InterAction: a Napoli la mostra politica che coinvolge artisti da tutto il mondo 

Sono ben trenta gli artisti in mostra alla Fondazione Made in Cloister di Napoli, invitati a riflettere sulle grandi tematiche sociali della nostra epoca: dall’immigrazione alla globalizzazione, passando per l’accettazione dei corpi e le guerre

È una mostra “politica” quella che Demetrio Paparoni sta proponendo a Napoli. L’opportunità è offerta dallo spazio gestito dalla Fondazione Made in Cloister, nata per sottrarre al degrado l’intera insula del Complesso Monumentale di S. Caterina al Forniello nel quartiere di Porta Capuana. Le radici del progetto e della mostra stessa vanno ricercate nella storia del luogo: una storia fatta di accoglienza, convivenza multietnica e vocazione del “fare”. Napoli è una città unica e difficilissima che brilla per straordinari luoghi d’arte come il Museo Archeologico Nazionale o il Museo e Real Bosco Capodimonte, ma nel Chiostro Piccolo di S. Caterina ci troviamo di fronte ad altro rispetto ai lustri saloni dove i “politici” di questo o quel regime amano fare passerella. Eppure parla appunto di politica questa esposizione. Ci ricorda che stiamo vivendo un trapasso storico difficile: certo l’arte non può porre rimedio alla fame o alle guerre, ma può dare un suo contributo nel creare una coscienza civile. È in momenti come questi che diventa necessario scegliere se appiattirsi su esigenze legate a piccoli (illusori) interessi di bottega, oppure assumere una posizione per lo meno dignitosa. Paparoni ha chiesto a trenta artisti di diciassette nazionalità provenienti da quattro continenti di realizzare un’opera sul tema dell’altro e dell’alterità. Ognuno ha reagito a suo modo, senza comizi, con cuore, cervello e mano in azione.  

Interaction 2024. In primo piano, Hyeryun Jung, US2-Migration, 2024, installazione site specific Sullo sfondo da sinistra: Domenico Bianchi, Margaux Bricler, Veronica Bisesti, Andres Serrano, Sophie Ko, Wang Guangyi, Letizia Cariello, Henrik Placht. Photo Francesco Squeglia
Interaction 2024. In primo piano, Hyeryun Jung, US2-Migration, 2024, installazione site specific Sullo sfondo da sinistra: Domenico Bianchi, Margaux Bricler, Veronica Bisesti, Andres Serrano, Sophie Ko, Wang Guangyi, Letizia Cariello, Henrik Placht. Photo Francesco Squeglia

La mostra “Interaction” a Napoli 

Nel catalogo della mostra la riproduzione di ogni opera è affiancata dal commento dell’artista che la propone. Impossibile dare conto di ognuno nel breve spazio di queste righe, la campionatura che propongo ha funzione puramente introduttiva. In un grande olio Daniele Galliano (Torino, 1961) traccia un atlante della confusione che governa il Pianeta. Vediamo caccia bombardieri in azione, barconi carichi di migranti su rotte sconclusionate, dischi volanti e personaggi rapidamente cancellati tanto dalla sua pennellata che dalla realtà spesso crudele che viviamo.  Worlds in collision è un dipinto un po’ fuori dal comune. “Il mio lavoro non è mai schierato con il mainstream, ma sempre frutto dell’attenta osservazione che è la mia attività preferita, nel tentativo di esorcizzare la realtà, trasformandola in poesia con la pittura (…)  Al grande risveglio delle coscienze in corso, le élite “sataniste” globali, rispondono con malattie, epidemie, guerre infinite (…) A noi non rimane che affidarci alle forze celesti: Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio“.  Poco più in là sulla medesima parete appare un altro grande olio, questa volta di Chiara Galore (Abano Terme, 1994). Galore appartiene al gruppo dei più giovani tra gli artisti presenti. L’opera è presentata come una metafora dell’inclusività: Aliena corporea è abitata da differenti soggetti che appaiono come ombre scure, quasi sagome che si mescolano e generano un unico agglomerato di corpi, in cui il confine tra l’uno e l’atro si annulla (…). Questa Venere parzialmente coperta da una sorta di sindone incarna sul piano simbolico differenti sfaccettature della migrazione e della integrazione. Figura candida, evoca la pace, ma è parzialmente celata ai nostri occhi. Una pace, dunque, non raggiunta, tormentata, cui alludono i corpi esanimi che vengono coperti dopo la lunga battaglia nelle acque del mare”. Guarda alla storia (tanto dell’arte che del colonialismo occidentale) invece la pittura tridimensionale di Vanni Cuoghi (Genova, 1966): “The Zong (Resurrection) rappresenta la caduta di un gruppo di schiavi dalla nave negriera Zong. L’episodio è avvenuto nel novembre del 1781 al largo delle coste giamaicane, dove vennero gettati a mare 142 schiavi come un qualsiasi carico di merci di cui alleggerirsi. (…) Anche Turner, nel dipinto The Slave Ship del 1840, vi  fece riferimento. Ho voluto rappresentare i personaggi senza alcuna espressione di sgomento o terrore, proprio per equiparare i corpi a oggetti: gli schiavi gettati a mare vennero definiti come “carico perduto”. Questi schiavi indossano jeans, pantaloncini Nike e magliette da giocatori di calcio. Sono i fantasmi che vediamo dormire sotto i portici delle nostra Stazione Centrale o che ci consegnano la pizza in bici”.  

Gli artisti in mostra alla Fondazione Made in Cloister 

Fuori da qualsiasi schema è la scultura di Filippo La Vaccara (Catania, 1972)  che troviamo appoggiata a una delle colonne cinquecentesche del chiostro. È stata fabbricata in legno, ovatta, filo e rete metallici, carta, terracotta, pittura vinilica e indumenti. “Realizzare un tipo di figura come The Waiter è per me come lavorare a un Frankenstein, a una creatura vivente, e non solo a una scultura (…) La scultura è alta circa due metri e trenta centimetri, dimensione che conferisce alla figura una certa monumentalità, rendendola appena fuori scala. (…) Sicuramente il mio The Waiter ha una dignità pari a quella di chi guarda, allontanando la possibilità di uno sguardo compassionevole”. Un’intera parete è invece dedicata all’imponente Cicada di Yue Minjun (Daqing, 1962). Su una  superficie di 25 metri di lunghezza per sei di altezza, modellata seguendo la curvatura dei cinque archi antistanti, appare un collage di immagini fotocopiate e pittura, che raccontano di identità irrimediabilmente perdute.“Ci troviamo nel mezzo di un processo di globalizzazione sempre più rapido. Tale processo influisce profondamente sull’identità delle persone e sul loro senso di appartenenza nazionale e regionale. L’identità cinese non fa eccezione. L’identità degli individui che vivono in Cina non è più esclusivamente “cinese”, poiché essi sono continuamente esposti a una serie di informazioni, idee, prodotti e cibi che provengono dal panorama internazionale (…). L’opera serve a ricordare che a nessuna persona può essere attribuita una singola identità, e allo stesso tempo nessun individuo rappresenta esclusivamente un periodo storico; piuttosto, stiamo tutti convergendo verso un comune e indifferenziato universo”. Sono parole di straordinaria lucidità, dove la preoccupazione esistenziale non esclude un moto di empatia verso il genere umano. 
L’elenco dei trenta artisti presentati in ordine alfabetico: Radu Belcin, Domenico Bianchi, Veronica Bisesti, Giuditta Branconi, Margaux Bricler, Chiara Calore, Gianluigi Colin, Vanni Cuoghi, Cian Dayrit, Francesco De Grandi, Zehra Dog ̆an, Sergio Fermariello, Daniele Galliano, Ximena Garrido Lecca, Silvia Giambrone, Arvin Golrokh, Hyeryun Jung, Sophie Ko, Filippo La Vaccara, LETIA-Letizia Cariello, Liu Jianhua, Loredana Longi, Troy Makaza, Yue Minjun, Samuel Nnorom, Henrik Placht, Aurelio Sartorio, Andres Serrano, Morten Viskum, Wang Guangyi.  

Aldo Premoli 

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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