L’artista Giulia Piscitelli in una mostra tra acqua, memoria e conflitto al Museo Navale di Venezia

Mappe, tappeti da preghiera ed ex voto creano un palinsesto di storie al Museo Navale. Con “Chiave Terrestre” Giulia Piscitelli intreccia fede e tecnica, salvezza e naufragio, passato e presente

Nel cuore di Venezia, tra modelli di navi, ex voto e divise, oltre quarantacinque opere di Giulia Piscitelli (Napoli, 1965) innestano nuove letture nel percorso del Museo Storico Navale. Non un intervento invasivo, ma una trama di segni che mette in relazione acqua e terra, commercio e guerra, fede e tecnica, tenendo insieme memoria e presente.

Chiave Terrestre: l’acqua per capire il futuro

“Penso che l’acqua sarà la prossima frontiera dell’umanità: risorse idriche, siccità, migrazioni: tutto oggi riguarda o coinvolge l’acqua”, spiega Giulia Piscitelli. Il titolo della mostra rimanda a un modo di dire napoletano: “Avere la chiave dell’acqua è avere la chiave della terra”. Allestita al Museo Storico Navale di Venezia e curata da Stefano Chiodi, l’esposizione invita a leggere il mare come frontiera e specchio della storia. “Venezia è acqua che si fa città, potenza marittima, rete di relazioni, di commerci, di guerre, di scambi, di viaggi”. In questo ordito, acqua e memoria formano l’asse del racconto.

Giulia Piscitelli, Chiave terrestre, 2025, exhibition view, MUNAV. © Andrea Pattaro/Vision
Giulia Piscitelli, Chiave terrestre, 2025, exhibition view, MUNAV. © Andrea Pattaro/Vision

Giulia Piscitelli dialoga con il Museo Navale di Venezia

Quando espongo in luoghi non progettati per l’arte mi interessa innestarmi in un organismo preesistente. Porto lavori già nati, li scelgo come moduli da incastrare in una narrativa che mi precede. Non è uno spazio neutro: è una stratigrafia, un deposito di storie”, ricorda. L’istituzione, nata per custodire i modelli delle navi della Serenissima e oggi aperta a nuove progettualità, accoglie interventi puntuali e discreti che intensificano le risonanze tra oggetti storici e opere contemporanee, senza sovrapporsi al percorso museale. Sulle carte nautiche storiche compaiono aureole in foglia d’oro, estratte da tavole antiche e ricollocate su coste e linee batimetriche: “Un simbolo del divino che proviene dall’Asia. Quei cerchi dorati possono sembrare bersagli o miraggi di terre promesse, sta allo spettatore trovare il proprio senso”. Nella sala degli ex voto, le Pitture mute trasformano piccole tele d’epoca in superfici riflettenti: “Elimino la pittura e il colore, ma riporto alla luce il segno. Più materia c’era, più segno riveli, come una radiografia. Il quadro diventa uno specchio”.

Dai tappeti sacri all’antiproiettile: simboli in viaggio tra fede e conflitto

Fulcro del progetto è Una Nuvola Come Tappeto (2019), tredici inginocchiatoi rivestiti con tappeti per la preghiera islamica. Il titolo proviene dal Salmo 105 nella resa poetica di Erri De Luca, che l’artista cita esplicitamente: “Stese una nuvola come tappeto”. Qui il sincretismo è dichiarato: il mobile liturgico cattolico, i rimandi all’ebraismo, la trama islamica. In Planeta (2018) un paramento liturgico nasce da un giubbotto antiproiettile in kevlar: “Non so se servisse a difendersi o a colpire. Come nella fede, anche qui c’è una contraddizione: protezione e insieme offesa”. In alto, sospesa, fa capolino La mia casa (1970–2025): “In un luogo navale, di viaggio, la nave è la casa del marinaio, con i suoi confini”. Il percorso insiste sulla soglia tra salvezza e naufragio, tra intimità e conflitto, lasciando in sospeso degli interrogativi: “Tutte le mie opere sono domande più che risposte”.

Il MUNAV come palinsesto di storie

Le opere di Giulia Piscitelli condensano la frizione fra un presente disordinato – segnato da migrazioni, conflitti, precarietà – e la resistenza dell’arte”, osserva Stefano Chiodi. Nel MUNAV, luogo vivo di stratificazioni, la mostra riattiva memorie di rotte e imprese, ricordando che la storia marittima è insieme scambio e dominio. L’acqua, prima e ultima chiave terrestre, resta il prisma attraverso cui interrogare il nostro futuro comune.

Debora Vitulano

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