell’essenza estetica che rimarrà impressa nella storia.

Angel Lust, New York, 1958, photo credit Larry Fink

Angel Lust, New York, 1958, photo credit Larry Fink

L’INTERVISTA

The Beats and The Vanities ritrae due tipologie di persone molto diverse tra loro. Trova che i giovani esponenti della Beat generation, diversamente dalle affermate star hollywoodiane, avessero già consapevolezza del proprio ruolo?
Io colgo, o per lo meno cerco di cogliere, l’anima delle persone, indifferentemente dal loro status. Avevo 17 anni quando mi sono imbarcato in questo viaggio. Ero un giovane romantico, ma sono sempre riuscito a mantenere una neutralità ideologica. Erano ribelli, lottavano per ciò in cui credevano, desiderosi di sovvertire le regole. Sicuramente vi era in loro consapevolezza, voglia di apparire al fine di comunicare il proprio pensiero. Ricordo che ci lavavamo ogni due settimane circa, telefonavo a mia madre e le raccontavo di essere in disordine, contrariamente alla mia attitudine quotidiana. Certe sere ci recavamo tutti alla lavanderia a gettoni, ci spogliavamo nudi e buttavamo tutto in lavatrice, aspettando la fine del ciclo di lavaggio così, senza abiti. Non so perché non abbia mai scattato foto di quei momenti, me ne scuso [afferma sorridendo, N. d. R.] – vivevo il momento e solo ora mi rendo conto dell’importanza che quegli scatti avrebbero assunto.

Erano ragazzi bellissimi, quasi dei modelli. Si intravvede in ogni immagine una forte componente estetica, che richiama il mondo della moderna fotografia di moda. Ne erano coscienti? In cosa differivano dai ragazzi di oggi?
Non cercavo scatti di moda, documentavo ciò che accadeva. I ragazzi della Beat generation era davvero soli, nel senso che non vi erano al tempo mezzi di comunicazione in grado di diffondere, come accade oggigiorno, il loro pensiero. La generazione dei social network, attraverso la pubblicazione di uno scatto, crea un contatto immediato con altre persone.
Non intendo dire che l’una o l’altra categoria sia necessariamente più felice, bensì che i giovani della Beat avevano imparato a bastare a se stessi.

Meryl Streep e Natalie Portman, Los Angeles, Los Angeles, 2009, photo credit Larry Fink

Meryl Streep e Natalie Portman, Los Angeles, Los Angeles, 2009, photo credit Larry Fink

Come riesce nell’intento di catturare attimi così vividi e salienti?
C’è una forte componente di egotismo negli scatti di The Vanities, ma dietro alla facciata di star hollywoodiana non bisogna dimenticare che esiste la persona vera, un aspetto umano importante. Certi attori, artisti, hanno uno spessore incredibile. Al di là di questo, confesso di non guardare molto la tv, pertanto molti di quei volti mi erano sconosciuti e quindi non ho mai subito il condizionamento della loro popolarità. Sono una persona molto amichevole, non sento sempre l’urgenza di scattare una foto. Posso serenamente decidere di utilizzare o meno la reflex. Mi confondo tra la gente, fino al punto di essere parte del gruppo e passare inosservato. In quel caso posso anche puntare il mio obiettivo molto vicino al soggetto, senza essere percepito come invadente.

Parlando della luce e della composizione artistica dei suoi scatti, queste guidano gli occhi dello spettatore verso gli elementi che hanno catturato la sua attenzione. Una scelta quasi minimalista, costantemente pervasa da ritmo e da fluidità.
Non ho studiato all’università da giovane, ma la mia famiglia era molto istruita e i miei genitori conversavano abitualmente di arte. Forte era la passione per Caravaggio, Goya, grandi maestri nell’uso della luce. Ispirandomi ai loro lavori, inizialmente in modo forse istintivo, scattavo le mie immagini. Fotografo continuamente, non esco mai senza una reflex al collo. Tuttavia non mi sono mai accanito nella ricerca di uno scatto, nell’elaborazione o post produzione della pellicola.
[Suona l’armonica a bocca, N. d. R.] Il suono di queste due armoniche, una in G maggiore e l’altra in G minore, esprime lo stesso concetto della vita. Vi sono istanti felici, che vengono suonati dalla prima, e attimi di malinconia, che trovano espressione nella seconda. Così è la fotografia, può ritrarre un momento di gioia o di riflessione. La composizione non è un concetto astratto, ma è vita, è ciò che si presenta davanti ai nostri occhi e accade.
La luce nelle mie immagini, soprattutto quelle della serie The Vanities, è ottenuta attraverso l’utilizzo di un flash, illuminando dall’alto i soggetti.

Angels of Death, Missouri, 1958, photo credit Larry Fink

Angels of Death, Missouri, 1958, photo credit Larry Fink

Lei è un grande appassionato di musica jazz.
Assolutamente sì, suono diversi strumenti, tra cui il pianoforte e l’armonica, ovviamente. Ho recentemente partecipato alla registrazione di un album, molti jazzisti sono miei cari amici.

Elena Arzani

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Elena Arzani

Elena Arzani

Elena Arzani, art director e fotografa, Masters of Arts, Central St. Martin’s di Londra. Ventennale esperienza professionale nei settori della moda, pubblicità ed editoria dell’arte contemporanea e musica. Vive a Milano e Londra.

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