L’intramontabile Man Ray in mostra a Venezia 

Oltre quaranta opere di Man Ray nella nuova mostra della Galleria Tommaso Calabro a Venezia, tra celebri capolavori e produzioni meno note. Una selezione curata e variegata, per raccontare un artista al di là di ogni confine disciplinare

Ha decisamente un respiro museale la mostra su Man Ray che Tommaso Calabro ha allestito nella sede veneziana della sua galleria. Palazzo Donà Brusa in Campo San Polo, dopo aver ospitato una mostra di pittura emergente, diventa il contenitore di una selezionata antologia di assemblages, dipinti, gouaches e fotografie di uno degli artisti più eclettici del Novecento, confermando il doppio binario su cui si muove la programmazione espositiva della galleria, tra riattualizzazione del moderno e promozione del contemporaneo. 

Man Ray, installation view at Galleria Tommaso Calabro, Venezia, 2025. Photo Silvia Longhi. Courtesy Tommaso Calabro
Man Ray, installation view at Galleria Tommaso Calabro, Venezia, 2025. Photo Silvia Longhi. Courtesy Tommaso Calabro

Man Ray e il Novecento 

Pochi artisti hanno avuto il privilegio di vivere Parigi come Man Ray, al secolo Emmanuel Radnitzky (Philadelphia, 1890 – Parigi, 1976). Americano di origini russo-ebree, si stabilisce nella capitale francese seguendo una parabola inversa rispetto a quella del suo caro amico Marcel Duchamp, francese naturalizzato americano. Ma Duchamp fu solo uno dei tanti artisti e delle tante personalità che Man Ray ha incrociato durante la sua vita: da Gertrude Stein a Picasso, da James Joyce a Jean Coucteau, da Meret Oppenheim a Lee Miller, da Max Ernst ad André Breton. Nomi chiave delle avanguardie parigine del primo Novecento, con cui Man Ray ha un confronto attivo. Non per caso, quindi, si riconoscono nel suo lavoro suggestioni dadaiste e surrealiste, che rimangono – appunto – suggestioni. Il variegato corpus di Man Ray, infatti, si configura come una personale interpretazione del milieu parigino, più che come una adesione completa a quel movimento o a quell’altro. 

Man Ray, installation view at Galleria Tommaso Calabro, Venezia, 2025. Photo Silvia Longhi. Courtesy Tommaso Calabro
Man Ray, installation view at Galleria Tommaso Calabro, Venezia, 2025. Photo Silvia Longhi. Courtesy Tommaso Calabro

La mostra di Man Ray a Venezia 

Proprio questa varietà e questa simultaneità stilistica è ben veicolata dalle oltre quaranta opere in mostra alla Galleria Tommaso Calabro di Venezia. Tra i lavori storici, in versioni più tarde, non possiamo non menzionare la Venus restaurée (il busto una Venere Medici in gesso avvolta da una corda, che rilegge il nudo classico in chiave S&M) e l’Objet indestructible (un metronomo sul cui pendolo è incollata la fotografia di un occhio). Opere celeberrime, che tuttavia non eclissano quelle meno popolari, ben selezionate dalla galleria. Oltre ai più famosi Rayograph, vera e propria firma fotografica dell’artista, il salone centrale ospita ritratti e scatti di diversa origine, mentre nell’ambiente accanto trovano posto disegni e dipinti che testimoniano un’attività grafico-pittorica sicuramente più marginale ma non per questo di minor interesse. 

Gli oggetti d’affezione di Man Ray 

Ma è a poca distanza da questa quadreria che si trova la vera chicca della mostra: un tavolo che, come una scrivania dell’impossibile, ospita alcuni esempi di quelli che la storia dell’arte conoscerà come “oggetti d’affezione”: collage e accostamenti di utensili di diversa provenienza, che trovano non nella logica, ma nell’analogia un modo di stare insieme. L’esempio più eminente è certamente Cadeau, un ferro da stiro impossibile da utilizzare perché chiodato, ma è un’altra opera ad attirare l’attenzione. Pêchage – un piccolo diorama composto da una scatola di legno dipinta, della bambagia e tre pesche finte – sottolinea anche l’inclinazione di Man Ray (ma anche di Duchamp e di molti altri artisti di quegli ambienti) per il gioco di parole, per il sovvertimento semantico, oltre che visivo: e così pêchage si rivela una crasi tra pêche (pesca) e paysage (paesaggio), senza dimenticare una certa assonanza con repêchage (ripescaggio, a suggerire l’atto di riutilizzo degli oggetti) e, soprattutto, con péché (peccato). Chissà che Man Ray non volesse inscatolare un succoso Giardino dell’Eden?  

Alberto Villa 

P.S. Mentre scrivevo queste righe avevo addosso l’insistente sguardo di un uomo che, seduto di fronte a me all’aeroporto di Parigi – Charles de Gaulle, era impegnato a gustarsi una pesca. Coincidenze non da poco. 
 
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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, è critico e curatore indipendente. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers e attualmente frequenta il corso di…

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