Sentimenti romantici e anarchia, filosofia della natura e scienza sacra: Mario Botta l’ha definito “il laboratorio di una tra le più radicali utopie artistiche e sociali dell’epoca”.
È il Monte Verità, sede chimerica di speranza, dove si respirava libertà sognando un mondo diverso, mettendo in atto quello che in tedesco si chiama Lebensreform, ovvero riforma della vita.

LA STORIA DEL MONTE VERITÀ
Tra le colline ticinesi che guardano il Lago Maggiore, nasce ai primi del Novecento una colonia che anticipa temi oggi a noi cari come l’ecologia dell’abitare, nel mondo e nell’anima, alla ricerca costante di un rapporto rigenerato tra uomo e creato: un inno al vivere bio, alla cultura vegetariana e della cura del corpo. Henri Oedenkoven, figlio di una ricca famiglia olandese ma critico nei confronti dello stile di vita dei suoi contemporanei, coltiva forti ideali di libertà e ritorno alla natura. Memore del lavoro di Arnold Rikli, propone un modello di convivenza basato sulla reciproca cooperazione. Insieme a Hofmann, insegnante di pianoforte, Karl Gräser con il fratello Gustavo, Lotte Hattemer e altri, si insedia così nel Canton Ticino sul Monte Monescia. Alimentazione vegana, elioterapia e nudismo, ginnastica, danza e meditazione diventano pratiche quotidiane.
Un buen retiro, culla di un’esistenza impostata su ritmi primigeni, lontano dalle tensioni della guerra, una contro-cultura nata in risposta al conformismo borghese. Sullo sfondo di un caotico sviluppo metropolitano, la perdita improvvisa del rapporto diretto con la natura aveva prodotto quella lunga letteratura della fuga. La cosiddetta “wilderness” di tradizione americana trova proprio a Monte Verità un corrispettivo di straordinaria portata, anticipando una sensibilità contemporanea, un ragionamento critico precursore delle più recenti tensioni fra capitalismo globalizzato e nazionalismo.
LA MOSTRA SUL MONTE VERITÀ A FIRENZE
“Oggi che termini come ‘vegetariano’, ‘pacifismo’, ‘sostenibilità’ sono imperativi categorici nell’evoluzione della nostra civiltà, il Monte Verità torna a essere un riferimento per quanti non si accontentano dell’inerzia politica e del cinismo sempre più disastroso dell’economia globale”, ha affermato il curatore Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento.
Un crocevia di idee, quindi, di visioni rivoluzionarie e di eccezionali pensatori raccontato al Museo Novecento in un percorso a tre tappe, diviso fra le origini filosofiche del Monte, lo sviluppo della sua architettura e l’arte della danza. Questo a testimoniare un interesse comune, ancora oggi, verso episodi radicali di esperienze anarchiche come utopia sociale e sogno pacifista, reso possibile da una “riforma della vita” che parte proprio dalla rigenerazione del corpo e dello spirito in un luogo, come dirà più tardi Ise Gropius, “dove la nostra fronte sfiora il cielo”.
Il complesso del Monte Verità diventa proprietà della Repubblica e Cantone Ticino nel 1964, in base al volere testamentario del Barone Eduard von der Heydt, il quale auspicava che venisse utilizzato per attività artistiche e culturali di altissimo livello, di richiamo internazionale. Nel 1989 viene istituita la Fondazione Monte Verità, che oggi gestisce l’omonimo Centro congressuale e culturale.
– Ginevra Barbetti
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