A Genova un’artista apre la sua mostra con una performance che porta in scena 5 collezionisti 

Con uno sguardo che unisce arte e sociologia, Anna Scalfi Eghenter ha inaugurato la sua mostra personale alla galleria Pinksummer di Genova attivando una performance che, coinvolgendo in forma anonima dei collezionisti, ha fatto luce sulle dinamiche che si celano dietro l’acquisto di opere d’arte

Cinque collezionisti, moderati da Francesca Guerisoli, parlano attraverso maschere antigas che li rendono irriconoscibili. Le parole faticano a uscire, ma il messaggio è chiarissimo: nessuno ha intenzione di smettere. Patologia o gioco? L’esperimento sociale messo in atto da Anna Scalfi Eghenter (Trento, 1965) – artista che effettivamente ha una formazione sociologica – ribalta i ruoli: i cercatori diventano osservati, l’oggetto dell’indagine sono loro. Proprio grazie a questa impostazione, Scalfi usa la performance per entrare nelle dinamiche che regolano il sistema dell’arte, mettendone a nudo meccanismi, retoriche e zone d’ombra. Dalle otto domande poste ai partecipanti affiorano motivazioni intime e contraddittorie: felicità e ribellione, desiderio di distinguersi e impulso irrefrenabile. Innamoramento fa rima con appagamento, ma il legame è strutturato dal possesso. 

La mostra “Collectors anonymous” di Anna Scalfi Eghenter da Pinksummer a Genova 

Lo spazio in mostra è organizzato su una costellazione minima di elementi: 7 sedie in cerchio, 4 faretti che inquadrano la scena e 14 maschere antigas appese alla parete.  Le sedie vuote attendono i partecipanti, come ad una seduta di alcolisti anonimi; il collezionista è evocato, figura in bilico tra passione e dipendenza. Alcune targhe in marmo modellate sulle iscrizioni dedicate ai benefattori passati, presenti nel porticato di Palazzo Ducale, riportano frasi sul collezionare. Una sorta di monumento al collezionista, che incide nella pietra e affida allo spazio pubblico un gesto che spesso nasce come impulso intimo, compulsivo. Mentre accanto alle targhe in marmo, alcune sagome in cartone mettono in crisi l’idea di monumento e di eternità. 

Anna Scalfi Eghenter, Collectors Anonymous, installation view da Pinksummer, Genova, 2025. Foto Alice Moschin
Anna Scalfi Eghenter, Collectors Anonymous, installation view da Pinksummer, Genova, 2025. Foto Alice Moschin

Da Pinksummer a Genova in mostra la riflessione di Anna Scalfi Eghenter sul collezionare 

Walter Benjamin, nel celebre Unpacking My Library (1931), ricorda che ogni collezione è un’autobiografia in forma di oggetti, una costellazione che mette in corto circuito passato e presente. Jean Baudrillard la definisce una “sincronicità chiusa”: più che estetica pura, è una tecnologia dell’io, un dispositivo di status che materializza il potere di scegliere e trattenere. Qui l’acquisto non è soltanto incontro con l’opera: è la possibilità di sottrarla allo sguardo comune, di chiudere il cerchio in uno spazio privato (e privilegiato). 

Anna Scalfi Eghenter, Collectors Anonymous, installation view da Pinksummer, Genova, 2025. Foto Alice Moschin
Anna Scalfi Eghenter, Collectors Anonymous, installation view da Pinksummer, Genova, 2025. Foto Alice Moschin

Il set come laboratorio sociale nella mostra di Anna Scalfi Eghenter a Genova 

Il set di Anna Scalfi Eghenter rende visibile questa tensione. L’artista allestisce un perimetro in cui la voce è filtrata, l’identità schermata, ma i meccanismi emergono attraverso le parole: la dipendenza non si risolve, si racconta; l’origine non si spiega, si mette in scena. E così la domanda si sposta: che cosa produce socialmente il collezionare? Quando una raccolta entra in un museo, cambia statuto – si allinea a politiche di acquisizione, diventa parte di una storia pubblica, quasi inalienabile – e al tempo stesso ridefinisce l’istituzione che la ospita. 

Anna Scalfi Eghenter, Collectors Anonymous, installation view da Pinksummer, Genova, 2025. Foto Alice Moschin
Anna Scalfi Eghenter, Collectors Anonymous, installation view da Pinksummer, Genova, 2025. Foto Alice Moschin

Alla galleria Pinksummer si riflette sul passaggio dal possesso alla responsabilità pubblica 

Chi colleziona e può permetterselo perché dovrebbe smettere? La risposta più onesta è che non c’è ragione di farlo, se non quella – forse utopica – di aprire quelle “sincronicità” al confronto di tutti. La lezione di alcuni casi storici resta esemplare: Peggy Guggenheim, “la collezionista ribelle”, fissò un precedente quando affermò: “Non sono una collezionista. Io sono un museo”. In quella frase c’è l’esito auspicabile di ogni passione privata: trasformarsi in gesto pubblico, dove il possesso diventa responsabilità e la felicità del singolo si misura anche nella qualità dell’accesso condiviso.  

Carlotta Pezzolo 

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