Al PAC di Milano un’installazione per guardare ciò che resta quando tutto svanisce (solo due giorni)
Si tratta dell’ultimo progetto dell’artista visivo Daniele Costa in cui la pratica artistica incontra la dimensione della cura grazie all’utilizzo di termocamere che sostituiscono la luce con il calore
Si muove tra scienza, pratiche relazionali e una riflessione esistenziale sul volgersi della vita Seeing Beyond Fading di Daniele Costa (Castelfranco Veneto, 1992) che, per solo due giorni (l’8 e il 9 novembre 2025 dalle 17 alle 22), verrà presentato al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano in collaborazione con Careof. Formatosi tra l’Università di Padova e lo IUAV di Venezia, Costa ha portato avanti negli ultimi anni una ricerca che si muove tra video e installazione, con un interesse costante per il corpo, sia da un punto di vista più medico-scientifico, sia per quanto riguarda la conoscenza dell’individuo in rapporto alla sua storia, al suo mondo e alla sua persona.
L’installazione “Seeing Beyond Fading” di Daniele Costa
A cura di Marta Cereda e la partecipazione di Carolina Gestri, il progetto – con il contributo del Master in Death Studies & the End of Life dell’Università di Padova, diretto da Ines Testoni – nasce all’interno dell’hospice “Casa del Vento Rosa” di Lendinara (RO), dove la pratica artistica incontra la dimensione della cura. Qui Costa ha utilizzato termocamere per sostituire la luce con il calore, traducendo i corpi in paesaggi termici, campi di intensità che registrano la prossimità, il contatto e la persistenza dell’energia vitale. La morte, in questa prospettiva, non è più la fine, ma un passaggio tra visibile e invisibile. Fade in e fade out, dal linguaggio tecnico dell’editing video, ne recupera il senso: secondo Costa, infatti, ciò che si dissolve non scompare ma si trasforma.
Il progetto spiegato da Daniele Costa
“Il progetto, nato nel 2018, parte dall’idea di cercare un modo per rappresentare la fine, o almeno un’immagine che possa avvicinarsi il più possibile alla morte, un concetto estremamente difficile da affrontare, soprattutto nella nostra società occidentale che tende a tenerlo lontano, pur essendo costantemente presente nelle cronache e nelle notizie quotidiane” racconta Costa ad Artribune, spiegando come da questo spunto sia emersa la volontà di entrare in una realtà estremamente complessa e di coglierne un’immagine diversa. E così, l’uso delle telecamere termiche è diventato lo strumento per farlo: queste, infatti, annullano il gradiente reale e permettono di accedere a un’altra dimensione, dove tutto si dissolve in un continuum e solo la fonte di calore mantiene una forma percepibile.
Daniele Costa: “nel suo insieme la vita tende all’astrazione”
“L’idea era dunque quella di riprendere un corpo che si spegne, nel suo passaggio tra la vita e la morte, per restituire la percezione che il tramonto sia parte di noi, un processo in cui il calore del corpo umano lentamente si affievolisce fino a diventare un tutt’uno con lo spazio. È come un attenuarsi continuo: nel suo insieme, la vita tende all’astrazione. Siamo corpi che si spengono, e rappresentarci attraverso il calore significa forse accedere a una dimensione che non abbiamo mai realmente immaginato, dove le forme si dissolvono, diventando qualcosa di fluido, quasi gassoso“, continua. “Noi siamo “tramonto”: nel senso che il tramonto fa parte di noi, perché in qualche modo ci spegniamo un po’ ogni giorno. Da qui è nata l’idea di avvicinarsi ai centri residenziali per malati terminali, luoghi in cui l’accompagnamento al fine vita diventa una pratica di cura, un modo per prendersi carico del percorso finale che i pazienti vivono all’interno di queste strutture”.
Caterina Angelucci
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