Depero, due volti del Futurismo. A Lucca

Lucca Center of Contemporary Art, Lucca ‒ fino al 25 agosto 2019. Ottanta opere fra disegni, bozzetti e dipinti, dal 1915 ai tardi Anni Trenta, raccontano il Futurismo militante e le intuizioni artistiche di colui che seppe anticipare la svolta “mercantilistica” del mondo dell’arte, e intuì il potenziale pubblicitario, all’interno della modernità agognata dal Futurismo.

In quell’agitatissimo primo anteguerra, l’avanguardia della modernità in Italia era impersonata da Filippo Tommaso Marinetti e il suo barricadiero Futurismo, che fra Milano e Firenze infiammava il clima artistico nazionale. Vi aderì nel 1915, sull’onda dell’interventismo sostenuto dal movimento, anche Fortunato Depero (Fondo, 1892 ‒ Rovereto, 1960), che vi portò il suo contributo in senso astrattista. Senza però mancare di rendere omaggio sia alla novità del collage, sia ai valori dell’interventismo, come ben sintetizzato in Guerra! Italia!, del 1915, ispirato alla sua esperienza bellica sul Col di Lana. Conclusa l’esperienza bellica, la sua strada futurista esprime caratteri peculiari che l’avvicinano sia alla Metafisica ‒ per quell’inserire malinconici particolari urbani e inquietanti personaggi dal volto di statua ‒, sia all’astrattismo surrealista, dall’impianto monumentale come in Corsa ippica tra le nubi.

IL SECONDO FUTURISMO E LA PUBBLICITÀ

Come ben documenta la mostra, il contributo di Depero al Futurismo si ebbe a partire dalla seconda metà degli Anni Venti, quando si scoprì grafico pubblicitario, portando finalmente il movimento nella vita quotidiana degli italiani. Con la nascente industrializzazione, si andava formando anche la società dei consumi di massa, la cui immagine di ricchezza più o meno presunta serviva al fascismo per accreditare il mito della potenza italiana. Depero aderì al regime e illustrò numerose copertine della Rivista illustrata del Popolo d’Italia, ma soprattutto si dedicò a quelli che considerava veri e propri “quadri pubblicitari”, e non casualmente Squisito al selz fu presentato alla Biennale di Venezia del 1926. Dal mandorlato Vido al liquore Strega, fino al bitter Campari, si dispiega la storia dell’industria italiana raccontata attraverso un costruzionismo dinamico e cromatico, e personaggi che provengono dal mondo teatrale delle marionette.

Fortunato Depero, Vanity Fair, 1930. Courtesy Lucca Center of Contemporary Art

Fortunato Depero, Vanity Fair, 1930. Courtesy Lucca Center of Contemporary Art

L’ESPERIENZA AMERICANA

Un lato solitamente poco noto della produzione di Depero, ma che ne denota l’internazionalità, è la sua fase americana, dal 1928 al 1930. Un lungo soggiorno in cui ebbe modo di conoscere a fondo quella che era la città moderna per eccellenza: New York. Qui la sua attività fu assai vasta, collaborò ai manifesti del Roxy Theatre, illustrò libri per l’infanzia e le copertine di varie riviste, fra cui Harper’s Bazaar, imponendo il suo stile costruzionista, dallo schietto sapore teatrale; solo per le copertine di Vogue fece un’eccezione, adattandosi al gusto Art Déco dell’editore.
Ma realizzò anche opere indipendenti, legate alla sua visione della società americana e di New York, di cui seppe vedere la strabiliante modernità, ma anche il contraddittorio squallore, e la sua fede futurista nelle possibilità delle tecnologia si incrinò irreparabilmente, tanto che decise di rientrare in Italia nel 1930. Sintomatico di questo sentire, Big Sale, triste e grottesca scena di un mercato nero ad Harlem, dove i colori accesi, brillanti sotto le ingannevoli luci della città e i piani geometrici sfalsati contrastano con l’accostamento di ambulanti e gangster, di prostitute appena intraviste, di misero caos urbano. L’American Dream mostrava le sue crepe.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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