Antonello Ghezzi, il duo di artisti che punta sulla leggerezza

Per il Lago di Revine, in provincia di Treviso, hanno ideato una scala luminosa che emerge dall’acqua. Il duo di base a Bologna ci ha raccontato cosa intende per fare arte

Una scala luminosa emergerà dall’acqua, per sette metri, inclinata. È Scalare il sogno, la nuova installazione che il duo Antonello Ghezzi, composto da Nadia Antonello (Cittadella, 1985) e Paolo Ghezzi (Bologna, 1980), ha pensato per il Lago di Revine.
Dopo La porta del sorriso, La sedia del giudice, Via libera per volare e Il suono delle stelle cadenti, sarà una scala il progetto che gli artisti di base a Bologna hanno pensato per Cortili Frattali. Il borgo aumentato sul lago, appuntamento in programma dal 4 al 6 agosto 2023 organizzato a Fratta di Tarzo nell’ambito della manifestazione Cortili dell’arte 3.0.
Una scala per arrivare al vuoto, a ciò che non c’è ma si può immaginare. Una scala per attraversare gli elementi e spiccare il volo usando la fantasia, strumento indispensabile rimanere sospesi, in alto, leggeri, proprio come la poetica dei due artisti.

Antonello Ghezzi, Alla Luna, 2019, installation and performance view at Bagni Misteriosi, Milano. Photo Melania Dalle Grave e Agnese Bedini

Antonello Ghezzi, Alla Luna, 2019, installation and performance view at Bagni Misteriosi, Milano. Photo Melania Dalle Grave e Agnese Bedini

INTERVISTA AL DUO ANTONELLO GHEZZI

Qual è l’arte necessaria, quella utile, quella che lascia qualcosa secondo voi? Qual è il suo dovere ineludibile?
L’arte, secondo noi, dovrebbe aggiungere una possibilità. Se apre lo sguardo e aggiunge un punto di vista ulteriore, se apre finestre che permettano di vedere un panorama diverso da quello che vediamo dalle nostre case, allora è arte necessaria.
Se l’arte deve avere un dovere allora deve essere quello di non seguire le mode, non seguire gli interessi di nessuno, deve essere arte libera. Il suo dovere ineludibile, in passato come oggi e oggi forse ancora di più, è di salvare il mondo.

La contemporaneità di un’opera, performance, installazione o immagine che sia, in cosa consiste secondo voi? E soprattutto è necessario il contemporaneo come bussola da seguire nella ricerca di ciò che conta e serve?
Crediamo che l’arte si collochi in un piccolissimo frangente forse inesistente tra il presente e il futuro. L’opera contemporanea cerca di rappresentare o presentare il nostro tempo portando alla luce elementi che non riusciamo a percepire, che ci sono o che potrebbero esserci e, siccome possono esserci, ecco che attraverso l’arte iniziano a esistere.
Mette in evidenza ciò che tendiamo a dimenticare o crea quel che appartiene al regno dell’immaginazione, quindi, seppur da un punto di vista temporale sia un cortocircuito, è l’unica bussola possibile e lo è sempre stata.

Spesso nelle vostre opere rielaborate non solo il concetto di arte urbana (pubblica), ma anche quello di “monumento”. Quali caratteristiche dovrebbe avere un monumento per essere universale, parlare a tutti?
Etimologicamente dal latino monumento ci parla del ricordo, quindi un segno che sta lì a ricordare qualcosa o qualcuno. I monumenti che riceviamo dalla stratificazione del passato ci raccontano una storia. Oggi c’è chi assurdamente vorrebbe addirittura cancellare questa sedimentazione, quando è simbolo di qualcosa che non ci piace.
Forse il monumento universale non esiste, ma quello che possiamo fare è celebrare sul piedistallo non più il potente di turno ma le idee. Come potrebbe essere il monumento alla leggerezza? Alle relazioni umane? All’umanità sotto un’unica bandiera?
Questi ultimi esempi diventano nel nostro caso opere e quando le chiamiamo monumenti sappiamo di essere nel paradosso, in un certo senso è un tentativo di guardarci già da lontano, per conoscerci.

Antonello Ghezzi, La sedia del giudice, 2022, installation and performance view at Piazza Lucio Dalla, Bologna. Photo Giorgia Tronconi

Antonello Ghezzi, La sedia del giudice, 2022, installation and performance view at Piazza Lucio Dalla, Bologna. Photo Giorgia Tronconi

L’ARTE SECONDO ANTONELLO GHEZZI

I vostri interventi attraversano il sistema di gallerie, fiere, musei, ma spesso non si radicano su quei binari. Come vi ponete tra necessità di visibilità e libertà dai circuiti?
Quando Velázquez dipinge Las Meninas, è “al soldo” di Filippo IV della Corte spagnola. A partire da un’idea di ritratto ereditiamo invece una delle opere più concettuali e grandiose della storia. Anche Michelangelo ci consegna tutti i capolavori da artista libero, anche se chi pagava i conti e gli chiedeva il lavoro era la Chiesa. Con il loro genio sono riusciti a scivolare tra gli ingranaggi. Senza aver la presunzione di accostarsi ai grandi maestri, ma conservandone l’ammirazione e l’ispirazione, facciamo tutti i giorni i conti con il giusto equilibrio del compromesso cercando insistentemente di creare arte libera.
Le leggi del mercato di oggi ben si avvicinano alle dinamiche della storia, il ricatto della necessità sembra costringerci a logiche che non sono le nostre, al compromesso per la realizzazione di progetti ambiziosi. Noi, dalla nostra, siamo in due e condividiamo queste scelte, ragionandoci, valutando per ogni opera la sua sincerità nell’essere. Cercando di essere soprattutto noi stessi, sempre.

L’arte deve tener conto delle crisi della storia e dovrebbe far pulizia del superfluo, di quello che Cacciari chiama “futile”. Di cosa si dovrebbe occupare l’arte dopo le crisi e quali autori sentite che sono su una strada profetica?
L’arte, proprio perché non è necessaria per sopravvivere, diventa ancora più importante. In un mondo dove tutto è superfluo o spinta al consumo per trovare necessità che alimentano soltanto le nostre nevrosi e le nostre solitudini, l’arte diventa necessaria come l’aria pulita, come qualsiasi cosa sincera e autentica. Tutto quello che nasce da un desiderio di creare qualcosa di buono, nel senso buddista del termine, si palesa come necessario agli occhi di chi è abituato soltanto a cercare il futile. Profeti per noi sono alcuni filosofi, alcuni scrittori, e spesso prendiamo nutrimento più dalla musica, dal cinema, dalla letteratura, dall’opera.

Ci spiegate l’opera che andrà installata sul Lago di Revine?
Si tratta di un’installazione che fuoriesce dalle acque del lago. È una grande scala a pioli che si staglia verso il cielo, di notte una speciale vernice la rende luminosa mentre è immersa nell’oscurità. Il titolo che abbiamo dato è Scalare il sogno, attinge ispirazioni dalle fiabe e dal sogno, ma è una vera scala di metallo, alta sette metri, che, leggermente inclinata, ci permette di raggiungere il cielo, o di guardare il mondo da una posizione più elevata.

Che cosa rimarrà sul territorio al termine dell’intervento? Cosa dovrebbe lasciare ai partecipanti?
In agosto, durante i giorni di Cortili frattali, apriremo dei laboratori che ci permetteranno di fantasticare su quale potrebbe essere la collocazione futura dell’opera, fuori dall’acqua. In questo modo faremo un esercizio collettivo di immaginazione e scopriremo insieme gli sviluppi futuri.
La nostra speranza è che rimangano ricordi ed emozioni e una consapevolezza nuova che tutto può cambiare, che si deve sempre poter sognare. Che il gioco è serissimo e la leggerezza un traguardo.

Simone Azzoni

http://www.antonelloghezzi.com/

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Simone Azzoni

Simone Azzoni

Simone Azzoni (Asola 1972) è critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Storia dell’Arte presso l’Istituto di Design Palladio di Verona. Si interessa di Net Art e New Media Art…

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