La fragilità della terra e dell’essere umano in mostra ad Ancona

La mostra alla Mole Vanvitelliana nasce dalla necessità di riflettere sul ruolo che hanno la cultura e l’arte tra due terremoti, quello fisico del Centro Italia del 2016 e quello interiore provocato dagli eventi, tra cui anche la recente pandemia

Nelle Marche la terra trema, rendendo fragile e caduco il futuro delle comunità che vi abitano. Forse per questo, nei secoli, il carattere dei suoi abitanti è divenuto tenace e riservato, concentrato sul lavoro, una delle forze che rinnovano la vita. Proprio dall’evento che cinque anni fa ha scosso la regione è nata l’idea della mostra Terra sacra. L’arte necessaria, a cura di Flavio Arensi per il Comune di Ancona e il Museo Tattile Statale Omero, che sceglie l’arte come segno di una nuova rinascita dopo il sisma.

Terra sacra. Exhibition view at Mole Vanvitelliana, Ancona 2021

Terra sacra. Exhibition view at Mole Vanvitelliana, Ancona 2021

LA MOSTRA ALLA MOLE VANVITELLIANA

Non raccontiamo il terremoto come evento ma andiamo a parlare del crollo esistenziale, delle fratture, delle crisi che il terremoto porta”, dice il curatore, citando le tavole del fumetto Macerie prime di Zerocalcare – una delle 120 opere in mostra di 35 autori differenti – a esempio di una crisi esistenziale già presente prima del sisma ed esemplificativa di un pensiero che percorre tutta l’esposizione. Artisti dai linguaggi molto diversi, dal fumetto alla pittura alla scultura all’arte sacra alla fotografia, che, parlando di aspetti differenti della comunità e toccando anche temi politico-sociali, aprono visioni molteplici sulla sacralità della terra.
Diverse le sezioni: Pittura analizza il territorio come simbolizzazione in immagine dei luoghi di vita e di pensiero in cui l’uomo e la natura si incontrano, con un disegno di Gina Pane che, attraverso un processo di sintesi dell’immagine, viene riportato tridimensionalmente per essere toccato dagli ipo e non vedenti, come tutti gli apparati didascalici realizzati dal Museo Omero; in Luoghi degli altri domina la fotografia quale grido di coscienza e indicazione poetica, come nella fotografia di Pietro Masturzo, vincitrice del World Press Photo 2010, che riprende la protesta notturna delle donne di Teheran, performance di canto contro il regime, o le molteplici foto di luoghi abbandonati in tutta Italia, storie e memorie che stiamo perdendo, di Silvia Camporesi.

GLI ARTISTI IN MOSTRA AD ANCONA

C’è poi La casa, i senzatetto, sezione dove affiora il tema del luogo natio come patria, luogo della lingua e degli affetti, ma anche la difficoltà di crescere e appropriarsi di un proprio posto nella società, come in Zerocalcare, o, all’estremo, l’assenza di una dimora, come in Giovanni Albanese, per il quale però l’ovunque si sostituisce creativamente al concetto tradizionale di casa.
La sacralità del territorio viene analizzata anche come Paesaggio interiore; interessante in questo senso il messaggio che deriva dal progetto Quatrani di Danilo Garcia Di Meo, che documenta le conseguenze relazionali generate dalle trasformazioni ambientali nei confronti delle generazioni cresciute dopo il terremoto che ha distrutto l’Aquila: generazione urbana ma senza strutture, per la quale le solide amicizie e i legami intergenerazionali si sono sostituiti allo spazio fisico di aggregazione.
A questi stimoli contemporanei sono state abbinate opere sacre che fanno parte della cultura popolare dei luoghi più colpiti dal sisma del 2016, salvate e ricoverate all’indomani del terremoto nei magazzini della stessa Mole Vanvitelliana che ospita la mostra, per essere custodite e restaurate. Le opere sono esposte impacchettate, “protette” dallo sguardo dei visitatori. Scelta curatoriale che vuole sottolineare la fragilità, anche mentale, di tutti noi che viviamo questo tempo così precario, ma non diviene forse anche forma di negazione di una visione e di una vita futura? Nella chiusura, nel celare al pubblico, non c’è dialogo con il presente, e quindi con il domani, di questo territorio. Soprattutto se pensiamo che ci vorranno tempi lunghissimi perché le opere tornino nel loro luogo, se mai ci torneranno. Ma forse le parole dell’antropologa Piera Talin (autrice del testo in catalogo, edito da Skira) ci aiutano a comprendere la strada che, in un’epoca di crisi, abbiamo da percorrere per vedere oltre, attraverso gli insegnamenti delle civiltà indigene da lei studiate – e il loro legame con la terra e la natura deve essere particolarmente ascoltato nella situazione di emergenza ecologica in cui il mondo oggi vive. Esse, che hanno vissuto già diverse fini del mondo, trovano nella ripetizione di gesti rituali, nella narrazione, nell’immaginazione, e quindi nella creatività e nell’arte, il modo di perpetuare la loro cultura e riappropriarsi di forme di relazione con la terra. Soluzione più poetica e meno disincantata del carpe diem di Alessandro Tesei – documentario su Fukushima in mostra e testo in catalogo sul tema delle esplorazioni urbane –, che svela la falsità delle strutture umane in opposizione alla forza della natura, opinione che deriva dalla scoperta che tutto ciò che si è accumulato in vita si va velocemente disfacendo; uno sguardo sulla caducità dell’essere e l’illusorietà del contesto capitalistico in cui viviamo.

Annalisa Filonzi

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Annalisa Filonzi

Annalisa Filonzi

Laurea in Lettere classiche a Bologna, torno nelle Marche dove mi occupo di comunicazione ed entro in contatto con il mondo dell'arte contemporanea, all'inizio come operatrice didattica e poi come assistente alla cura di numerose mostre per enti pubblici e…

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