A Parigi la mostra che va oltre la visione eurocentrica

Quattordici artisti vanno in mostra al Palais de Tokyo con una riflessione sulle nuove relazioni tra l’essere umano e la natura, dando voce alle popolazioni vessate dallo sfruttamento occidentale

Rimodulare le relazioni all’interno dell’ecosfera, scardinare sistemi di potere, assegnare diritti a ogni componente del vivente: sono gli obiettivi della mostra Réclamer la Terre, curata da Daria De Beauvais, al Palais de Tokyo di Parigi. Il tema, già al centro dell’attuale dibattito sul contemporaneo, viene rilanciato e ancorato a ulteriori spunti teorici, non da ultimo quelli irradiati dal libro Beyond Nature and Culture, in cui l’antropologo Philippe Descola invita a ripensare il rapporto tra l’uomo e il resto dei viventi in una cornice dove è definitamente archiviata l’antitesi natura/cultura.
Quattordici artisti (Abbas Akhavan, Amakaba x Olaniyi Studio, asinnajaq, Huma Bhabha, Sebastián Calfuqueo Aliste, Megan Cope, D Harding, Karrabing Film Collective, Kate Newby, Daniela Ortiz, Solange Pessoa, Yhonnie Scarce, Thu Van Tran, Judy Watson) provenienti da paesi come Cile, Brasile, Perù, Guyana, Australia, Canada, Brasile, Vietnam, Nuova Zelanda, Pakistan, Iran, concorrono, dunque, a riscrivere atavici rapporti di subordinazione e dominio sostituendoli con quelli di alleanza e parentela, contestando i legami tra il corpo e la terra intesa come mera risorsa estrattiva, segnalando l’estinzione di intere specie e caldeggiando la necessità di trasmettere e conservare i saperi indigeni.

Amabaka x Olaniyi Studio, Nono. Soil Temple, 2022. Courtesy of the artists. Photo credits Aurélien Mole

Amabaka x Olaniyi Studio, Nono. Soil Temple, 2022. Courtesy of the artists. Photo credits Aurélien Mole

LA MOSTRA AL PALAIS DE TOKYO

Per un’umanità travolta dal suo stesso modello dominante, quell’antropocene responsabile di tragedie ecologiche come di asimmetrie sociali ed economiche, la mostra  sviluppa nuove connessioni con la natura e con l’abitare, in diverse scale di relazione perché, come dichiara Ariel Salleh (con Léuli Eshrāghi consulente scientifico della mostra): “Mettere insieme ecologia, femminismo, socialismo e politica indigena significa rinunciare alla visione eurocentrica per adottare una prospettiva veramente globale”.
Per farlo, gli artisti selezionati, originari di Paesi straziati dallo sfruttamento occidentale, ora espressione di sguardi decolonizzati, maneggiano perlopiù materiali naturali ‒ legno, terra, piante, conchiglie, minerali ‒ con cui ipotizzano interventi sostenibili in una fluida circolarità tra arte e artigianato. Non semplici modelli virtuosi o mere speculazioni sull’ecosistema, piuttosto nuove energie creative intrecciate a connessioni economiche, etiche e politiche.

Megan Cope, Untitled (Death Song), 2020. Courtesy of the artist & Milani Gallery, Brisbane. Photo credit Aurélien Mole

Megan Cope, Untitled (Death Song), 2020. Courtesy of the artist & Milani Gallery, Brisbane. Photo credit Aurélien Mole

GLI ARTISTI IN MOSTRA A PARIGI

Un esempio tra i tanti, il cortometraggio Kowkülen (Liquid Being, 2020) che denuncia la privatizzazione dell’acqua in Cile, durante la dittatura di Pinochet. Lo firma Sebastián Calfuqueo, artista di origine mapuche, popolo indigeno cileno, che si ritrae imbracato in posizione fetale in un ruscello dove mette in discussione la relazione arcaica tra l’acqua e la vita e altri binarismi, compresi quelli che lo riguardano sull’identità di genere.
Pezzi di vetro raccolti per le strade di Parigi, mescolati con porcellane di Limoges, si trasformano, con la neozelandese Kate Newby, in una romantica spiaggia di conchiglie, comunque un prodotto meticcio ma allusivo a una natura intonsa ed efficace nel conferire al riciclo una monumentalità discreta. Una terra da onorare con precise ritualità è quella di Tabita Rezaire e Yussef Agbo-Ola, racchiusa in un tempio che la celebra, da attraversare a piedi nudi come attiene ai luoghi consacrati. Dal Karrabing Film Collective, con sede in Australia, giungono segnali non incoraggianti in merito ai legami di sussistenza tra i luoghi e coloro che li abitano. In un paesaggio degradato nel mezzo della foresta amazzonica, con carcasse di auto (usate anche come sedili per seguire il video), pneumatici e detriti industriali, l’intera comunità di anziani, adulti e bambini, denuncia la tossicità dell’ambiente in una messa in scena grottesca dal passo sagacemente autoironico.
Valore aggiunto della mostra, in linea con la filosofia che la sostiene, il recupero di allestimenti usati in precedenza, e incontri, giornate di studio e lezioni con ricercatori e specialisti, in calendario per tutta la durata dell’esposizione.

Marilena Di Tursi

Parigi // fino al 4 settembre 2022
Réclamer la Terre
PALAIS DE TOKYO
13 Av. du Président Wilson
https://palaisdetokyo.com/

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Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi, giornalista e critico d'arte del Corriere del Mezzogiorno / Corriere della Sera. Collabora con la rivista Segno arte contemporanea. All'interno del sistema dell'arte contemporanea locale e nazionale ha contribuito alla realizzazione di numerosi eventi espositivi, concentrandosi soprattutto…

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