La fondazione d’arte contemporanea di Milano che guarda a Caravaggio e a Mantegna
Delle tre mostre autunnali di Fondazione ICA, due propongono un interessante riferimento al passato con una coppia di artisti, Lewis Hammond e Oliver Osborne, che omaggiano storici maestri attraverso le loro opere
Per questo autunno 2025, Fondazione ICA si popola di affascinanti riletture del passato, attraverso la lente di due pittori internazionali. Ombre ovattate che risvegliano le inquietudini proprie di ogni essere umano, accostate a texture quasi tessili su cui si dipanano ritratti mistici. Protagonisti di questo salto nella storia dell’arte che ha il sapore di Caravaggio, Rubens, Mantegna e persino del toscano Filippino Lippi, sono Lewis Hammond (Regno Unito, 1987) e Oliver Osborne (Edimburgo, 1985). Due pittori diversissimi per stile, ma accomunati da un comune fascino per l’antico e le simbologie dai significati eterni. Completa la triade di esposizioni dello spazio milanese Isabella Costabile (New York, 1991), che porta una serie di sculture inedite realizzate con materiali di recupero.
Lewis Hammond, “Black Milk”
Il primo passo espositivo è con Lewis Hammond (Regno Unito, 1987). Il pianterreno si tinge di sfumature brune, oscure. Ombrose, come il nero suggerito dal titolo della sua prima mostra milanese – Black Milk – che si rifà alle emozioni cupe e visionarie che trasmettono le opere.
Storia della pittura e rapporto con la fede – nella loro accezione trasformativa e sociale – sono i protagonisti della sua ricerca, infusa di note surrealiste e corpi distorti, soluzioni formali a metà tra fragilità corporea ed emotiva. Ad esse si associano maternità, religione, speranza e individualismo.
Tutti ingredienti che si fondono, si mescolano, si sciolgono nella pittura ombrosa che guarda da vicino Giotto e Caravaggio, Surrealismo e Goya. Le nostre ansie – individuali e collettive – i nostri sogni cupi e le nostre paure si proiettano in ognuna delle figure protagoniste, trovando sfogo nell’immagine. Sottili le simbologie, di cui la lepre è uno dei tanti e più eloquenti, che intridono le opere di ulteriori stratificazioni semantiche. Pare di trovarsi davanti a uno dei grandi maestri della pittura medievale, celebre per l’uso dei non detti e nei sensi molteplici, eppure la riflessione è contemporanea. Attualissima. Come attualissimo è il presente di dolore e inquietudine, che, a ben vedere, non è poi così dissimile dal “buio” dei secoli passati. Ieri c’erano i barbari, oggi ce ne sono “altri”, anche se vestiti un po’ diversamente. In un presente in cui incertezza, paura e ineguaglianza definiscono il vivere quotidiano dal punto di vista economico, sociale, ma anche relazionale, l’idea di fiducia diventa uno strumento prezioso per non perdere il senso stesso dell’esistenza. Le opere di Hammond, intrise di una spiritualità pacata ma percepibile, rispondono bene a questa vitale esigenza umana.

Oliver Osborne in mostra da Fondazione ICA
Secondo progetto autunnale di ICA, diffuso tra le stanze del primo piano, è quello dedicato a Oliver Osborne. Pittore di figure dai contorni e dalle forme sorprendenti: le sue opere, distinte ma indissolubilmente legate una all’altra, creano lungo il percorso un gioco di rimandi e riferimenti. Di citazioni e riprese di sagome e colori che tornano suggerendo misteriose correlazioni. Ma le inter-relazioni non si fermano al contesto espositivo: tutto il lavoro di Osborne è intrinsecamente avviluppato alla storia dell’arte, italiana soprattutto. In mostra spicca il suo tributo al Cristo Morto di Mantegna, con una visione che appare e scompare tra strati di colore. Anche il titolo, The Sleeping Guard, è ispirato a un altro grande della pittura italiana: Filippino Lippi. Alla sua Liberazione di San Pietro della Cappella Brancacci per l’esattezza, i cui toni ombrosi e i tocchi di luce sembrano rivedersi nelle tele contemporanee in questione, in cui strati di cromie oa notturne ora infuocate delineano volti e frammenti corporei. Ad arricchire il percorso, una serie di ritratti dei figli dell’artista: una piccola galleria familiare che evidenzia il suo ruolo – di padre e di pittore – testimone del trascorrere del tempo e incaricato di catturare un istante, ma anche di mostrarne il cambiamento.
Isabella Costabile in mostra da Fondazione ICA a Milano
Tutto quello che si vede in mostra è frutto dei ritrovamenti nel garage di famiglia, per strada, sui marciapiedi: oggetti trovati e recuperati, utilizzati per concepire e costruire paesaggi e immaginari che non appartengono al visibile convenzionale. La sua pratica spinge le composizioni verso l’essenza, verso il puro e semplice assemblaggio di pezzi e forme che li conducono a mutare le loro funzioni d’origine. Questi tasselli affrontano una duplice dimensione insita nella poetica di Isabella Costabile: quella più personale e biografica e quella collettiva e condivisa. Quest’ultima permette al pubblico di riconoscere gli oggetti delle composizioni grazie alla propria esperienza individuale antecedente. Le cinque opere disseminate nel percorso mostra, tra cui quattro inedite, sono per la maggior parte di ferro, con parti saldate insieme nei punti di coincidenza proporzionali. Sono elementi propri di un’archeologia della memoria, carichi di ambiguità e potenzialmente soggetti a continue mutazioni. A dare nuova energia a questi pezzi metallici altrimenti inerti è la reinterpretazione: ciò che un tempo era funzionale oggi è strumento per un linguaggio altro. A completare l’operazione sono i titoli, che si affiancano come frammenti poetici e creano un ulteriore strato immaginativo.
Emma Sedini
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