Un ponte d’arte tra Shanghai e Venezia. Intervista all’artista Wallace Chan 

Siamo volati a Zhuhai, nel sud della Cina, per intervistare l’artista Wallace Chan nel luogo in cui realizza le sue sculture. E per parlare in anteprima della doppia mostra che lo vedrà protagonista a Shanghai e a Venezia, in arrivo nel 2026

Lo studio di Wallace Chan (Fuzhou, 1956) nella città cinese di Zhuhai è un’azienda. E a vedere le opere che saranno esposte al Long Museum di Shanghai nel 2026, per la più importante mostra personale della sua carriera, si capisce il perché: per produrre sculture in titanio alte fino a 10 metri servono spazi e collaboratori (che nel suo caso sono circa 40). Wallace Chan, con la sua lunga barba e i suoi occhiali ipertecnologici, ci accoglie per vedere in anteprima lo stato di avanzamento delle opere che saranno esposte a Shanghai, così come le loro versioni più piccole – che invece andranno a costituire una mostra quasi in contemporanea a Venezia, durante la Biennale d’Arte 2026, nella Chiesa di Santa Maria della Pietà. Più che di due mostre distinte, in realtà, è meglio parlare di una singola mostra in due sedi: l’intento è proprio quello di mettere in contatto due realtà distanti nello spazio e nel tempo, attraverso opere d’arte che indagano i temi della nascita, della crescita e della morte. Tre fasi fondamentali dell’esistenza (tanto in Oriente quanto in Occidente) che informano da sempre il lavoro di Chan e che trovano nella doppia mostra Vessels of Other Worlds un compimento monumentale. Il trittico di sculture (di 7, 8 e 10 metri di altezza) rielabora le ampolle contenenti gli olea sancta, ovvero gli oli consacrati utilizzati nei riti cattolici del battesimo, della confermazione (o cresima) e dell’unzione degli infermi: tre cerimonie che simboleggiano esse stesse le fasi della nascita, della crescita e della morte indagate dalle sculture di Chan. Ma tutto questo, e molto di più, ce lo racconta direttamente l’artista nell’intervista che segue. 

Wallace Chan, Birth, 2025. Vessels of Other Worlds, Long Museum
Wallace Chan, Birth, 2025. Vessels of Other Worlds, Long Museum

Intervista a Wallace Chan 

Venendo qui, leggevo In senso inverso, un libro di Philip K. Dick ambientato in un mondo in cui il tempo scorre al contrario, in cui la vita scorre dalla tomba al grembo, e non viceversa. Mi perdonerà, quindi, se parto dalla fine: qual è la sua relazione con la morte e l’aldilà? 
Per me il rapporto tra la vita e la morte si risolve nel concetto di “porta”. Tutti, in tutto l’universo, siamo destinati a morire, è il ciclo della vita. È una riflessione inevitabile sull’esistenza, anche di un’opera d’arte. Interrogarsi su questi temi significa operare su quell’istante che separa l’essere vivi e l’essere morti. Quando parliamo del presente, il presente è già passato. Ma quando guardiamo avanti, c’è un breve secondo che ancora deve verificarsi. È qui, secondo me, che dobbiamo cercare l’eternità. Il concetto giapponese di zen indica uno stato meditativo in cui mi è possibile “entrare”, per sentirmi in connessione con l’universo e al di là del tempo. E quando ritorno alla realtà, sono pronto a trasmettere al mondo il messaggio dell’universo, attraverso le mie opere. Per me significa trasportarmi da una sponda all’altra: un essere umano non è mai considerabile “vivo” o “morto”, perché esistere significa sempre porsi in relazione continua con la vita e la morte, fino al punto che la differenza tra le due scompare.

Parla delle opere come risultato di una pratica spirituale e meditativa… 
Per me l’opera d’arte è materializzazione della cultura, e ne siamo attratti perché è il risultato della nostra tecnica. Ma allo stesso tempo, grazie a noi e allo sguardo di chi la osserva, l’opera è viva. Una volta compiuta, l’opera sarà interpretata e reinterpretata con il passare del tempo e con il cambiamento della società. 

Nel 2026 le sue opere saranno in mostra contemporaneamente a Venezia e a Shanghai. In che modo queste città riescono a dialogare, nella sua opinione?  
Sia Venezia che Shanghai sono città molto vibranti, ma forse in tempi diversi. A Venezia, con le sue ombre e le sue architetture che si riflettono nei canali, sento di rapportarmi con un’antichità ancora presente. Shanghai invece ha un fascino più attuale, una danza di palazzi di vetro e cemento. Quando penso a Shanghai e a Venezia insieme, unite da una mostra magari, penso a un ossimoro: la contemporaneità in tempi diversi.  

La mostra in programma a Shanghai è la più importante e la più completa della sua carriera. Quale relazione cerca con il pubblico che verrà a visitarla? 
Shanghai è una città vitale e in continuo sviluppo. La maggior parte dei suoi abitanti ha superato la necessità di soddisfare i suoi bisogni primari – come procurarsi da mangiare, avere una casa, ecc. Il nutrimento di cui Shanghai ha bisogno adesso è spirituale, ed è quello che voglio provare ad offrire.  

Quando sono stato alla sua mostra a Venezia, in occasione della Biennale d’Arte 2024, ho pensato che il suo lavoro come scultore fosse più evidente rispetto alla sua attività di gioielliere. Ma, dopotutto, ritengo che anche la gioielleria sia una forma di scultura… 
La gioielleria è stata il mio punto di partenza: ho iniziato incidendo gemme come rubini e zaffiri, soprattutto quelle che contenevano “inclusioni”, ovvero imperfezioni. Quello che può essere visto come un errore, per me è l’occasione per creare qualcosa di nuovo e di bello. Quando lavoro con le gemme, sto in realtà lavorando con la luce, con i suoi riflessi e le sue rifrazioni. Sono d’accordo con te, la gioielleria non è poi tanto diversa dalla scultura, se non che c’è una differenza di scala non indifferente, anche in chi se ne fa portatore: i piccoli gioielli decorano i nostri corpi, le grandi sculture decorano il mondo.  

Eppure, guardando le sue ultime opere, mi sembra che abbia portato la preziosità del gioiello anche nelle sculture di grandi dimensioni. 
Quando realizzo una scultura che può essere attraversata e guardata da ogni lato, ogni dettaglio è importante. La raffinatezza dei particolari – penso ai lavori di Hieronymus Bosch, per esempio – è una parte fondamentale della mia pratica. Scoprire la bellezza di un’opera d’arte, significa scoprire la propria bellezza.  

Wallace Chan, Birth, 2025 (dettaglio). Vessels of Other Worlds, Long Museum
Wallace Chan, Birth, 2025 (dettaglio). Vessels of Other Worlds, Long Museum

I lavori che sta preparando per Venezia e Shanghai sono ispirati anche dall’immaginario cattolico, in particolare dagli olea sancta. Qual è il suo rapporto con la religione? 
Ogni religione è una filosofia, una scuola di pensiero, una via per allenare la propria mente. Una via non lontana dal concetto di tao, e al cui ingresso c’è solo una cosa, imprescindibile: l’amore. Amare il cielo, amare la terra, amarsi gli uni gli altri, è l’insegnamento più importante.   

*Proprio quando pensavo che l’intervista fosse finita, mi sono dovuto ricredere. La mia attenzione era stata catturata dal bagliore sulle lenti degli occhiali di Wallace Chan, quindi decido – fuori registrazione – gli chiedo di più. Mi dice che sono occhiali dotati di AI e realtà aumentata, e mi racconta la sua sfrenata curiosità verso tutto ciò che è all’ultimo grido in fatto di nuove tecnologie. Mi sorge, inevitabile, un’ultima domanda…* 

Secondo lei, in che modo la tecnologia sta influenzando il nostro modo di vivere la spiritualità e l’arte? 
Beh, consideriamo la blockchain e la decentralizzazione che essa consente: io ritengo che sia non solo una nuova tecnologia, ma anche un intero modo di pensare e di allenare la mente. Solitamente, quando alleniamo la mente, cerchiamo di abbandonare le incertezze, di contenere le diverse emozioni che ci stanno bloccando. La decentralizzazione è una nuova prospettiva in questo senso: la dissoluzione del sé e delle proprie emozioni nel mondo e non in noi stessi. Ma questo è solo un esempio.

Alberto Villa 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, è critico e curatore indipendente. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers (relatore Marco De Michelis) e attualmente…

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