Paesaggi dell’anima. Konrad Mägi a Roma

Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma ‒ fino al 28 gennaio 2018. In occasione del suo semestre di presidenza europea, la Repubblica d’Estonia organizza la prima mostra italiana di Konrad Mägi, capostipite dell’arte moderna estone, che seppe guardare alle esperienze europee della sua epoca, ma che ai tempi dell’URSS rimase sconosciuto al resto del mondo.

Dipingeva la natura come se stesse facendo un ritratto, e ritrasse le (poche) persone come se stesse dipingendo la natura. Konrad Vilhelm Mägi (Rõngu, 1878 ‒ Tartu, 1925). Cresciuto nella campagna dell’Estonia meridionale, portò sempre dentro di sé l’impronta dei luoghi della sua infanzia, e nelle sue tele si coglie, percepita come un qualcosa di vivo e di sacro, in particolare nei suoi elementi più eterei, come l’acqua, le nuvole, il cielo. Quella natura, idealizzata da un sentimento profondo, diviene quindi il rifugio da una modernità poco rassicurante.

UNA PERSONALITÀ INQUIETA

Si scoprì pittore in età matura, si definiva un anarchico e nel 1905 aveva attivamente sostenuta la rivoluzione democratica, ma nel 1917 non partecipò a quella socialista che rovesciò lo Zar e instaurò la dittatura. Mägi fu un sognatore e un utopista, incline alla solitudine e alla contemplazione. Infatti, nella sua vita, le città lo attrassero sempre molto poco, così come non lo interessavano il progresso tecnologico e la politica di massa, mentre è la natura il soggetto delle sue tele, una natura assoluta, che esprime concetti astratti, come la bellezza o l’apocalisse, concetti che si evincono dall’uso del colore. Affetto da depressione, in questo affine all’austriaco Richard Gerstl, fu anche interessato all’esoterismo, e nei suoi quadri cercava una chiave per “andare oltre”. Fu un genio sofferente, ricordato ancora oggi come il capostipite della pittura estone moderna; vi portò infatti un universo di colori suggestivi e sfolgoranti, a tratti anche cupi, colori che descrivono la natura ma nascono dall’anima. La sua cifra è data però da quelle nuvole che infondono drammaticità ai quadri, contrastano con la luminosità del suolo e sottintendono anche la presenza di un ente divino, così come pensato dai culti animisti che ancora sopravvivevano nella tundra della Russia Occidentale.

Konrad Mägi, Rovine a Capri, 1922-23. Museo nazionale d’arte, Estonia

Konrad Mägi, Rovine a Capri, 1922-23. Museo nazionale d’arte, Estonia

PITTORE EUROPEO IN ESTONIA, ESTONE IN EUROPA

I suoi studi d’arte si attestarono su livelli assai modesti: frequentò un corso presso la Società degli Artigiani Tedeschi a Tartu, fra il 1899 e il 1902, anche se successivamente, a San Pietroburgo, fu allievo dello scultore Amandus Heinrich Adamson. Ma la pittura l’aveva nel sangue e, dopo i dieci anni trascorsi lavorando come operaio in una fabbrica, tornò a Tartu e insegnò arte; la scintilla scoccò fra il 1907 e il 1908, dopo un viaggio nella Parigi dei Fauves e degli Impressionisti, e in Norvegia, la terra del primo Espressionismo di Munch. Nonostante assorbisse molte influenze artistiche, la sua si rivelò fin dagli esordi una pittura originale, che nasceva dalla sua interiorità, molto legata alla natura, sacra e misteriosa, e alle sue radici di “uomo del Nord”, come egli stesso amava definirsi. La questione, nella sua ottica, non era “cosa”, bensì “come” dipingere, e per questa ragione, nel corso della sua breve carriera (appena diciassette anni), variò più volte stile, sempre alla ricerca di nuove possibilità espressive, ma anche di sfoghi a un temperamento inquieto. Il pre-cubismo di Cézanne si affianca alla pennellata materica di Munch, così come il pointillisme coabita con il tratto primitivo fauvista.
All’estero (Francia, Norvegia, e più tardi Italia), non dimenticò le sue radici, e permeò i suoi paesaggi di una nordica malinconia, cui aggiunse le sue tensioni interiori. Mentre in Estonia affascinò i suoi connazionali regalando loro gli echi di tutte quelle correnti artistiche che avevano rivoluzionato l’arte degli ultimi sessant’anni. Per questo lo si può considerare europeo in patria, ed estone in Europa. E creatore di una bellezza enigmatica, inquietante, che non è simbolista né espressionista, ma nasce dalla spontaneità con cui riversa sulla tela la delicatezza della sua anima. Un aspetto che affascinava la critica e il pubblico, e gli garantì un buon successo alle mostre d’arte cui prese parte, intervallandole all’insegnamento.

Konrad Mägi, Venezia, 1922-23. Museo nazionale d’arte, Estonia

Konrad Mägi, Venezia, 1922-23. Museo nazionale d’arte, Estonia

L’ITALIA

Mi sento a casa”; così scrisse in una lettera inviata da Roma nel 1921. L’uomo del Nord, come amava definirsi, scopre una sorta di seconda patria, e a Roma quanto a Capri resta affascinato dal “peso” della Storia, dalle rovine archeologiche, o anche semplicemente da quelle aree abbandonate (a Capri), dove la natura ha ripreso il sopravvento. L’Urbe stessa ci appare trasfigurata nei colori della rigogliosa natura estiva, con palazzi magnifici sullo sfondo; soltanto la folla che passeggia appare anonima, ripresa di spalle, oppure con i volti appena abbozzati, magma di personaggi secondari, incidentali rispetto alla bellezza del paesaggio.
E fu in Italia che Mägi iniziò il suo “periodo blu”, che per ragioni cromatiche lo porta a preferire la luce lunare a quella del sole. Motivazioni esplicite, per questa scelta, non ce ne sono, potrebbe forse trattarsi di un incupirsi dell’animo del pittore a seguito della sofferenza dovuta all’aggravamento della sifilide, di cui soffriva da anni e che non aveva mai curato con efficacia, o forse della tensione nervosa che sempre lo accompagnava. Il fatto è che, attraverso la lente della sua anima, Mägi ci ha donato splendide vedute del nostro Paese, compresa quella di Venezia di cui, ancora una volta, ammirava il fascino decadente, in ideale sintonia con Thomas Mann.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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