Morbide creature. Le opere di Bao Rong, al confine tra scultura e performance 

L’universo gonfiabile della giovane artista Bao Rong è irresistibile. La sua opera “The Hole”, in copertina di Artribune Magazine 87, reinterpreta un’antica favola cinese e tratta i temi della nascita, della rinascita e della trasformazione. Ne parliamo con lei in questa intervista

Pochi nomi della sua generazione stanno ricevendo la stessa attenzione internazionale di Bao Rong (Huizhou, 1997). A nemmeno trent’anni, è stata inserita tra i “10 migliori artisti emergenti” dall’UCCA (il più rilevante centro d’arte contemporanea di Pechino) ed è stata la prima artista cinese donna a ricevere una mostra personale alla prestigiosa Saatchi Gallery di Londra. Nel 2023 ha ottenuto il diploma in Scultura al Royal College of Art, dopo una formazione alla China Academy of Art di Hangzhou e alla School of the Art Institute di Chicago. In Italia l’abbiamo vista solo due volte: la prima – in tempi ancora non sospetti – nel 2022 alla fiera milanese d’arte emergente ReA! e la seconda nel 2025, sulla Pista 500 della Pinacoteca Agnelli a Torino. Guardando i suoi lavori, possiamo solo dire che ci piacerebbe vederla decisamente di più. Negli anni, Bao Rong ha maturato uno stile inconfondibile, accostandosi a quella che oggi si definisce Inflatable Art: sculture gonfiabili, talvolta cinetiche e di grandi dimensioni, che non possono che catturare l’attenzione dello spettatore. Sono opere che fanno della leggerezza, fisica ed estetica, un punto di forza e una chiave per leggere un mondo fin troppo appesantito dalla sua stessa assurdità. Non si tratta di affrontare superficialmente la realtà, o di negare le difficoltà contemporanee: al contrario, Bao Rong vuole restituire dignità all’umorismo e al gioco, potenti strumenti emozionali, cognitivi e sociali troppo a lungo sottovalutati. Il tutto senza rinunciare a quello che rende tale un’opera d’arte: la sua irrisolvibile ambiguità. Lasciamoci trasportare allora nel mondo di Bao Rong, allo stesso tempo morbido e perturbante, alieno e umanoide, profondamente cinese e sapientemente occidentale. 

Bao Rong, Enigma, 2023. Credits Bao Rong Studio
Bao Rong, Enigma, 2023. Credits Bao Rong Studio

Intervista a Bao Rong

Qual è stato il tuo primo incontro con l’arte contemporanea? 
Ero molto giovane quando ho iniziato a dipingere, ma era soprattutto pittura ad olio e disegno accademico. Il mio primo incontro con l’arte contemporanea è stato alle scuole superiori, quando vidi Fontana di Marcel Duchamp, anche se all’epoca non lo compresi del tutto. Fu solo all’università che ebbi modo di studiare arte contemporanea in modo sistematico, visitando mostre, leggendo e approfondendo autonomamente. Quando poi mi sono trasferita a Chicago, ho iniziato a studiare la storia dell’arte contemporanea all’Art Institute. 

Nel tuo Paese natale, il fermento artistico è particolarmente vibrante in questi anni. Cosa ti ha spinto a continuare la tua formazione al di fuori della Cina? 
Nonostante in Cina l’arte contemporanea si sia sviluppata velocemente, l’educazione artistica non è stata altrettanto rapida.  Quando frequentavo le scuole – circa dieci anni fa – il sistema didattico era ancora molto legato all’estetica tradizionale. Volevo comprendere in che modo l’arte opera all’interno di diversi sistemi culturali e formativi – in termini di insegnamento, realizzazione di mostre e anche vita quotidiana. Studiare all’estero mi ha garantito un certo tipo di distanza, che mi ha aiutata a guardare a me stessa in modo più oggettivo. Il mio nome, Bao Rong (包蓉), significa “inclusione” o “tolleranza” in cinese. Spero di continuare a crescere e trasformarmi attraverso lo scambio culturale, rimanendo aperta, fluida e in conversazione con mondi differenti. 

La tua pratica artistica comprende pittura, performance e, soprattutto, scultura. Cosa ti attira di più di questo medium? 
La scultura mi permette di riflettere contemporaneamente sullo spazio, sul corpo e sul materiale. È allo stesso tempo concreta e carica di emozione. Adoro il modo in cui la scultura occupa uno spazio reale, respira insieme con lo spettatore, come un’estensione del corpo. Una conversazione silenziosa tra la materia e l’essere umano. 

Bao Rong, The Wheels Keep Turning, 2024. Credits Bao Rong Studio
Bao Rong, The Wheels Keep Turning, 2024. Credits Bao Rong Studio

Le tue sculture sono spesso cinetiche o gonfiabili, a volte entrambe. C’è una vitalità sorprendente, a tratti aliena, all’interno del tuo lavoro. È qualcosa che ricerchi attivamente? 
Sì, mi interessa molto il momento in cui l’artificiale comincia ad apparire vivo, quando un movimento meccanico riesce, d’un tratto, a suscitare empatia. La qualità “aliena” ha anche a che fare con l’estraniamento: qualcosa di non familiare può riflettere la condizione umana in modo più autentico. 

C’è un innegabile senso dell’umorismo e giocosità nei tuoi lavori. Credi che questo approccio, piuttosto che adottare un tono più serioso, possa essere più efficace nell’affrontare le assurdità della vita contemporanea? 
Assolutamente sì. L’umorismo è una strategia di sopravvivenza. Il gioco permette alle persone di fronteggiare realtà difficili o assurde in modo più leggero. Mi piace creare opere che in un primo momento fanno sorridere le persone, per poi farle riflettere sul perché stanno sorridendo. 

La copertina del magazine è un dettaglio dal tuo lavoro The Hole, installato a Hong Kong la scorsa primavera. Hai anche attivato questa grande scultura gonfiabile attraverso il tuo corpo. Puoi raccontarci la genesi dell’opera e le ambiguità che esplora? 
Ho concepito questo lavoro a partire dal luogo in cui sarebbe stato esposto, la Carl Kostyál Gallery di Hong Kong. Lo spazio aveva una grande vetrata e, al di là, una montagna – una vista rara nel denso panorama urbano. Mi ha ricordato un antico testo cinese, Il ruscello dei fiori di pesco: “Il fiume finì ai piedi di una montagna e qui il barcaiolo vide una piccola apertura, da cui sembrava filtrare della luce. Decide allora di lasciare la sua imbarcazione e di entrare. All’inizio il varco è molto stretto, a malapena percorribile, ma dopo alcuni passi si apre improvvisamente su un vasto e luminoso paesaggio”. Volevo ricreare quella sensazione, costruendo una grande scultura che bloccasse la vista e invitasse gli spettatori a infilarsi dentro una piccola apertura, per poi emergere in uno spazio ampio e pieno di luce. C’è una riflessione sui concetti di nascita, rinascita e trasformazione. Strisciare all’interno del corpo di questa “creatura” gonfiabile è allo stesso tempo assurdo e confortevole, come se si diventasse un parassita di un organismo gigante, un intruso che entra in un’altra forma di vita. In un’altra versione, ho sostituito il mio corpo con un paio di gambe meccaniche (che poi sono quelle che si vedono sulla copertina) che continuavano a scalciare, cercando di procedere senza successo e senza fine. Il movimento continuo ed estenuante di chi è intrappolato in un loop eterno. L’opera esplora quindi come il corpo può essere sia macchina sia prigioniero di se stesso, indagando quel confine sottile tra controllo e sottomissione. 

Bao Rong, Alien Babe, No 2, 2023. Credits Bao Rong Studio
Bao Rong, Alien Babe, No 2, 2023. Credits Bao Rong Studio

Hai anche lavorato con la tua stessa immagine, mediante autoritratti pittorici e scultorei che riflettono sull’idea di distorsione. Dopotutto, anche le tue sculture gonfiabili sono soggette a simili trasformazioni. Sei particolarmente interessata nel concetto di mutaforma? 
Sì, la trasformazione mi affascina. Il gonfiarsi e lo sgonfiarsi richiamano l’atto di respirare, sono metafore di emozione, fallimento, rinascita. La distorsione, per me, non è distruzione; è un processo di divenire 

In quale direzione si sta evolvendo la tua pratica artistica?  
Sto cercando di realizzare opere più interattive e ritualistiche, che invitino la partecipazione collettiva, piuttosto che la contemplazione individuale. Sono anche interessata a sfumare il confine tra scultura pubblica e performance, trasformare gli spazi in ambienti morbidi e respiranti dove le persone possano giocare e riposarsi. O semplicemente esistere. 

Alberto Villa 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, è critico e curatore indipendente. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers (relatore Marco De Michelis) e attualmente…

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