Studio visit. Parola all’artista Ambra Castagnetti

Tra gli artisti della 59. Biennale di Venezia, Ambra Castagnetti unisce nella sua pratica scultura, video, installazione e performance. In questa intervista descrive la sua ricerca all’insegna della fluidità

È una natura compromessa quella che Ambra Castagnetti (Genova, 1993) mette in scena con le sue opere. Un ecosistema che incorpora elementi naturali e artificiali, quasi sempre uniti in un groviglio di forme: un abbraccio costretto, che appare tuttavia sul punto di sprigionare energia da un momento all’altro.
Castagnetti ipotizza un microcosmo in cui organico e sintetico riescono a fondersi, dove non c’è gerarchia tra gli esseri che fanno parte del regno animale, e in cui l’uomo sembra essere una creatura tra le altre. Nelle opere dell’artista ligure non pare esserci però alcuna retorica legata alla coesistenza tra specie diverse; la fluidità che scorre nel lavoro di Castagnetti è presentata come un dato di fatto, dal quale scaturiscono incroci che lo sguardo dell’osservatore potrebbe considerare spiacevoli, incompatibili. Nuove aggregazioni che, forse, non riusciamo ancora a concepire.
Nessun immaginario incontaminato da Laguna blu, dunque; l’artista sembra prefigurare un mondo paludoso, fatto di presenze tutt’altro che rassicuranti, eppure capace di attrarre, di rivelare un potenziale erotico.

Ambra Castagnetti, Balalajka, 2020, ceramica, smalto metallico, 20x20x100 cm. Courtesy l’artista

Ambra Castagnetti, Balalajka, 2020, ceramica, smalto metallico, 20x20x100 cm. Courtesy l’artista

INTERVISTA AD AMBRA CASTAGNETTI

Ho osservato più volte il tuo lavoro e ancora non riesco a capire se ci sia, alla base, una presa di posizione specifica: critica alla società contemporanea e alle sue possibili derive? Elogio dell’ibridazione, della contaminazione? Forse è proprio questa ambiguità che mi attrae.
Diciamo che, più che una critica alla società contemporanea, il mio lavoro ha come punto di partenza l’indagine sul corpo e sui diversi ambienti o mondi che quest’ultimo può abitare. Poi, che io concepisca il corpo come un insieme ibrido, anarchico e contraddittorio chiaramente va a plasmare la posizione che occupo nei confronti dei temi della contemporaneità, come possono essere la normalizzazione, la violenza sistemica e la medicalizzazione.

Parli di questioni piuttosto specifiche. Ti rifai a qualche teoria in particolare? E in che modo riesci a tenere insieme gli aspetti teorici e quelli più formali della tua ricerca?
Sì, mi rifaccio in gran parte alle teorie dell’antropologa Nancy Scheper-Hughes, in particolare a The Mindful Body, articolo che si occupa di decostruire la nozione che abbiamo di corpo e di malattia, e di ripensare il modo in cui l’individuo incorpora spontaneamente situazioni di violenza o di disuguaglianza sociale, restituendole sotto forma di malattie o depressione. Di fatto, queste categorie mi danno modo di analizzare i miei lavori a posteriori, avendo loro stessi come origine il corpo, molto spesso il mio, che, come tutti i corpi, ha subito violenze di vario genere. Le teorie antropologiche mi danno la possibilità di capire cosa è accaduto, e di fare un discorso scultoreo, materiale, fondato sull’esperienza diretta, ma anche più teorico e legato alla ricerca e alle scienze sociali o umane.

Nella tua pratica utilizzi diversi supporti (ceramica, bronzo, tessuti e materiali tecnici…) così come media (scultura, installazione, video, performance…). Pensi che questa disinvoltura nel passare da uno all’altro possa essere un’ulteriore manifestazione di fluidità?
Diciamo che il mio modo di lavorare si muove su più piani contemporaneamente. Ci sono una serie di processi che porto avanti in parallelo, in qualche modo legati alla mia vita quotidiana e, in generale, all’attitudine nei confronti delle cose che vivo. Questo per dire che la mia vita è permeabile ai miei lavori e viceversa. Ogni lavoro ha bisogno del suo medium specifico per esprimersi e svilupparsi.

Ambra Castagnetti, Huntress, 2021. Resina, acciaio, gesso, pigmenti, cera, grano, fiori, gommalacca, dimensioni variabili. Courtesy l’artista e Manifattura Tabacchi

Ambra Castagnetti, Huntress, 2021. Resina, acciaio, gesso, pigmenti, cera, grano, fiori, gommalacca, dimensioni variabili. Courtesy l’artista e Manifattura Tabacchi

L’ARTE SECONDO AMBRA CASTAGNETTI

E cos’è che ti fa optare per un mezzo espressivo piuttosto che un altro?
Faccio alcuni esempi partendo dai miei lavori. In Desert Dogs, il mezzo audiovisivo era il migliore per raccontare la vita nel deserto, essendo una narrazione per immagini e suoni. In quel caso lo spettatore può vedere l’esperienza quasi diretta di quei luoghi, quei volti e, attraverso la storia dei due amanti, ricostruire il gap tra narrazione storica (presente nel ricordo della rivoluzione egiziana) e atemporale, quasi mitologica (rappresentata dalle immagini della vita nomade). Altre opere, come Black Milk o Dependency, sono installazioni che rompono i confini tra scultura e atto performativo, sottolineando come gli oggetti esposti non siano altro che estensioni del corpo, o anche oggetti trasformativi utilizzati per modificare la propria identità partendo dal corpo.

Mi chiedo anche se questo eclettismo abbia a che fare con la tua formazione.
Un mio mentore mi dice sempre che il vero lavoro di un artista non sono le opere in sé, ma tutto ciò che è attorno a esse. Vivo con naturalezza questo utilizzare mezzi diversi, perché è ciò che ho sempre fatto. Ho sempre disegnato, organizzato spettacoli di “teatro” fin da quando ero piccolissima, disegnando tutti i costumi e costruendo le scenografie, obbligando cugini e sorelle a far parte del gioco. Dopo la laurea in antropologia ho lavorato come performer per molti artisti e frequentato un po’ di compagnie teatrali tra Bologna e Firenze, quindi ho avuto modo di vedere professionisti dello spettacolo lavorare e creare progetti. Penso che questo mi abbia insegnato tanto.

Non so a che anni tu faccia riferimento, ma non credo sia trascorso molto tempo da allora. Ti saresti aspettata in così poco tempo di arrivare alla Biennale di Venezia?
In generale no, non me lo sarei aspettato, ma quando ho letto l’open call per la Biennale College e il tema di questa Biennale, incentrata su trasformazione, metamorfosi e sul rapporto uomo-natura-tecnologia, automaticamente ho iniziato a dare corpo a un progetto che avevo in mente da un po’. L’idea era molto semplice: un’orda di persone, o creature, legate tra di loro con elementi scultorei indossabili. L’ispirazione mi era venuta nell’agosto del 2020, quando ho visto un video BDSM di Erika Lust. Quello che mi aveva colpito era l’amore e il rispetto che gli attori avevano tra loro nel compiere atti di sottomissione o dominazione, quasi esistesse un tacito patto di fiducia e dipendenza reciproche. Ho cercato di trasmettere questi sentimenti in scultura, insistendo su questa necessaria dipendenza degli esseri gli uni dagli altri, esseri umani, animali, vegetali, artificiali.

A proposito di ceramica: in genere è considerato un mezzo “caldo” e con una lunga tradizione alle spalle, eppure tu ne fai un uso meno convenzionale, con sculture indossabili e dalle forme instabili, mescolate ad altri materiali sintetici. Sculture che spesso diventano oggetti da utilizzare in performance che intendono disegnare immaginari nuovi.
La terra è uno dei primi mezzi utilizzati dall’uomo per dar forma alle cose. Un po’ come il disegno: intuitivo, immediato. Non mi importa della tradizione, e non sono una ceramista, infatti i miei pezzi non sono realizzati nella maniera “giusta”. La mia principale fonte di ispirazione sono i negozi cinesi o i mercatini delle pulci. La ceramica è una materia fluida con cui posso creare tutte le forme che voglio, che poi vengono “completate” con supporti di poco valore o altri più pregiati come il bronzo. Inoltre, la sostanziale delicatezza della ceramica fa sì che i lavori contengano una precarietà interna – un’instabilità – che per me rappresenta un valore.

Saverio Verini

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #65/66

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Saverio Verini

Saverio Verini

Saverio Verini (1985) è curatore di progetti espositivi, festival, cicli di incontri legati all’arte e alla cultura contemporanea. Ha all’attivo collaborazioni con istituzioni quali Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, MACRO, Accademia di Francia…

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