Giacomo Puccini e la pittura. Un rapporto di osmosi

Nel 160esimo anniversario della scomparsa, la città di Lucca celebra Giacomo Puccini, compositore e uomo di cultura, con una mostra, allestita alla Fondazione Rugghianti, che, attraverso la sua musica, ricostruisce il percorso dell’arte italiana dalla Scapigliatura al Liberty orientalista, passando per i macchiaioli, il Simbolismo, il Divisionismo. Circa 160 pezzi fra dipinti, sculture, lettere, fotografie, con numerosi inediti. Una mostra in memoria di Simonetta Puccini, a cura di Fabio Benzi, Paolo Bolpagni, Maria Flora Giubilei e Umberto Sereni.

Amo lo bello stile del pioppo e dell’abete, la volta dei viali ombreggianti, e novello druido farvi mio tempio, mia casa, mio studio”. Lo scriveva Giacomo Puccini (Lucca, 1858 ‒ Bruxelles, 1924) in una lettera ad Alfredo Caselli, inviata da Parigi il 10 maggio 1898. Parole che testimoniano l’amore per Lucca e la “lucchesia”, della quale si sentiva orgogliosamente figlio, così come portava nel cuore i sapori della cucina locale, se è vero che, in una lettera di quindici anni prima scritta alla madre da Milano, si rammaricava di non poter gustare i veri fagioli “alla lucchese”, per la mancanza in Lombardia dell’olio toscano. Questa raffinata mostra di studio documenta il suo rapporto artistico con la Versilia, ma anche l’apertura alla pittura milanese e al Divisionismo, attraverso dipinti che alle opere di Puccini sono ispirati, oppure da lui direttamente possedute. Lettere autografe, fotografie, manifesti e costumi di scena completano questo ritratto che è anche un inquadramento storico-culturale del grande compositore.

L’IMPETO SOGNANTE DELLE GIOVENTÙ

Difficile raccontare Puccini senza cadere nella banalità o nella ripetizione, ma la mostra della Ragghianti riesce nell’impresa in virtù di un lungo e approfondito lavoro di ricerca in musei, archivi, collezioni private, per restituire al pubblico non soltanto il grande compositore, ma anche l’intellettuale, il raffinato esteta, l’intenditore d’arte, l’appassionato cacciatore e bohémien. Il personaggio e l’uomo emergono in questo percorso simbolicamente intitolato Per Sogni e per chimere, da un celebre verso della Bohème, che rispecchia però Puccini stesso, legato a Lucca con orgoglio, eppure curioso di conoscere il mondo, di vagare nelle regioni oniriche dell’arte. Puccini sente l’epoca, la forma e ne è formato, in un rapporto di continua osmosi; avverte il clima europeo di sgomento, con la crisi del Positivismo e gli spettri, sempre più concreti, della guerra, ma con ottimismo spera in un rinnovamento, in una rinascita dell’Europa dei giovani, in un ritorno al primato dell’arte e del bello. Appunto la Bohème è un inno a tutto questo, un auspicio purtroppo non realizzato.

Plinio Nomellini, Tramonto a Torre del Lago, 1901. Collezione Piero Masoni

Plinio Nomellini, Tramonto a Torre del Lago, 1901. Collezione Piero Masoni

DALLA SCAPIGLIATURA A NOMELLINI

Nonostante la vulgata identifichi Puccini con il Liberty, in realtà a questo tipo di arte giunse solo negli anni maturi; i suoi primi contatti con la pittura furono di carattere ben diverso, nella Milano scapigliata degli Anni Ottanta, al momento del suo debutto come compositore, dovendo musicare il libretto de Le Villi, scritto da Ferdinando Fontana, che il caso vuole fratello del pittore Roberto; è attraverso quest’ultimo che avviene l’incontro con la tarda Scapigliatura, raccontata in mostra anche da Conconi e Cremona, autore degli intensi, febbrili ritratti dei coniugi Junck, amici di Puccini.
Egli stesso è fondamentalmente uno scapigliato: a Milano abita una camera ammobiliata fredda e spartana, si immerge in quella vita vorticosa, assiduo di teatri, caffè, osterie. Ed è la prima volta che viene indagato questo aspetto della sua vita milanese, sempre lasciato in ombra dalla critica. Un passaggio fondamentale perché da qui inizia il suo dialogo con l’arte, che proseguirà a Torre del Lago, dove stringe amicizia con il sodalizio dei tardo-macchiaioli della zona (fra cui Ferruccio Pagni e i fratelli Tommasi) toccanti nella loro lirica semplicità. Paesaggi cari a Puccini, che vi sfogava la sua passione per la caccia ad anatre e folaghe.
La mostra ripercorre i luoghi che hanno formato Puccini e, dopo Milano e la Versilia, anche Genova ebbe un ruolo importante: apprezzò molto la sua musica, lo ospitò per numerose tournée, ma soprattutto vi conobbe Plinio Nomellini, che vi lavorava dal 1890, attratto dal suo porto che vedeva come un microcosmo di questioni sociali.

Galileo Chini, Il tempio del Figlio del Sole a Colombo, 1911. Collezione F.B. Photo Riccardo Ragazzi

Galileo Chini, Il tempio del Figlio del Sole a Colombo, 1911. Collezione F.B. Photo Riccardo Ragazzi

QUELL’OSMOSI FRA MUSICA E PITTURA

Pur non raggiungendo le altezze di Richard Wagner ‒ il cui caso di influenza della musica sull’arte resta peraltro unico ‒, anche Puccini ebbe comunque un certo influsso sulla pittura del suo tempo. Se da un lato ci fu la frequentazione amichevole fatta di bonarie caricature, pantagrueliche cene a Torre del Lago con le prede della caccia, oppure occasionali acquisti di pitture, a un altro livello il rapporto con l’arte del compositore lucchese si svolse in maniera più profonda. Gli inizi furono segnati dal naturalismo di Lionello Balestrieri e Aleardo Villa, ispirati alla Bohème; il finale porta invece il segno di Galileo Chini, interprete delle atmosfere orientaleggianti della Turandot, sia disegnandone i bozzetti scenici sia riprendendone le atmosfere per altre pitture. Con Chini, raggiunge anche il Liberty, nella sua declinazione orientalista, quella della Turandot; qui, inizia la Gesamtkunstwerk teorizzata da Wagner, ovvero l’opera d’arte totale, rottura con l’opera ottocentesca attraverso la musica orientale, come fa Debussy in Francia.
Un capitolo a parte meritano Gaetano Previati e Plinio Nomellini, nelle cui pitture si ritrovano le note dominanti delle sinfonie di Puccini: il sogno e la fantasmagoria poetica. La danza, dipinta dal ferrarese, è un inno alla leggiadria della giovinezza, alla fascinazione del sogno e dell’attesa sensuale. Invece il Simbolismo di Nomellini ammoderna il gusto artistico di Puccini, che lascia idealmente l’Ottocento ed entra nel secolo successivo, così come la sua musica diventa d’avanguardia, preludio di quello che accadrà con la Turandot.
Di Nomellini spicca in mostra la Sinfonia della luna (che non lasciava Venezia dal 1905), che affascina Puccini al punto da commissionare all’autore una serie di pitture con le allegorie delle ore del giorno, per la villa di Torre del Lago. Inoltre, anche Nomellini fa parte del sodalizio di pittori/cacciatori, e nel suo lirico Il cacciatore (che potrebbe anche essere lo stesso Puccini), ferma sulla tela i tanti ricordi conviviali.
Musica e pittura s’inseguono, si osservano, si parlano, in questa affascinante mostra cui il raffinato, immersivo allestimento, ideato dalla scenografa Margherita Palli, conferisce un carattere di grandiosa intimità.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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