A Roma l’artista Oliviero Rainaldi rilegge la maternità all’insegna del sogno
Cinque opere pittoriche, tutte in bianco e nero, rivisitano il tema classico dell’icona materna arricchendola di nuovi significati onirici e introspettivi
Una minuta teoria di lavori che travalicano l’atto espositivo per farsi specchio di un’indagine sull’inconscio e sulla metamorfosi. Questa è la mostra dal titolo Seconda Madre di Oliviero Rainaldi (Carmanico Terme, 1975), ospitata alla storica galleria di Roma La Nuova Pesa.
Il bianco e nero per raccontare l’inconscio secondo Oliviero Rainaldi
Dopo anni di scultura, l’artista torna alla pittura, individuando nel bianco e nero l’unico linguaggio possibile per raccontare l’esperienza di un io in bilico, un’anima sospesa fra micro e macro-mondo. Le due cromie, sostiene Rainaldi, amplificano quell’aura di mistero che impregna le tele. Un’oscura alchimia dove la materia, muta eppure vivente, sembra farsi custode di significati nascosti, segreti non ancora svelati.
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Le opere di Oliviero Rainaldi in mostra a La Nuova Pesa a Roma
Cinque sono le opere che delineano il percorso, tra cui un polittico diviso in tre atti: l’invito, l’abbraccio e la mutazione. Si tratta di una narrazione visiva sviluppatasi attraverso un’indagine sulla longue durée, che ha messo a nudo un trauma profondo. Dai lavori, che coprono un arco temporale che va dal 1988 al 2025, affiora una condizione psichica tenue e tormentata insieme.
La maternità nella mostra di Oliviero Rainaldi a La Nuova Pesa a Roma
Nucleo tematico è la maternità, non intesa nella sua accezione biologica, ma come archetipo universale. “La seconda madre è colei che risponde, quella del sogno”, afferma l’artista, che rivisita l’icona materna con un’intensità che trascende il legame naturale, trasformandosi in una sorta di engramma saturo di implicazioni personali e culturali.
Seguendo il succedersi delle opere, la figura umana si dissolve e si disfa in un primitivismo esistenziale enigmatico e sospeso. Emerge l’urgenza di misurarsi con l’alterità per accedere all’identità, scardinando ogni tipo di coerenza. Negli abbracci dei corpi, nell’innesto delle sagome, domina la dimensione onirica, entro la quale – tra figurazione e astrazione – resta il tentativo di cogliere l’invisibile.
Francesca de Paolis
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