Stigma e autodeterminazione nella fotografa Cihan Çakmak in mostra a Palermo 

È la RizzutoGallery di Palermo ad ospitare la prima mostra personale in Italia di Cihan Çakmak, artista multimediale tedesca di origine curda. In esposizione fotografie, disegni e un video che esplorano le questioni dell’identità e del trauma transgenerazionale

La condizione di popolo diasporico, segnato da dinamiche patriarcali, porta l’artista a concepire l’eredità curda più come vincolo familiare e culturale che come forma di appartenenza. Crescere in Germania come figlia di immigrati ha reso incerto il legame con un’identità sospesa tra le radici curde, il contesto socioculturale tedesco e un’identità ribelle alla ricerca di libertà personale. Tramite l’indagine psicologica del trauma si legge la storia di chiunque – che rischia di rimanere un nessuno dentro il vortice dello stigma. Come osserva Susan Sontag, le fotografie hanno come “suprema vocazione quella di spiegare l’uomo all’uomo”. 

Cihan Çakmak, Not Me Not You, 2024. FineArt Baryta Print on Aludibond, 125 x 185 cm. Edition of 3. Courtesy RizzutoGallery
Cihan Çakmak, Not Me Not You, 2024. FineArt Baryta Print on Aludibond, 125 x 185 cm. Edition of 3. Courtesy RizzutoGallery

La mostra di Cihan Çakmak a Palermo 

In occasione della prima personale in Italia, la fotografa e artista multimediale tedesca di origine curda Cihan Çakmak (Osterholz-Scharmbeck, 1993) presenta un lavoro che oltrepassa il confine individuale e biografico. Accompagna l’allestimento con un testo autografo che sintetizza emozioni e visioni interiori. Riconosce di essere un anello di una catena più ampia, individuando uno “stress transgenerazionale” che si manifesta in schemi comportamentali comuni tra i membri di una comunità in esilio. A partire da Not Me Not You / The Opposite Is Connection (in corso dal 2024) si isolano le condizioni esistenziali più rilevanti: vulnerabilità, occultamento, isolamento in quanto risposte a un trauma inteso come ferita psicologica. Con l’assenza di riferimenti si arriva alla desertificazione emozionale. Çakmak lo esprime con un gesto di radicamento nel terreno, dove il corpo si svuota di vitalità. L’opposto è la connessione. Sebbene l’artista risulti il soggetto di ogni scatto, devia dallo schema del ritratto approdando a una forma di soliloquio. Nella “necessità di comprendersi attraverso la narrativizzazione di sé”, accediamo a stati di coscienza in una operazione di “diffusione/dispersione del soggetto in plurali identitari” (Maria Giulia Dondero). L’indeterminatezza dei contesti favorisce un processo di suggestione, consentendo la proiezione di emozioni ed esperienze soggettive. 

Cihan Çakmak, Drawings, Then I Decided To Be Free, installation view at RizzutoGallery, Palermo, 2025. Courtesy RizzutoGallery
Cihan Çakmak, Drawings, Then I Decided To Be Free, installation view at RizzutoGallery, Palermo, 2025. Courtesy RizzutoGallery

Cihan Çakmak e l’appartenenza al popolo curdo 

L’allestimento della seconda sala immerge trasversalmente nella produzione di Çakmak; il progetto Drawings (in corso dal 2019) consiste in disegni a matita colorata. Le condizioni psicologiche sono enucleate in rappresentazioni simboliche; a cominciare dal radicamento biografico: l’appartenenza, essenzialmente genealogica, al popolo curdo, storicamente perseguitato e costretto all’emigrazione, seppur originario della regione del Kurdistan che si estende tra Turchia, Iran, Iraq e Siria. Una comunità diasporica in cui il senso di appartenenza – in assenza di un riferimento statale unificato – fa presa sulla dimensione del nucleo familiare, portando alla chiusura in esso e in dinamiche gerarchiche.  

Cihan Çakmak, When We Leave, 2019. C-Print on Aludibond, 125 x 185 cm. Edition of 3. Courtesy RizzutoGallery
Cihan Çakmak, When We Leave, 2019. C-Print on Aludibond, 125 x 185 cm. Edition of 3. Courtesy RizzutoGallery

La scelta della libertà 

Nell’immaginario collettivo, l’identità del mondo curdo è spesso associata alla tradizione tessile, un’arte domestica e comunitaria, tramandata e praticata soprattutto da donne. L’artista realizza delle composizioni visuali che si muovono all’interno di questa percezione. Il progetto When We Leave (in corso dal 2018) dà forma a contesti intimi e sospesi, che indagano dimensioni psicologiche complesse e, in particolare, la tensione tra oppressione e potere. In uno scatto emerge la postura tipica di alcune donne in gravidanza: genitrici dal volto spento, portatrici di una responsabilità inscritta in un sistema circolare e coercitivo. A questa immagine si contrappone una dimensione liberatoria, evocata da un atteggiamento rilassato e solenne, che rimanda alla figura di un sovrano avvolto d’oro, simbolo di apertura e di potere inteso come autodeterminazione. Lo scettro di fiori la incorona sultana di sé stessa, con sembianze volutamente fluide che trascendono la questione di genere per spingersi verso un livello di astrazione. Ogni opera cattura l’istante in cui affiora la consapevolezza del cambiamento: il distacco diventa così un gesto necessario di cura e affermazione di sé. 

Cihan Çakmak, Not Me Not You, Then I Decided To Be Free, installation view at RizzutoGallery, Palermo, 2025. Courtesy RizzutoGallery
Cihan Çakmak, Not Me Not You, Then I Decided To Be Free, installation view at RizzutoGallery, Palermo, 2025. Courtesy RizzutoGallery

Cihan Çakmak e il rapporto con la sorella minore  

Where I left you / My sister and I (2023) è un lavoro in due parti in cui video e fotografia si incontrano. Ritrae sé stessa accanto alla sorella minore (My sister and I) da cui è stata lontana per anni; la direzionalità dei corpi e il loro reciproco rapporto comunicano difesa e conforto. L’esperienza individuale lascia spazio a una riflessione sul distacco e l’appartenenza che fa trapelare un’intimità coinvolgente. A chiusura del percorso espositivo si colloca Where I left you, installazione video a due canali. Una dimensione rituale composta da gesti, distorsioni sonore e una melodia magnetica. La “lettera alla madre” in voiceover condensa traumi e distanze emotive; si decostruiscono processi disfunzionali che stanno alla base dello “stress transgenerazionale”. Pur segnate da tendenze patriarcali, le frammentate comunità curde presentano dinamiche interne complesse che sfuggono a riduzioni ad un unico modello culturale. Potremmo considerarli contesti superati, da osservare con compassione. Eppure, il progetto artistico di Cihan Çakmak possiede una forza espressiva capace di dialogare con ogni realtà, sia per l’astrazione concettuale e psicologica operata, sia per la scelta di Palermo come prima città italiana a ospitare una sua mostra personale, aprendo nuove prospettive per rileggere lo stigma e i retaggi culturali e i pregiudizi sociali che ancora oggi influenzano la nostra società.  
 
Daria Castellese 
 
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