Intervista a Edith Karlson, artista del Padiglione Estonia alla Biennale di Venezia 2024

Con un progetto dedicato all’assurdità e all’ineviabilità della vita, il Padiglione Estonia presenta il lavoro dell’artista Edith Karson. Con lei abbiamo parlato del suo padiglione, di animali e della scena contemporanea estone

Il Padiglione Estonia alla Biennale di Venezia 2024 è una riflessione sulle possibilità che si aprono quando ci si trova sull’orlo del precipizio, e una più generale riflessione sulle difficoltà della vita quotidiana. L’artista Edith Karlson (Tallinn, 1983) racconta il progetto negli spazi della Chiesa di Santa Maria delle Penitenti e condivide pensieri sulla sua arte, gli animali e la scena estone contemporanea. 

Come hai concepito il progetto del Padiglione dell’Estonia?
È stato un viaggio lungo ed emozionante, ricco di indagini. Tutto è iniziato con la ricerca di una sede per il padiglione. Poiché l’Estonia non ha un edificio permanente, abbiamo visitato un’ampia gamma di spazi, dalle cantine medievali ai palazzi storici fino ai classici spazi white cube. C’è un’opera in particolare che sapevo di voler assolutamente esporre, ma a parte questo avevo deciso di scegliere e creare opere a seconda dello spazio. Alla fine, siamo arrivati alla Chiesa di Santa Maria delle Penitenti, dove tutto ha iniziato improvvisamente ad avere un senso. Ho potuto vedere ciascuna delle mie opere nei diversi spazi della chiesa: era come se l’edificio sussurrasse le risposte giuste al mio orecchio. Da quel momento in poi, ho lavorato su ogni sezione come se fosse un’entità a sé stante, tenendo presente la coerenza dell’intero spazio. Volevo che le opere raccontassero storie su loro stesse e che interagissero tra loro e con il sito. La premessa per questo progetto deriva dalla mia mostra personale intitolata Return to Innocence, che ha avuto luogo al Museo Estone di Arte Contemporanea nel 2021. Molte delle opere esposte a Venezia sono state sviluppate a partire da quell’installazione, sebbene adattate e modificate per formare una nuova mostra coerente.

Edith Karlson, Hora lupi, Works in progress. Photo Anu Vahtra, Estonian Centre for Contemporary Art
Edith Karlson, Hora lupi, Works in progress. Photo Anu Vahtra, Estonian Centre for Contemporary Art

Cosa vorresti comunicare ai visitatori, attraverso questa mostra?
Hora lupi offre innanzitutto un luogo dove rinfrescarsi, nel senso più letterale. È anche una storia, che mira a mostrare l’assurdità e l’inevitabilità della vita. Sono fermamente convinto che tutto e tutti abbiano il proprio posto in questo mondo. E che dovremmo rimanere fiduciosi e continuare a immaginare. Non voglio essere troppo didattica su ciò che la gente dovrebbe pensare della mostra, ma per me la sensazione di cadere è stata davvero importante. Non in riferimento al recente film di Justine Triet ma solo per prendere in prestito il titolo: in un certo senso la mostra è un’anatomia di una caduta, o forse delle sensazioni che emergono dopo una caduta. La sensazione che non si può invertire il corso delle cose, l’essere ormai oltre l’orlo del precipizio ma non ancora caduti. Non si può sapere se ci sfracelleremo o atterreremo sani e salvi, quindi ci sono ancora molte strade aperte. È un momento di euforia e paura allo stesso tempo. Il momento tra inevitabilità e sconosciuto è stato qualcosa che mi ha portato a concepire Hora lupi. Metto insieme personaggi scultorei in una drammaturgia costruita dalla mia immaginazione, ma che alla fine, in questa bella chiesa settecentesca a Cannaregio prende una sua vita.

Quanto sono importanti gli animali nella tua pratica artistica?
Gli animali hanno un ruolo incredibilmente importante nella mia pratica, soprattutto il modo in cui si rivelano nel loro vero essere. Gli animali nel loro modo di essere naturale, nella loro onestà, bellezza e crudeltà sono per me un’eterna fonte di ispirazione e motivazione. Mi è più facile per me rappresentare gli animali che le persone, mi consentono molte più possibilità e posso rimanere onesta nella mia pratica. Devo ammettere che molto spesso amo gli animali molto più degli esseri umani. La ricerca del potere da parte degli esseri umani è troppo spesso accompagnata da una tale stupidità e danno da farmi male e da farmi star male. Gli animali non sono solo personaggi nella mia pratica artistica, ma hanno una grande importanza anche nella mia vita quotidiana. Sin dai miei ricordi, rivedo sempre animali intorno a me. Mi è stato detto che da bambina portavo gatti a casa, ma anche il nostro cane spesso aveva cuccioli. Kusti, il mio amatissimo chihuahua, entrò nella mia vita 14 anni fa, e mi si è spezzato il cuore quando, recentemente, è mancato; quindi, nella mostra di Venezia ci sarà anche una sezione dedicata a lui. Ora condivido la mia vita con il mio cane Iti e il mio cavallo Vilma. Ho sempre amato gli animali non solo come per la compagnia domestica ma per tutta la loro diversità.

L’arte estone è per te un’altra fonte di ispirazione? In quale misura?
Ai miei occhi, l’arte non è limitata o definita dai suoi confini nazionali. Pertanto, è difficile per me classificare l’arte estone come una cosa separata. L’arte di tutti i tipi è fonte di ispirazione per me, compresa l’arte del mio Paese, ovviamente. Ma se provo a restringere il campo al contesto estone, posso dire che mi piace la brutalità, la ruvidezza o la narrativa non raffinata che si può trovare qui. Non sono mai stata molto collegata alle scene occidentali, che hanno scritto le pagine artistiche di riferimento, e poiché, in un certo senso, l’Estonia è ai margini dell’Europa, per me la storia dell’arte estone è piena di pagine fuori del comune, emozionanti e inesplorate. Quindi, nella mia passata mostra Return to Innocence, ho esplorato un po’ il tema con l’aiuto del drammaturgo e curatore Eero Epner. Non è che io sia direttamente ispirata da qualcuno, si tratta più di apprezzamento, ammirazione e interesse. Trovo molto affascinante il metodo del rilievo di August Weizenberg  il primo scultore estone professionista, così come il senso della materia di Anu Põder, e anche Ülo Õun, per citarne alcuni. Ammiro sempre molto anche i miei colleghi contemporanei, molti dei quali sono miei amici o collaboratori, come Kris Lemsalu e Johanna Ulfsak, per esempio. Guardando fuori dall’Estonia, il lavoro del gruppo Gelitini è così meravigliosamente assurdo e lo trovo sempre stimolante.

Cosa pensi della scena artistica contemporanea estone?
Penso che sia piuttosto progressista, ma assomiglia un po’ a anche un’adolescente: insicura di sé, vuole fare tutto e subito, ed è molto aggiornata su ciò che è di moda e popolare. La ragione di ciò è, molto probabilmente, la sua età relativamente giovane e il fatto che la società estone non valorizza ancora abbastanza l’arte come una parte importante della cultura, meritevole di sostegno e sviluppo. L’intera storia estone è piena di momenti di rottura e uno di questi si è verificato durante la mia vita: il crollo dell’Unione Sovietica e la riconquista dell’indipendenza dell’Estonia. All’improvviso avevamo il nostro Paese e la nostra libertà, il che è stato meraviglioso ma anche una terapia d’urto. Negli Anni Novanta, quando ero adolescente, fioriva il capitalismo aggressivo degli avventurieri, e ormai si è trasformato in un neoliberismo che caratterizza l’intera società, compresa l’arte. Come tutto il resto, anche la scena artistica è profondamente cambiata dall’inizio degli Anni Novanta, e credo abbia ormai raggiunto una sua specificità estetica e concettuale.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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